Scatole cinesi e scarsa trasparenza dei dati relativi alla proprietà e al controllo dei mezzi di informazione: sono le caratteristiche del sistema informativo italiano. E non è una semplice constatazione informale. La considerazione viene da uno studio di settore e da una classifica che è stata stilata dall’Euromedia Ownership Monitor (EurOMo), database online che fornisce dati sulla proprietà e il controllo dei mezzi d’informazione in Europa. EurOMo ha come obiettivo migliorare la trasparenza delle proprietà e del controllo dei mezzi di informazione nei paesi dell’Unione Europea e monitora la trasparenza in 15 paesi, pubblicando una banca dati e delle relazioni per ogni singolo paese. Si tratta di un progetto pilota cofinanziato dalla Commissione europea.
Il report colloca l’Italia al quartultimo posto della graduatoria ed evidenzia rischi per la trasparenza a causa di “catene di proprietà complesse, mancanza di dati all’interno dei rapporti finanziari che porta a una difficile tracciabilità delle informazioni e a un intricato sistema di finanziamento spesso non trasparente per i cittadini”.
Nel report, il sistema di proprietà dei media nel nostro Paese viene definito come “piuttosto complesso”, specie se si fa riferimento alla vicinanza di editori e proprietari di organi di informazione a partiti politici e/o a gruppi di interesse.
La tendenza consolidata in Italia è la cosiddetta struttura proprietaria della “scatola cinese”. Una situazione che accomuna la carta stampata e l’informazione televisiva, spesso con commistioni tra i due mezzi di informazione: basti pensare che l’impero mediatico di Berlusconi non riguarda solo la tv con Fininvest ma anche Il Giornale, il cui principale azionista è la Società Europea di Edizioni, di proprietà di Paolo Berlusconi, fratello di Silvio. Proprio questo caso, secondo il report, è un chiaro esempio di proprietà contestata: senza essere direttamente proprietario del Giornale, Silvio Berlusconi era in condizione di influenzare la linea editoriale del quotidiano e la scelta dei caporedattori. Ma Fininvest non è solo comunicazione e informazione; è proprietaria anche di Mediolanum Bank e del Monza Calcio.
Il discorso, all’apparenza complesso, vale anche per il gruppo Exor NV e la famiglia Agnelli: Exor possiede la Repubblica, poi La Stampa e Il Secolo XIX tramite il gruppo Gedi ma anche Radio Deejay e Radio Capital, National Geographic e Limes, che appartengono a loro volta a società editoriali possedute da Gedi. Senza dimenticare che Exor controlla Fiat Chrysler Automobiles, Stellantis, Juventus, Iveco, Welltec, Louboutin e Shang Xia. E poi ci sono i discorsi di appartenenza: Avvenire che è il quotidiano della Cei e il Sole24Ore, quotidiano economico legato a Confindustria.
Tirando le somme, in Italia siamo sempre più lontani dalla figura dell’editore puro: l’unico caso che più si avvicina a questa figura – si legge nel report – è quello di Urbano Cairo di Rcs de La7, che è proprietario “solo” anche della squadra di calcio di Torino.
Ecco perché può sembrare abbastanza difficile rispondere a una banale domanda: chi controlla l’informazione in Italia?
Capitolo sovvenzioni pubbliche. L’indagine rileva anche che a una trasparenza sul finanziamento pubblico diretto, fa da contraltare una disinformazione sulle fonti di finanziamento indirette. Cioè – rileva il report – le aziende sono tenute a dichiarare le fonti di reddito derivate dalla cosiddetta pubblicità istituzionale all’Agcom che, però, non rende questi dati pubblici e disponibili.
Il rapporto del 2021 del Dipartimento per l’informazione e l’editoria, inoltre, sostiene che in Italia le cifre relative alle sovvenzioni pubbliche abbiano avuto un incremento del 120%, a seguito di una tendenza generale ad aumentare i sostegni pubblici per la stampa in seguito alla pandemia da Covid-19.