Il rapido sviluppo di internet ha cambiato radicalmente le modalità di uso dei media in tutte le fasce d’età. Bambini e adolescenti, nel loro tempo libero, giocano on line, si informano sul web e socializzano tramite internet, comunicando con parenti e amici tramite cellulare. Siamo in presenza di una esposizione precoce ai diversi dispositivi digitali. I media digitali oggi sono la normalità, non solo nel tempo libero ma anche a scuola: rappresentano una realtà che non si può ignorare. È probabile che la tecnologia influisca sullo sviluppo dei bambini e degli adolescenti sia in maniera positiva che negativa.
Il 95% degli adolescenti usa lo smartphone
e quasi tutti sono sui social network
L’utilizzo dello smartphone e dei social media da parte dei giovani è oramai universale. In linea con i dati internazionali, il rapporto Censis 2021 ha rilevato che il 95% degli adolescenti italiani fa uso dello smartphone e il 46% di essi lo usa per più di tre ore al giorno. La maggior parte del tempo i giovani lo spendono sui social e le piattaforme più utilizzate sono Instagram (72%), TikTok (62%) e Youtube (58%). Nonostante la gran parte delle piattaforme vieti l’iscrizione ai minori di 14 anni, anche i più piccoli fanno un uso sia attivo che passivo dei social.
La tecnologia via di fuga dalla solitudine
Accumuliamo like per riempire vuoti
Che gli strumenti tecnologici possano rappresentare una facile via di fuga in caso di sentimenti “scomodi” è esperienza comune: chi di noi non ha mai pensato di contrastare un momento di solitudine immergendosi in un social o inviando rapidamente sms ad amici e parenti? Pubblichiamo una foto, accumuliamo un certo numero di like e per un istante si riempie quel senso di vuoto lasciato dalla solitudine. Ci illudiamo di essere meno soli. La gestione delle emozioni, della loro durata e della loro intensità, tuttavia, non dovrebbe essere affidata troppo e troppo precocemente a un mezzo tecnologico: diventare capaci di autoregolarci significa imparare a stare con le proprie emozioni, a tollerarle e a gestirle. Il rischio è che i genitori e le altre figure educative, nel delegare allo strumento tecnologico la funzione di calmare o distrarre il proprio bambino, abdichino a uno dei loro compiti più importanti: quello di insegnare ai bambini ad auto-regolarsi e a calmarsi, attraverso gli abbracci, gli sguardi, il tono di voce, la parola, il gioco e altre soluzioni creative. Nessun tablet potrà insegnare a un bambino la capacità di identificare le emozioni, di differenziarle, di cogliere le emozioni altrui (ad esempio, dall’espressione del volto), di tranquillizzarsi. È possibile che crescendo quel bambino trovi scomodo, faticoso e forse anche inutile, il confronto con certe emozioni e faccia di tutto per evitarle, perdendo informazioni importanti sul proprio stare al mondo e trovandosi in difficoltà ogni volta che le incontra sul proprio cammino.
Difficoltà a disconnettersi e mancanza di sonno
sono sintomi di un uso problematico del web
Consumo di contenuti non adatti all’età o dannosi, uso smodato che può avere effetti collaterali sulla salute e sfociare nelle dipendenze: sono solo alcuni effetti problematici dell’uso massiccio delle nuove tecnologie. Fra gli alunni con un consumo dello schermo superiore alla media alcuni studi svizzeri hanno mostrato anche quanto le abitudini alimentari siano scorrette due volte in più rispetto ai coetanei e quanto, tra coloro che abusano delle nuove tecnologie, siano frequenti problemi di sovrappeso o di attività fisica insufficiente. Fra i sintomi di un uso problematico c’è la difficoltà a disconnettersi e la tendenza a trascurare il sonno, i compiti scolastici e la vita familiare.
Numerosi studi hanno dimostrato come la prolungata esposizione ai media digitale sia responsabile di importanti deficit dell’attenzione e dell’iperattività nei bambini e nei giovani adulti, di difficoltà nell’apprendimento, in particolare nella scrittura e nella lettura, di disregolazione degli impulsi, specie nel controllo dell’aggressività e dell’ansia. Sul finire degli anni Novanta l’America Academy of Pediatrics (AAP) aveva emesso raccomandazioni sui media, scoraggiandone l’utilizzo per i minori fino a 2 anni e consegnando ai pediatri il compito di discutere con i genitori dei media limits, cioè sulla necessità di porre dei limiti. L’AAP sosteneva che fino ai due anni, l’uso dei media presentasse più problemi che vantaggi.
Dall’Oms divieto assoluto di schermi
per i bambini fino ai due anni di vita
Nel 2019 anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle linee guida che riguardano l’attività fisica, il comportamento sedentario e il sonno per i bambini al di sotto dei cinque anni, raccomanda il divieto assoluto di schermi per i bambini fino a due anni e raccomanda a quelli della fascia 2-4 anni di non lasciarli davanti agli schermi per più di un’ora al giorno.
Una ricerca del 2017 (Anderson) ha evidenziato che la fruizione in background della televisione interrompe il gioco prolungato dei bambini fino a due anni e riduce la quantità delle interazioni genitore-figlio che sono fondamentali per lo sviluppo delle abilità cognitive, in particolare del linguaggio e delle funzioni esecutive (memoria, attenzione, problem solving). Inoltre è stato riscontrato che quando la tv è accesa, i genitori parlano meno ai bambini e la qualità della comunicazione si impoverisce. Lo scarso coinvolgimento dei genitori è anche una diretta conseguenza dell’utilizzo degli altri media interattivi: lo smartphone cattura l’attenzione dei genitori togliendo di fatto al bambino quell’insieme di feedback continui e scambi interattivi che sono fonte di apprendimento e di acquisizione delle capacità di autoregolazione. Pensiamo a una madre che mentre allatta usa il cellulare e che fa venire meno tutto quell’insieme di esperienze visive che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo sociale ed emotivo nel primo anno di vita del bambino. Ci sono diverse ricerche che evidenziano come, a causa dei nuovi dispositivi tecnologici, la relazione madre-figlio passi in secondo piano e venga addirittura sostituita dalla relazione media digitale-figlio.
Ma non è solo questo, pare che l’uso prolungato dei social possa addirittura inferferire con la maturazione di alcune strutture cerebrali (Social Media and Youth Mental Health: The U.S. Surgeon General’s Advisory). Ci sono diversi studi che hanno mostrato come gli schermi touchscreen di per sé possano modificare l’attività elettrica cerebrale: Gindrat e co. (2015) hanno confrontato tramite elettroencefalografia i potenziali corticali risultanti dal contatto delle dita con gli schermi touch rispetto agli stessi potenziali valutati in soggetti con telefoni tradizionali: negli utenti touchscreen è stato valutato un aumento statisticamente significativo dei potenziali corticali dal pollice e dall’indice, proporzionale all’intensità di utilizzo; è ipotizzabile una espansione della rappresentazione corticale di queste aree anatomiche, che potrebbe avvenire a scapito di altre capacità motorie che a loro volta potrebbero risentire dei lunghi tempi di esposizione allo schermo. Alcuni studi mostrano una stretta correlazione tra l’uso intensivo dei media digitali nella prima infanzia e una minore integrità microstrutturale dei tratti di sostanza bianca, in particolare tra le aree di Broca e Wernicke, deputate alla produzione e alla comprensione del linguaggio. Sono state inoltre osservate ridotte capacità esecutive e nei processi di alfabetizzazione e lettura (Hutton et al., 2020).
L’impatto dei dispositivi elettronici sulle funzioni cognitive non è tuttavia ben definito: alcuni autori (Horowitz-Kraus & Hutton, 2018) hanno riportato, in soggetti che trascorrevano molto tempo su uno schermo, un’alterata connettività tra le regioni sensorimotorie e quelle deputate alla cognizione; altri autori si sono mostrati più cauti nelle interpretazioni (Paulus et al., 2019). Paulus e colleghi invitano i ricercatori a non guardare allo screen time come a un’entità indistinta, ma a considerare singolarmente l’influenza delle diverse attività (es. guardare video, giocare, usare i social media) sullo sviluppo cerebrale e sui rischi potenziali.
Nessuno studio singolarmente fornisce risposte definite su una possibile relazione causale tra social media, uso del web, alterazioni dello sviluppo cerebrale e problematiche psicopatologiche. Quello che sappiamo suggerisce di mantenere un approccio vigile, oltre che di promuovere un’adeguata consapevolezza sull’uso della tecnologia, in particolare nei primi anni di vita, attraverso la collaborazione tra famiglia, scuola e professionisti della salute.
Oggi possiamo affermare, senza paura di essere smentiti, che manca la digital literacy. Tra i principali problemi c’è il fatto che le generazioni precedenti a quelle attuali hanno sperimentato soprattutto realtà off line; e che la generazione di oggi non si rende ancora conto che ci sono informazioni che non potranno più recuperare in Rete né più cancellarle.
L’educazione al digitale diventa cruciale
per sfruttare le opportunità della Rete
L’alfabetizzazione mediatica implica un uso consapevole e responsabile dei media. Include il saper soddisfare le proprie esigenze di svago e di informazione ma anche la capacità di analizzare criticamente i media e il consumo che se ne fa. Un uso appropriato di internet significa anche essere prudenti con i dati personali in rete, saper verificare in maniera critica le informazioni, rispettare le regole di comportamento anche nel mondo virtuale. I rischi, come per esempio il cybermobbing, il furto dei dati, il cyberbullismo e gli attacchi sessuali sono più frequenti di quanto si immagini. Il mondo virtuale dà l’illusione di un anonimato che rende più inclini a rivelare informazioni e a facilitare aggressioni e possibilità di rapida diffusione e riproduzione di dati.
L’educazione digitale è cruciale per assicurare che i giovani possano navigare con sicurezza e sfruttare appieno le opportunità offerte dalla Rete.
Nella fase dell’educazione ai media diventa fondamentale anche il ruolo dei genitori. Genitori, insegnanti e altre figure chiave nei processi di educazione non possono esimersi dall’occuparsi dell’educazione digitale.
Vecchie modalità di accesso alla cultura in crisi
L’educazione diventa un processo interattivo
Il processo educativo si trasforma. Educare diventa un processo di lunga durata, un’attività interattiva e non più la trasmissione di un sapere o l’esercizio di un comando.
Le nuove tecnologie mettono in crisi le tradizionali modalità di accesso alla cultura. I nuovi processi di apprendimento hanno alcune caratteristiche peculiari: multidimensionalità dell’esperienza, approccio reticolare al sapere, multidimensionalità della relazione educativa, centralità dell’evento comunicativo, personalizzazione dei processi di apprendimento, progettazione e realizzazione di ambienti di apprendimento flessibile, approccio alla cultura intesa come sistema di simboli dinamico
L’incremento nell’uso del computer a casa e a scuola potrà ampliare la lacuna nell’apprendimento tra ricchi e poveri e tra gruppi etnici diversi, ma la tecnologia in sé non migliora le abilità di apprendimento di un bambino. Sono necessari vari elementi in aggiunta alla tecnologia per supportare l’apprendimento degli studenti, come la supervisione e il supporto degli educatori formati nell’uso della tecnologia, l’accesso alle tecnologie e un’enfasi sul bambino come studente attivo costruttore del proprio sapere.
Il modello di apprendimento evolve
da lineare diventa “in parallelo”
Il modello di apprendimento si trasforma: da lineare, in cui le informazioni fruiscono e vengono incamerate dal soggetto in ordine cronologico e in connessione causale, si passa a un modello di apprendimento “in parallelo”, in cui le informazioni non sono più contestualizzate in uno spazio temporale e causale, ma vengono assorbite come contemporanee e disconnesse a causa del sovraccarico di informazioni che si offrono contemporaneamente e senza alcuna sequenza spazio-temporale.
Il digitale non decolla nel mondo della scuola
Serve un ripensamento della didattica
Negli ultimi anni è emersa con evidenza la volontà da parte del MIUR di percorrere la strada del digitale a scuola e di tentare di recuperare un ritardo accumulato negli anni. Molteplici interventi sono stati avviati per dare il via a processi di innovazione. Ma non basta: il digitale a scuola fatica a decollare veramente. Bisogna prendere in seria considerazione il cambiamento culturale, secondo alcuni addirittura antropologico, in atto. Non basta che docenti e personale amministrativo siano al passo con i tempi; è necessario un ripensamento profondo dei metodi di insegnamento e delle pratiche didattiche tradizionali. Il rinnovamento necessario dei metodi didattici e delle pratiche scolastiche deve tenere conto delle attitudini e dei comportamenti verso le tecnologie delle nuove generazioni di studenti, per i quali il primato del libro e della scrittura alfabetica non è più scontato.
Il rapporto tra media e educazione è abbastanza controverso: a partire dagli anni Settanta si è cominciato a guardare alla questione in termini pedagogici e non più soltanto morali. Ha cominciato a farsi largo così il problema di educare ai media e al loro uso. L’educazione ai media può favorire inoltre l’accesso alle tecnologie della comunicazione, specie alle nuove, di persone in difficoltà per difetto di istruzione. Per questa via si possono combattere le disuguaglianze che la diffusione dei media porta con sé: ci sono pedagogisti che vedono nell’educazione ai media un mezzo per svecchiare l’insegnamento tradizionale. La scuola deve inoltre guidare i giovani affinché si orientino verso una nuova ecologia dei media, che prevede l’integrazione virtuosa delle esperienze mediali con le altre modalità di approccio alla realtà. Tutto ciò perché la principale istituzione deputata all’educazione non deve incrementare solo un uso passivizzante dei media ma renderlo un’autentica risorsa formativa
Le nuove tecnologie rappresentano nuove sfide per l’apprendimento rispetto ai libri usati nelle pratiche educative tradizionali. Le nuove tecnologie offrono nuove sfide. Oggi tutti si professano convinti dell’irrinunciabilità dell’informatica e delle nuove tecnologie ma la pratica risulta abbastanza difficile sia per la scarsa formazione dei docenti sia per metodi di formazione non sempre efficaci e al passo con i tempi.
I media digitali sono una risorsa importante
La scuola può cavalcare l’onda e sfruttarli
«La televisione e gli altri media – di questo occorre essere consapevoli fino in fondo – sono parte della nostra realtà, del nostro mondo quotidiano. E proprio per questo motivo sono diventati agenti socializzatori di primaria importanza che agiscono direttamente sui bambini fin dall’inizio della vita di ciascuno di essi. Privare i bambini del rapporto con la televisione – come alcuni predicano, senza sapere quello che dicono – significa togliere loro una risorsa in più che essi hanno oggi a disposizione, che tutti i bambini hanno a disposizione. Dal punto di vista educativo ciò comporta una presa in carica di tale presenza, attraverso l’attivazione di un di più di attenzione e di comprensione. […] La presenza della televisione nelle nostre case può essere vista, allora, come una risorsa per il processo educativo, come un’occasione in più per “entrare” in comunicazione con il mondo del bambino, con le sue emozioni e le sue paure». È il caso di chiudere così, con questo scritto di Bechelloni, nella prefazione al libro Cosa fa la tv ai bambini? Per ricordare che i mezzi di comunicazione rappresentano una risorsa per le nostre vite e per le attività educative. Ignorare i progressi compiuti dalla tecnologia significherebbe non essere al passo con i tempi e non saper tenere conto delle necessità e delle abitudini dei giovani di oggi. È il caso, invece, di prendere atto dei cambiamenti apportati dai nuovi media e cavalcare l’onda: sfruttarli per migliorare le nostre vite e il nostro modo di imparare.
(3 – FINE)