Il Luigi Pirandello di Michele Placido ha qualcosa di “profondamente barbaro”. C’è un senso di estraneità, ma anche di viscerale passione. Una dicotomia che coinvolge tutti i personaggi. La dicotomia che Pirandello ha messo in luce nelle sue opere. La dicotomia che porta sua moglie alla pazzia. La dicotomia che spinge i figli a non comprendere fino in fondo l’identità dei genitori. La dicotomia di Marta Abba che è musa e dannazione per Pirandello. La dicotomia dell’autore che si guarda allo specchio e si chiede perché la vecchiaia del suo aspetto non coincida con la giovinezza del suo cuore. Estranei in corpi che non riescono a controllare le passioni e si fanno guidare da esse, nel bene e nel male.
È il destino della famiglia Pirandello e di chi vi orbita intorno. Il film racconta gli eventi più intimi; i nomi, soltanto citati nelle biografie, diventano corpi e sentimenti. La moglie Antonietta, nella straordinaria interpretazione di Valeria Bruni Tedeschi, è la personificazione della “follia”, così estranea ma così vicina alla sofferenza, caricandosi del peso delle incomprensioni umane. Una famiglia difficile, per citare un altro grande autore del teatro, quella famiglia che ti porti dentro anche se scappi in Cile, come la figlia Lietta; quella famiglia che Pirandello mette in scena a teatro, racconta in tutte le sue opere e rivive nei rapporti sentimentali.
È un Pirandello che, nonostante la forte attrazione mentale, non si lascia andare all’amore carnale con Marta Abba, interpretata con arguzia e maestria da Federica Vincenti. Il Pirandello di Placido è quasi una figura mitologica, un eterno visionario, che ha voluto rendere immortale la follia, lo strazio e la disperazione, rappresentandone, senza remore, i sentimenti, le pulsioni, le passioni e gli aspetti meno noti. Eppure lui rimane lì ad osservare i suoi successi e la sua famiglia, a cercare gli occhi senza pace di sua moglie Antonietta per ritrovarne un po’ nello sguardo di Marta Abba. Vani tentativi per mettere a tacere quella profonda ed estranea anima che continua a vivere in “quella barbara passione”. Il film più”barbaro” di questo 2024 va, di sicuro, all’Eterno Visionario di Michele Placido.