La Corneide contemporanea in tv e sui social

Una festa di annuncio di matrimonio tra vip a Torino si trasforma in un falò delle verità. Da De Gamerra, che al tema dedicò sette libri, a oggi: le corna sono una livella

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Un giornaletto scandalistico da ombrellone mi rimanda a una notizia che sento di dover leggere. La questione tocca talmente tanto i nervi scoperti o incerottati di tutti che finiremo per tirar giù i massimi e minimi sistemi (sui social, ovviamente).

Riassumendo: in area geografica sabauda (che secondo un cliché consolidato è azzimata ma pettegola, cfr. fruttero & lucentini), al termine di una festa di annuncio delle nozze (usanza cafona che è in voga anche nella upper class) si consuma il rogo della verità in forma di vanità.

Lui, nubendo navigato, davanti alla futura moglie in brodo di giuggiole per il successo dell’evento, tira fuori una lettera e al cospetto di invitati ben “selezionati”, dal pulpito snocciola, con tanto di allegati fotografici raccolti con minuziosa costanza, i palchi di corna che la fidanzata promessa sposa gli ha issato sulla sommità del capo.

Tutto viene video-ripreso dagli invitati; lei sviene, gli amanti presenti vengono sgamati e scappano (deliziosa perversione con effetto domino!), le code di paglia si infiammano, lui ci tiene a dire che non è contento di tutta questa faccenda e che, copione alla mano, ha deciso di comunicare i misfatti e rompere l’idillio per restituire libertà alla libertina fidanzata (“Cara, vacanza pagata. Stai serena”).
La prognosi, per tutti, è riservata ma non troppo.

In effetti, ormai non più giovane, mi mancavano le corna declamate, le corna di fatto, peraltro, non in costanza di matrimonio.

La scelta dello sbugiardamento pubblico, del tabù infranto è degna dei nostri tempi che sono i tempi del gatto spiaccicato sull’asfalto su TikTok, non posso però negare delle venature tragiche.

D’altronde, da Minosse in avanti non avremmo avuto splendida letteratura senza amori clandestini e corna in danno di qualcuno con i più svariati moventi: per amore, per sfizio o per disagio umano.

Le corna messe in piazza dal cornuto sono una nuova categoria diversa dai panni sporchi, ça va sans dire. Forse rispondono al principio di solidarietà. Non giudico la scelta (le vendette pubbliche sono da sempre ridicolo e parodia) ma rifletto su qualche spunto.

Di certo, in materia, dominando nei millenni una certa mentalità maschile, la più colpevole è stata sempre considerata la donna traditrice (mettiamo un momento da parte la Santippe che se l’è cercata). L’uomo ha preteso da lei, grembo in atto o in potenza, un contegno irreprensibile, in netto contrasto con il diritto che si è auto-attribuito di sfarfallare a piacimento, pur di non morire.
l’art. 559 del Codice Rocco (il Codice penale del 1930 nella sua intatta formulazione) stabiliva: “La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo dell’adultera. Il delitto è punibile a querela del marito.”

E il marito adultero? Per lui non erano previste pene, salvo che il suo contegno costituisse ingiuria grave per la moglie. Dello stesso Codice (Rocco), l’ art. 587, rimasto in vigore (udite udite) fino al 1981, riguardava il cosiddetto “delitto d’onore” e diceva: “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni.”

Insomma, roba pesante.

Diciamo che qualcosa è cambiato: parità di diritti a farsi le corna, le corna sono uguali per tutti. E, forse, forse il nubendo ha sentito il bisogno di offrire subito la sua versione e di farlo pub(bl)icamente. In fondo, a quanto sembra e per comune esperienza delle cose del mondo, tutta la cerchia di amichetti e amichette ne era a conoscenza. Forse conscio di quel darsi di gomito dal parrucchiere, alle altre festicciole, agli aperi-corna, ha voluto consacrare una verità battendo sul tempo la fedifraga, azzerando gli zefiri della calunnia.
Far trionfare la buona fama del tradito, chiaramente questo il suo intento, così da apparire un puro.

Perché in teoria solo un puro può diventare un killer spietato al proprio soldo per impallinare la povera peccatrice recidiva.
C’è solo una nota che stona: il puro impallina col silenziatore, senza dar spettacolo e, realisticamente, annaspando nel suo dolore.

Molto probabilmente abbiamo corrotto anche questo concetto ma se abbiamo in palinsesto Temptation Island, non ci sono molti margini di manovra.

L’occasione di questa prospettiva (che in chi scrive d’occasione è sempre una benedizione) non mi impedisce una retrospettiva a me cara e che riguarda Giovanni De Gamerra, poeta e librettista. Il livornese (che ha la mia simpatia anche per il fatto che fu protetto dalla Duchessa Serbelloni) è tra l’altro, autore dei sette volumi della Corneide poema lubrìco eroicomico in ottave. Tremila pagine di cornuti divini e umani, senza distinzione di genere, accompagnato a zonzo da Euripide come Dante da Virgilio.

Correva l’anno 1773 e appare del tutto evidente che lumi e civiltà della conversazione erano avanti anni luce nell’affrontare il vizietto. La Corneide divertì l’anziano Voltaire, fino a far convinto l’autore a scrivere gli altri sei volumi dell’incredibilmente esteso poema in cui in verboso autore si trasferisce in un immaginario paese di sogno, ai cui lidi approdano schiere di cornuti di tutta la terra, parificati, umili e potenti, nobili e cittadini dalla comune condizione. Le corna come la livella.

Con una prospettiva (barbara, direbbero gli antichi e moraleggianti romani) che posso qui estrapolare e sottoporre al vostro sdegno contemporaneo: “Fra gli antichi non fu mai disonore l’ esser cornuto da qualcun chiamato, ma sempre dinotò gloria ed onore e gloria e onore è suo significato”.

Se avete un prurito in cima alla testa non preoccupatevi, non sono pidocchi ma è vera gloria.

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