Nessuna pretesa di riscrivere la ‘storia’, il racconto plurisecolare di fatti e dsi persone, inequivocabilmente di parte (maschile) che – dall’antichità greco-latina alla modernità (ricorrendo a categorie storiografiche abbastanza ‘flessibili’) – ha spesso taciuto su tante altre ‘storie’: quelle di molte donne che avrebbero, invece, meritato d’essere rappresentate in una luce diversa. È, al contrario, una rigorosa rassegna di figure femminili – puntuale nelle fonti citate e nella contestualizzazione cronologica e, di nuovo, senza pretesa alcuna di essere ‘definitiva’ – il repertorio che Gaetana Mazza presenta ai lettori nel suo ultimo libro, E io che lasciai l’ago e il fuso. Storie di donne dalle origini all’età moderna. “Tuttavia, pur nella mancanza di testi, le fonti giuridiche, le iscrizioni funerarie, l’iconografia e la letteratura ci consentono di conoscere il loro ruolo nella società, anche per i tempi più remoti. Neppure la fama di tutte le donne che si sono distinte nei vari ambiti del sapere è arrivata fino a noi, solo poche si sono salvate dall’oblio”. Così scrive Mazza nella premessa al volume, fin da subito rivelando lettore il suo metodo di indagine: un approccio multidisciplinare – che tiene conto della storia in prima istanza, aggiungendo ‘incursioni’ in discipline affini, quali la letteratura, la pittura, la musica, la medicina – e la scelta di alcune ‘figure’ femminili particolarmente rilevanti in fatti e vicende della cultura occidentale ma che poco spazio hanno trovato nei repertori, nei cataloghi e nelle registrazioni della “storiografia ufficiale”. L’indice nel quale è organizzata la ‘materia’ raccolta nel corposo volume (più di quattrocento pagine) non è disposto secondo un esclusivo ordine cronologico; ma discute molteplici “storie di donne dalle origini all’età moderna” (il sottotitolo può, perciò, fungere da cornice storica di massima) anche in riferimento alle ‘categorie’ occupazionali il cui esercizio è stato tradizionalmente attribuito in prevalenza (se non addirittura esclusivamente) agli uomini. Succede per le poetesse: dalla più antica, Enheduanna, figlia del re Sargon sotto il cui regno si unirono le città stato della Mesopotamia; passando poi, in catalogo, le donne che scrissero versi in greco e in latino; le letterate e la scrittura nel Medioevo, le poetesse rinascimentali italiane. È la penisola italiana la zona di maggior interesse dello studio di Mazza: accanto ai mestieri s’indagano altri elementi rivelatori della taciuta identità intellettuale femminile nel corso dei secoli; quali, ad esempio, i regesti di protocolli notarili (nel caso specifico, quelli del notaio Nardo De Marino di Sarno, tra il 1475 e il ’76), preziose fonti “sulla condizione giuridica femminile, sulle stratificazioni sociali della città, sui toponimi, sulle attività economiche, sugli usi e i costumi e sulla religiosità”. Ma anche capitoli dedicati ai ‘saperi’ femminili, soprattutto nella cura e nella gestione delle cose familiari; alla professione esercitata da alcune ‘medichesse’ (tra queste, la mulier salernitana Trotula de Ruggero); ma pure alle pittrici, alle musiciste e cantanti, alle prime femministe (in un arco temporale che va dal Medioevo con Maria di Francia, figlia del re Luigi VII fino al ’700 napoletano con Giuseppa Eleonora Barbapiccola). In epigrafe e a suggello di questo originale lavoro i versi della sonettista italiana Leonora della Genga, sintesi e traduzione perfetta dei fatti storici e delle argomentazioni che Gaetana Mazza propone come traccia di lettura del suo libro: “Tacete, o maschi, a dir che la Natura/a far il maschio solamente intenda/e per formare la femmina non prenda,/se non contro sua voglia alcuna cura”.
Gaetana Mazza, E io che lasciai l’ago e il fuso. Storie di donne dalle origini all’età moderna, Roma, La Bussola, 2024.