Sartre, l’uomo mancante e la libertà come condanna

L'opera, ora riproposta nella traduzione di Giuseppe Del Bo e con l’introduzione di Massimo Recalcati, si espone, e ciò fin dalla sua prima comparsa nel 1943, a essere condizione imprescindibile per chiunque voglia cimentarsi a percorrere i cammini della sapienza

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Così rovesciando la formula di Spinoza, potremmo dire che ogni negazione è determinazione. Il che significa che l’essere è anteriore al nulla e lo fonda. Con questo bisogna intendere non solo che l’essere ha sul nulla una precedenza logica, ma anche che proprio dall’essere il nulla trae concretamente la sua efficacia. Il che si esprime dicendo che il nulla inerisce necessariamente all’essere e lo “assilla”. Cioè l’essere non ha bisogno del nulla per essere concepito e si può esaminare fin che si vuole la nozione di essere, senza trovarvi la minima traccia del nulla. Al contrario, il nulla che non è non può avere che un’esistenza derivata: prende il suo essere dall’essere; il suo nulla d’essere non s’incontra che nei limiti dell’essere e lo sparire totale dell’essere non costituirebbe l’avvento del regno del non-essere, ma lo svanire immediato del nulla: non vi è non-essere che alla superficie dell’essere. Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla, ilSaggiatore, pagg. 721.

Considerato una pietra miliare dell’esistenzialismo francese, quest’opera, ora riproposta nella traduzione di Giuseppe Del Bo e con l’introduzione di Massimo Recalcati, si espone, e ciò fin dalla sua prima comparsa nel 1943, a essere condizione imprescindibile per chiunque voglia cimentarsi a percorrere i cammini della sapienza. In fondo, fin dall’origine della speculazione filosofica, Parmenide, Eraclito, in seguito Platone e Aristotele, così come pure Gorgia, Protagora o Zenone di Cizio, non sembra essere trascorso molto tempo “filosofico”, ovvero che le questioni fondanti il pensiero sembrano tuttora irrisolte, se non del tutto sviate o spacciate per definite e quindi concluse. Si aggiunga che di qualunque speculazione si tratti, sembra si rimanga sempre in quell’ambito storico-accademico, ormai avulso dal filosofare se non in termini di una scientificità cui tutto si deve. Come se la filosofia dovesse necessariamente ripiegare nei ranghi di una “scienza minore” o come suggerisce Agamben, in una scienza “ultima”.

Non è qui il caso di indagare un problema che si svela come essere, forse, di modificazione antropologica dell’umanità intera, ma è bene rilevare che ben venga quest’opera, che invito a leggere e ad abbracciare. Certo trovare il tempo per addentrarsi in un’opera così voluminosa e complessa, in tempi dove si sfogliano velocemente solo titoli o brevi frasi a effetto (di che cosa poi, non si capisce), non è un’impresa semplice, ma vi assicuro che ne varrà la pena. Il problema dell’Essere e del Nulla ne è indagato con la massima autorevolezza e con sviluppi del tutto originali. Discutibili quanto si vuole, ma dotati di una forza travolgente che sarà capace di fare del desiderio la molla scatenante di ogni libertà e di ogni possibile umanesimo. Punto essenziale, questo, che fa divergere Sartre (1905-1980) da Heidegger (1889-1976) che prenderà altre vie, di sicuro meno contingenti, sebbene più originarie.

Per Sartre, l’uomo (Dio mancato) è responsabile di se stesso attraverso la coscienza dell’essere e del nulla che è una sua determinazione. “Il nulla dà iridescenza al mondo, variamente colora le cose”. Il nulla, in pratica, non esiste se non come essere. “Il nulla non può essere tale che sulla base dell’essere; se qualcosa come il nulla può essere dato, ciò non avviene né prima né dopo l’essere, né, in senso generale, al di fuori dell’essere, ma nel senso stesso dell’essere, nel suo nocciolo, come un verme.” Quindi, a esistere sarà sempre l’essere. Prima l’esistenza, dirà Sartre, e poi l’essenza. In contrasto con una lunga tradizione speculativa della filosofia occidentale il filosofo francese non ha timore di affermare che l’uomo non è definibile perché al suo inizio non è ancora niente. L’uomo è in formazione nel tempo. L’uomo, non sarà altro che ciò che egli stesso progetta di essere. Come scrive Recalcati nella prefazione al libro, “affermare che l’esistenza precede l’essenza, significa affermare che non esiste una natura umana, un’idea a priori di umanità alla quale l’uomo dovrebbe conformarsi per essere uomo, che nessuna essenza universale può procedere l’esistenza singolare”.

L’uomo di Sartre sarà condannato a essere libero e a essere accidentale, transitorio, precario nella coscienza della sua impossibile realizzazione e ciò nonostante, a ergersi affrancato nella sua e dalla sua nullità come uomo del desiderio, dello sforzo di realizzare se stesso e un’umanità migliore. È sorprendente, come i due più grandi esponenti dell’esistenzialismo, Heidegger e Sartre, prenderanno due vie contrapposte quanto meritevoli di analisi e di riflessione. Heidegger si ritirerà nella sua baita di Todtnauberg, nella Foresta Nera nel tentativo di riiniziare l’inizio della filosofia e quindi porre fine alle inquietanti questioni dell’Essere e del suo oblio da parte del pensiero occidentale. Insegnamenti poi racchiusi nella sua opera postuma più rilevante e complessa che sono i “Contributi alla filosofia”. Mentre per Sartre sarà fondamentale l’esperienza politica. La riflessione dell’essere nei suoi approdi esistenziali di verità e responsabilità, di coscienza e azione, lo avvicinerà sempre di più alla prassi politica in una tensione libertaria che gli farà scoprire il pensiero marxista nel suo spirito più profondamente sociale ed egualitario. Nessuna tensione totalitaria, ma la coscienza di assumere la contingenza, l’obbligo, la libertà fino in fondo per riportare l’Essere alla sua condizione di adiacenza. Quella fatticità, scrive Recalcati, nella quale poter ritrovare tutto il peso di una trascendenza subita e di un desiderio nuovo. La stessa cosa è ubriacarsi in solitudine o guidare i popoli, scrive Sartre nelle conclusioni di L’essere e il nulla, se una di queste attività prevale sull’altra, non sarà a causa del suo scopo reale, ma a causa del grado di coscienza che essa possiede del suo scopo ideale. E nel caso succederà che il quietismo dell’ubriaco solitario prevarrà sull’inutile agitazione del condottiero. Ente, Essere, Nulla sono parole che fanno tremare. E aprono questioni che andrebbero sempre e comunque affrontate e trattate con cura. L’uomo nella sua accorta scienza resta “mancante”. Non è bene ignorarlo. Soprattutto di questi tempi, non sarebbe per niente male una riflessione che possa ridefinire una controversia volentieri trascurata in nome di quell’agire che non ha né testa né coda, ma solo uno sterile istinto. Fermarsi. Domandare. E riflettere. Pensare è soprattutto agire, benché non sembri.

[Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla, ilSaggiatore, pagg. 721]

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