La libertà sepolta nei meandri di Castel Capuano

"Una vita nascosta", secondo romanzo di Enrica Mormile, propone un'avvincente storia a mezza via tra la narrazione calviniana del fantastico e il realismo magico di Marquez

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Dalla Sicilia alla Campania. Dallo sconosciuto Fontepetra Castronia – un paesino immaginario dell’entroterra isolano, fuori dagli stereotipi di una terra “arida e arsa dal sole” – alla Napoli degli anni Sessanta, tra Porta Capuana e Castel Capuano; due luoghi simbolo del centro cittadino, un tempo appartenuti al quartiere della Vicarìa. Non sembra accadere per caso questo spostamento, nello spazio e nel tempo, per il secondo romanzo di Enrica Mormile, Una vita nascosta, pubblicato dall’editore Castelvecchi che segue Il viale dei cancelli, libro d’esordio del 2019 d’ambientazione sicula. Forse perché Mormile nasce ancora più a Sud – a Tripoli – da madre siciliana e da padre napoletano. Forse perché a Napoli si forma, dopo il liceo classico e l’Accademia delle Belle Arti, dedicandosi prima alla scultura e poi come autore e regista teatrale. E dunque, questo aspetto nient’affatto marginale del vissuto ritorna – con modalità e misure narrative diverse – in entrambi i romanzi.

Due libri pensati e scritti, per inciso, lontano dalla Campania e dalla Sicilia, come la stessa Mormile rivela nella nota di ringraziamento in chiusura di Una vita nascosta: “L’idea di questa storia è nata molti anni fa. Abitavo ancora a Napoli e mi trovai a Castel Capuano per risolvere una questione legale che riguardava l’acquisto di una casa. Nelle sale, affollate e caotiche, si aggiravano avvocati, affiancati da personaggi con facce poco affidabili e ricordo che mi venne da pensare che se un imputato fosse riuscito a fuggire e si fosse nascosto nei meandri di quell’immenso palazzo, ci sarebbe potuto rimanere nascosto e indisturbato per mesi, forse tutta la vita. Un bel po’ di anni dopo mi decisi a mettere su carta la mia storia. Tornai a Napoli nella speranza di visitare Castel Capuano prima dei profondi cambiamenti decisi dalla Fondazione per dare al tribunale una differente destinazione d’uso”.

E qui entrano in gioco alcune figure ‘metaletterarie’ che diventano fondamentali per la gestazione della trama: la dottoressa Floretta Rolleri, la prima donna magistrato di Cassazione in Italia e Presidente del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione che si oggi occupa del palazzo; lo storico custode Oreste Capuano – che per coincidenza portava lo stesso cognome della struttura – accompagnatore alla scoperta delle sale più suggestive e nei tanti spazi chiusi al pubblico (ma non per questo meno interessanti o privi di bellezza, nonostante i lavori di ristrutturazione ancora in corso).

In questa cornice si sviluppa l’intreccio narrativo: nel vicino quartiere della Duchesca avviene uno scontro tra due bande di “guaiune”: l’assalto dei ragazzi della Vicarìa si conclude con la morte del giovane Tonino, ucciso dal coetaneo Gennaro Di Majo. Il morto è, però, il fratello di Michele “’o cecato”, capo della banda della Duchesca, il quale decide di vendicarsi lavando col sangue l’offesa subita. Ma Michele non ha tempo di portare a termine il suo piano perché, intanto, la polizia arresta l’omicida, insieme con il fratello maggiore Alessandro – che tutti chiamavano Sandor, come il padre – assolutamente estraneo alla vicenda. I due ragazzi vengono subito divisi: il più giovane al carcere minorile di Nisida e Sandor a Poggioreale, in attesa del processo con la difesa affidata all’avvocato d’ufficio Vincenzo Caramanna. Al terzo fratello, l’ebanista Karl, appare subito evidente l’inadeguatezza del difensore che gli aveva subito fatto capire come stavano le cose. Nessuna speranza per Gennaro, già pregiudicato; qualche carta a favore di Sandor, ancora incensurato. E così quest’ultimo matura la sua decisione, l’unica via di salvezza per lui possibile: la fuga.

Un’idea apparentemente folle e irrealizzabile nel palazzo della giustizia napoletana. Ma il detenuto conosceva meglio di chiunque altro quel posto, avendoci lavorato come aiutante del fratello negli interventi di abbassamento del soffitto con pannellature di truciolato che avevano creato uno nuovo spazio, angusto e molto basso. Ma “Sandor aveva ereditato dal padre ungherese le doti di contorsionista e così come il suo corpo poteva piegarsi ed entrare in spazi ridottissimi anche le sue mani dalle giunture disarticolate, potevano scivolare fuori dalle manette. Era consapevole dell’assurdità di quel progetto, ma non era riuscito a ideare nulla di meglio. Si sarebbe sfilato le manette nel percorso verso l’Aula delle udienze in un momento di distrazione dell’avvocato e approfittando del caos che affollava le sale del tribunale, si sarebbe allontanato confondendosi tra la folla. Appena fuori dalla vista dell’avvocato e delle eventuali guardie, sarebbe corso verso le scale fino al primo piano, sarebbe entrato in bagno, avrebbe sfilato un pannello del soffitto e si sarebbe issato dentro la controsoffittatura, richiudendolo. Aveva sussurrato a Gennaro il suo piano e con le mani che si toccavano, entrambi avevano incrociato le dita”.

Il piano riesce e dà inizio al vero intreccio, a mezza via tra la narrazione calviniana del fantastico e il realismo magico di Marquez: Castel Capuano – o meglio, la soffitta con le tante stanze segrete che quasi magicamente si aprono nei percorsi di scoperta di Sandor – diventano lo scenario della vicenda, contenuta in un lungo arco di otto anni. In questo lasso di tempo il giovane recluso conoscerà amici reali (il nano Dante) e fantastici (un fantasma); manterrà per poter sopravvivere, con mille espedienti, i rapporti con la famiglia e poche persone fidate nel mondo esterno napoletano; coltiverà la passione del canto e lo studio della giurisprudenza (non poteva essere diversamente, in un posto del genere); conoscerà l’amore e le sue pene (nella controversa storia d’amore con Giordana); riuscirà, infine, mettendo insieme tutti questi elementi apparentemente diversi, a giungere a un inaspettato happy end. Fino all’ultimo segreto – qui non svelato, lasciandolo alla curiosità del lettore – che si presenta nel capitolo conclusivo: nella luce estiva e nel silenzio di libertà, “quasi vertiginosa, intima e segreta”, coincidenti con l’abbraccio risolutivo di Sandor e della donna amata.

Enrica Mormile, Una vita nascosta, Roma, Castelvecchi, 2022, pp. 241

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