“Povere creature!” Tutti col fiato sospeso fino alla fine

Con questo film (titolo originale Poor things!), il regista greco Yorgos Lanthimos ha dato forma definitiva a un progetto vagheggiato da tempo, che ben si sposa con la sua componente visionaria. Alla notte degli Oscar, la pellicola ha ottenuto una cascata di candidature, portando a casa la famigerata statuetta per le categorie di migliore attrice protagonista, miglior scenografia, migliori costumi e miglior trucco e acconciatura. E il successo al botteghino lo conferma sicuramente tra le opere che più hanno incuriosito il pubblico, anche in Italia

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Dopo essersi aggiudicato il Leone d’Oro all’80esima edizione del Festival cinematografico di Venezia, lo scorso settembre, Povere creature! (titolo originale: Poor things!), il nuovo film di Yorgos Lanthimos è approdato alla notte degli Oscar con una cascata di candidature, portando a casa la famigerata statuetta per le categorie di migliore attrice protagonista, miglior scenografia, migliori costumi e miglior trucco e acconciatura. E il successo al botteghino lo conferma sicuramente tra le pellicole che più hanno incuriosito il pubblico, anche in Italia, non deludendo le aspettative: era il 2018 quando La favorita valse la statuetta dell’Academy Award a una formidabile Olivia Colman. Noto per la sua cifra stilistica non convenzionale, con Poor things! il regista greco ha dato forma definitiva a un progetto vagheggiato da tempo, che ben si sposa con la componente visionaria di Lanthimos.

La sceneggiatura non originale è basata infatti su una delle opere più importanti dell’autore scozzese Alasdair Gray (1934-2019), che ha saputo spaziare tra vari generi letterari sfuggendo abilmente a ogni etichetta. Pubblicato nel 1992 – oggi edito da Safarà Editore nella traduzione di Sara Caraffini – il romanzo rievoca luoghi e suggestioni della Glasgow a cavallo tra i secoli XIX e XX, insinuandosi in quelle zone misteriose al confine tra realtà e immaginazione, ricreando scenari e personaggi di fantasia mai del tutto inverosimili. Ed è probabilmente questo a esercitare un fascino particolare sui lettori: sfruttando una diffusa formula letteraria, Gray si cala nella parte fittizia di un curatore editoriale, alle prese con la pubblicazione di un manoscritto firmato Archibald McCandless, medico e scrittore scomparso nel 1911. Attraverso una narrazione instancabile e familiare, l’autore racconta dell’incontro con la sua futura moglie ai tempi dell’università: è Godwin Baxter, figlio di uno dei più grandi medici scozzesi – che dal padre ha ereditato il talento ma non la popolarità – a presentargli la giovane Bella. Baxter descrive allo studente le circostanze che l’hanno spinto a ridare una nuova vita alla donna, compiendo una scelta inedita: da quel momento, come tornata bambina, Bella apprende progressivamente tutto quanto la circonda, è incoraggiata nel ragionamento logico e tenuta accuratamente lontana dai preconcetti. Prima di sposare McCandless, la protagonista intraprende un vero e proprio viaggio di formazione e scoperta accanto al seducente avvocato Wedderburn, inconsapevolmente libera e provocatoria agli occhi del mondo. Preziosa testimonianza per il manoscritto di Archibald, le lettere che Bella invia a Godwin, in cui le riflessioni si intrecciano alla cronaca.

Innumerevoli i temi che si susseguono nelle pagine di Gray: se l’arte medica vi gioca un ruolo centrale, la sua scrittura è paragonabile a un’esplorazione anatomica, che mette a nudo con occhio oggettivo alcune contraddizioni della società moderna. Fondamentale è la ricerca dell’identità, la necessità di distinguere il proprio sentiero nelle trame della storia e del mondo («Faccio la raccolta di infanzie da quando quello scontro ferroviario ha distrutto ogni ricordo della mia», dirà Bella, sempre attenta alle vite degli altri: «Sulla barca che risaliva il Nilo c’era una signora elegante che viaggiava da sola e qualcuno ha detto che era una donna con un passato. Oh, come l’ho invidiata!»), come primo, indispensabile passo per potersi interessare agli altri. Ma l’identità è anche appartenenza a una dimensione collettiva, come sottolineano le numerose allusioni all’importanza di una letteratura nazionale, e della cura degli spazi urbani che custodiscono l’anima di una città: è Glasgow il cuore pulsante del romanzo, così come scozzese è l’accento acquisito da Bella Baxter. Partendo dai sensi, passando per le relazioni e la costruzione degli ideali – anche grazie ai personaggi che incontrerà sul suo cammino – la protagonista si avvia verso una progressiva e dolorosa presa di consapevolezza delle ingiustizie sociali, di cui ella medesima si ritroverà vittima. Bella sarà infatti temporaneamente intrappolata in quella stessa rete da cui Godwin Baxter ha provato a liberarla: una denuncia della limitante condizione femminile e, più in generale, di quelle convenzioni che impediscono al genere umano di condurre una vita dignitosa e felice.

Bella Baxter può travolgere, scandalizzare o annoiare, ma non si può fare a meno di invidiarle la capacità di rigenerarsi: affamata di vita, la divora con una curiosità che non conosce pregiudizio. È proprio questo punto di vista che i due uomini di scienza si sforzano di abbracciare per amor suo, e nel quale lo spettatore può riconoscersi, provando ad avvicinarsi al suo modo impavido di percepire il mondo. L’eccezionale varietà delle tematiche affrontate da Gray è una delle sfide raccolte da Lanthimos, che le traduce in immagini evocative, a volte stranianti – grazie a una combinazione efficace dei colori e delle inquadrature – curate nei minimi dettagli, in cui si inseriscono le brillanti interpretazioni di un cast nel quale spiccano Emma Stone (Bella Baxter) e Willem Dafoe (Godwin Baxter). La sceneggiatura stravolge in parte il finale, omettendo il commento di Bella sui fatti narrati dal marito. Pagine in cui lo scrittore scozzese cela un’ulteriore chiave interpretativa, arrivando a mettere in discussione l’intera trama e gli stessi personaggi, tenendo il lettore col fiato sospeso. Una ragione in più per lasciarsi catturare dal romanzo e confrontarsi con un’eroina fuori dal comune.

Annateresa Mirabella

Nata nel 1996, è laureata in Semiotica e in Filologia Moderna. Attualmente frequenta il master in Critica Giornalistica presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico

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