Di Cesare e la democrazia rimossa

Libro intenso, dal rigore storico filologico, e perché no, ontologico, irreprensibile. È una storia semantica, politica di due eventi collegati: l’ingresso del popolo alla ribalta della storia e la revoca di ogni potere che presume di essere originario

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Il démos si costituisce contro l’inizio e contro il comando – rompendo l’arché. La nuova distribuzione dei demi ad Atene spezza il principio della nascita, così come quello della ricchezza che ne è l’erede. Il luogo contingente della nascita viene mutato in luogo dove la contingenza dell’abitare destituisce il potere patrio. Viene meno il principio fondante del luogo, il dominio dell’autoctonia. Il démos non è éthnos, non si basa sui legami di sangue e di suolo. E il popolo si dà sempre nel luogo infondato della politica. Come tale non ha un’identità preesistente, ma si ricompone di continuo tornando a dividersi e a definirsi. Divisione dell’inizio, ma anche divisione del comando, il démos è la partizione politica dei senza parte, di coloro che non hanno titoli a comandare, che non rientrano nell’ordine di alcuna arché. Sta in questa sovversione il potere del popolo. Donatella Di Cesare, Democrazia e anarchia, Il potere nella polis, Einaudi, Pag. 250.

Libro intenso, dal rigore storico filologico, e perché no, ontologico, irreprensibile. Ancora, un confronto serrato, tra gli altri, con Hannah Arendt, Claude Lefort, Cornelius Castoriadis, Reiner Schürman, Miguel Abensour pensatori che dopo le derive autoritarie del Nazismo e del Fascismo si sono intensamente interrogati su quella forma di direzione, potere, comando, governo che è la democrazia. In questo perspicace quanto fine confronto, Antonella Di Cesare, riporta alla luce un rimosso di secoli e apre un’inedita e inaspettata prospettiva di ricerca sull’anarchismo. In pratica, che la Democrazia sia legata all’anarchia si rivela, alla fine del libro, ma anche già dall’inizio, non qualcosa di campato in aria come potrebbe apparire, ma qualcosa di più sostanzioso e coinvolgente. L’assunto è perentorio: la democrazia è legata da un nesso indissolubile con l’anarchia. La decostruzione di una storia “monumentale”, in cui si pretende una fossilizzazione della democrazia per banalizzarla e renderla inefficace, sterile, debole, muove dalle pólis greche, dagli Arconti, dall’Atene di Clistene, di Efialte, di Pericle. Il racconto della Di Cesare è seducente, e rende evidente, oltre che gli aspetti rivoluzionari di ribelli e sovvertitori, quindi storici, anche un’analisi linguistica-semantica che rende efficace una lettura, un’ermeneutica che nei fatti contraddice quel racconto “edificante”, della democrazia come potere del popolo. Come se il popolo fosse quell’arché da cui discenderebbe o s’irradierebbe la pólis.

Quest’immagine architetturale, scrive la filosofa, non è altro che la proiezione ottica e, nel tempo, anche mitica, del modo in cui la teoria politica, sulla scia della storia monumentale, ha inteso la democrazia come una forma di regime accanto ad altre, un sistema di governo in parte riuscito. Assunta come un archetipo atemporale, situata nella gerarchia tripartitica (monarchia, oligarchia, democrazia, ndr), – notare come la parola “democrazia” sia l’unica delle tre con diversa terminazione – la democrazia si distinguerebbe per la distribuzione di potere e per la conseguente maggiore difficoltà a governare. Sarebbe così un ampiamento quantitativo che rischia di diluire e intorbidare il comando, far saltare il confine tra il dentro e il fuori. In breve, la democrazia giudicata secondo un fine che la oltrepassa resta consegnata all’indeterminazione. Ciò che in realtà essa è, cioè infondata e senza riferimenti. D’altra parte non è questa la sua fondatezza, la sua rottura, il suo opporsi con forza al principio, all’arché? Non è questa la democrazia? Non è questo il modo in cui essa s’insedia nelle città greche? Da prendere, le città greche o la stessa Atene di Pericle, come avverte la Di Cesare, non come modello, ma come punto di partenza per una riflessione più aperta, senza paraocchi mitici né disprezzo per una presunta incapacità della democrazia di dare stabilità e assetti più duraturi. L’accusa di creare disordine e ingovernabilità, lentezza nelle decisioni è, oltremodo, sempre in voga sin dall’antichità. Gli stessi Platone e Aristotele ne segnalarono in essa lo spettro del caos, del sovversivismo, della confusione, della mescolanza. In sostanza lo spettro dell’anarchia. La Di Cesare, infatti, cita un famoso passo del greco Otane riportato da Erodoto e che aveva impressionato non poco la Arendt: non voglio comandare né essere comandato. La filosofa tedesca ne aveva fatto in seguito un vessillo di libertà: essere liberi significava non comandare e non essere comandati. “L’assenza di arché, di principio e di comando, fa della democrazia, nella sua versione radicale, una non-costituzione che eccede ogni schema archico, ogni enumerazione di titoli e modo di comando. Intesa nella mera negatività dell’alfa privativa, l’anarchia non può assurgere a concetto. Perciò evapora e si dissolve nel disordine – un dissolvimento e una sinonimia destinati a durare per secoli”. Pericle con la scomparsa di Efialte diventa capo indiscusso, ma anche sempre più autoritario. Da una democrazia radicale si passò a un regime “aristocratico e regale”, definito “a parole una democrazia, ma di fatto il governo del primo cittadino”, come si ricava da Plutarco e Tucidide. La morte di Efialte, forse omicidio, segna anche la rimozione della sua immagine. Così Efialte, scrive la Di Cesare, fu cancellato dalla memoria del démos e dalla storia ufficiale della democrazia. Emendata da ogni stásis. Se ne sarebbero invece ricordati gli oligarchi. Non appena al potere, nel 404, i Trenta cancellarono subito le leggi di Efialte. Intanto, afferma la Di Cesare, quanto più la democrazia s’irrigidisce, compattandosi intorno a un’arché, tanto più si autodistrugge; quanto più si apre an–archicamente, permettendo il proprio superamento, tanto più si preserva. Ovvio che l’analisi di una correlazione tra democrazia e anarchia è molto complessa. Tanto più esaminarne i punti salienti in una recensione a un libro che ritengo rigoroso e con molti spunti possibili e originali per chi volesse approfondire una prospettiva affascinante quanto turbolenta. Il libro è diviso in sette capitoli ed è corredato di una densa bibliografia. 1) La democrazia nel pensiero radicale. – 2) Anarcheologia. Lo scavo filosofico. – 3) Lo spettro dell’anarchia. – 4) Tragedia e politica. – 5) Le rifugiate e la vittoria del popolo. – 6) Stásis. Colpi di scena nella storia della pólis. – 7) Arché e krátos. I termini del potere. Ciò che possiamo aggiungere è un doveroso grazie alla Di Cesare per un libro nel quale percorre con severità, disciplina e intelligenza una parola “sbiadita”, a volte trattata con troppo entusiasmo, altre volte con volgare disprezzo. Essa è la parola “democrazia”, démos e krátos. Un libro questo di Donatella Di Cesare che è una storia semantica, politica di due eventi collegati: l’ingresso del popolo alla ribalta della storia e la revoca di ogni potere che presume di essere originario. Protagoniste sono altresì le donne. È una rivolta di straniere, in fuga da violenza familiare, a far emergere, in un verso di Eschilo, il composto che indica la capacità del popolo di affermarsi. La democrazia nasce con l’accoglienza.

[Donatella Di Cesare, Democrazia e anarchia, Il potere nella polis, Einaudi, Pag. 250]

Donatella Di Cesare insegna Filosofia teoretica al Dipartimento di Filosofia e alla Scuola Superiore di Studi Avanzati della Sapienza di Roma. I suoi libri sono tradotti e discussi in molte lingue. Tra essi ricordiamo per Einaudi: Terrore e modernità (2017), Marrani, L’altro dell’altro (2018), Il complotto al potere (2021)

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