Giffoni, involuzione nazional popolare di un festival

La formula di successo della rassegna di cinema per ragazzi e il distacco dal paese che in questo periodo appare come un suq arabo. Raccontano di somigliare a Cannes ma sembra sempre più la sagra del fagiolo

Tempo di lettura 1 minuto

Il Giffoni Film Festival, giunto quest’anno alla LIII edizione, aspira, legittimamente, per la sua acquisita rilevanza a collocarsi nell’empireo delle grandi manifestazioni cinematografiche, Cannes e Venezia tanto per restare in tema. Indubbiamente, l’originalità della formula, la cinematografia dedicata ai giovani, ne ha fatto un brand di successo nel panorama complessivo, cui viene tributato pedissequamente ogni tipo di riconoscimento.

Eppure, c’è un aspetto singolare del Giffoni Film Festival che non sfugge ad un osservatore più attento: il progressivo distacco della manifestazione dalla cittadinanza. In effetti, rispetto alle prime edizioni, senza dubbio dal sapore artigianale, quando si assisteva ad un coinvolgimento totale del paese nella manifestazione, questo aspetto è andato progressivamente scomparendo con delle conseguenze del tutto fisiologiche.

Da un lato si è prodotto un arroccamento della compagine di gestione dell’evento marcata finanche nei termini. La cittadella del cinema, prima roccaforte stabile del Festival, ha ceduto alla più “trendy” Giffoni Multimedia Valley, complesso di edifici di sicuro impatto visivo e di incerta architettura, peraltro all’origine di un contenzioso tra Regione e Comune in ordine alle spese di progettazione, con il risultato evidente di segnare un confine tra spazio interno ed esterno, tra management e cittadinanza. Inoltre, il vertice dell’organizzazione, avvalendosi del suo imprinting originario, intravede nella cooptazione delle funzioni e delle cariche, semmai per successione, il naturale sviluppo di una formula di successo.

All’inverso, il paese reagisce a questo distacco nel modo che gli si rivela più congeniale. Giffoni durante i dieci giorni del Festival subisce una vera e propria metamorfosi, diventa, nei fatti, una specie di suq arabo. Per ogni dove si nota il proliferare di punti vendita, anche all’aperto, per la somministrazione di alimenti e bevande, al netto delle ordinarie autorizzazioni igienico-sanitarie, al netto degli ordinari tributi locali, il cui gettito pure garantisce l’erogazione dei servizi comunali e il cui implemento momentaneo resta tutto a carico dei cittadini. Senza poi contare “la vetrina” che il Festival più o meno direttamente offre e che si traduce nella promozione di prodotti di ogni gamma. A ciò si aggiunga la consolidata prassi dei subaffitti, sconosciuti al fisco, che trasforma normali appartamenti in altrettanti ostelli della gioventù.

Vista da questa prospettiva la reazione di Giffoni al Festival potrebbe meglio essere ricondotta alla più classica fiera di paese, senza nulla togliere a queste manifestazioni spesso di antica e genuina tradizione. E, sotto questo aspetto, anche l’esibizione di varie bande musicali militari, tributo del Festival alla cittadinanza, in qualche modo suggerisce l’idea di uno spettacolo che incrementa la suggestione della festa-paese.

Giffoni come Cannes, Giffoni come Venezia? Per certi versi Giffoni anche come Controne e la sua storica sagra che pure ha fatto del fagiolo una specialità gastronomica.

Previous Story

Il Sud annaspa, per il Pnrr occorrono i fatti

Next Story

Canto per Francesca, la Morvillo ritorna e rivive