Un avvincente viaggio narrativo sulle tracce di Omero

Nei mari di Ulisse è il libro con cui Maria Teresa Giaveri tesse l'ordito del suo romanzo storico e pure di una personale riscrittura “metamorfica” dell’Odissea

Tempo di lettura 2 minuti

Maria Teresa Giaveri, Nei mari di Ulisse. Sulle tracce di Omero alla scoperta di Palmira, Neri Pozza, 2023, pp. 237.

Alle sette di sera del 5 maggio 1750 il trealberi Matilda – sotto il comando del comandante inglese Richard Puddie – salpava dal porto di Napoli alla volta delle lontane terre del Levante. Le vele, ben tese per la “brezza favorevole”, spingevano l’imbarcazione fuori dal golfo; allontanandola dalla “muntagna” fumante e dando così inizio a un’avventurosa spedizione sulle rotte di Odisseo. O meglio – come si legge nel sottotitolo di Nei mari Ulisse, il secondo romanzo di Maria Teresa Giaveri dopo il fortunato esordio con Lady Montagu e il dragomanno – “sulle tracce di Omero alla ricerca di Palmira”. Era proprio questo il proposito dei tre noblemen d’oltremanica organizzatori del viaggio: James Dawkins “ardente e generoso”, John Bouverie “esile e gentile”, Robert Wood “abile pianificatore dagli esiti fecondi” ai quali si aggiungeva l’architetto e disegnatore italiano Giovanni Battista Borra, “l’unico barbuto, l’unico silente”. “Dawkins, Bouverie, Wood e Borra avrebbero operato con abilità […] Wood si sarebbe occupato della topografia e della epigrafia, Dawkins avrebbe studiato minerali, fauna e flora, Bouverie e Borra si sarebbero dedicati ai ritrovamenti architettonici. Propiziate dall’accurata preparazione e dagli alti compensi, anche le collaborazioni esterne si sarebbero dimostrate efficaci: precise le informazioni, esperte le guide, ben lieta di essere ingaggiata la manodopera locale”. Più di un anno di navigazione – toccando le coste del Mediterraneo per giungere a Costantinopoli e poi dalla Troade fino al cuore dell’Anatolia sotto le mura del castello di Samsun per finire a Guzel Hissar, dove la spedizione avrebbe tristemente perso uno dei suoi componenti – durante i quali presero forma i tre volumi divenuti poi fondamentali nella bibliografia archeologica e negli studi omerici dell’epoca; tutti curati da Wood e tutti stampati grazie al contributo economico di Dawkins: Le rovine di Palmira (The Ruins of Palmyra del 1753); Le rovine di Balbec (The Ruins of Balbec, 1757); l’ultimo e più famoso Un’indagine comparata dello stato antico e presente della Troade. Al quale è aggiunto un saggio sul genio originale e sugli scritti di Omero (A comparative View of the Ancient and Present State of the Troade. To which is prefixed an Essay on the Original Genius and Writings of Homer, 1767). Soprattutto rimandando a tali fonti e sempre conservando la traccia dei due poemi omerici Maria Teresa Giaveri – che è stata professore di Letterature francese e Letterature comparate nelle università di Napoli e Torino, Accademica delle Scienze, Chevalier des Artes et des Lettres e vicepresidente del Pen Club Italia – ricostruisce puntualmente la storia di questo avventuroso viaggio; aggiungendo a fatti accaduti e a personaggi realmente esistiti nuove figure (l’anziano marinaio napoletano Nunzio, i coniugi Maitland, autori della “più sorprendente e innovativa lettura del testo omerico”) ed alcuni episodi liberamente ispirati alla vicenda reale. In ventiquattro capitoli – tanti quanti sono i libri di Iliade e Odissea – Giaveri tesse l’ordito del suo bel romanzo storico, sulla falsariga di un viaggio narrativo polimorfico (il Grand Tour, le missioni archeologiche, le rotte geografiche secondo la narrazione dei classici antichi) ma pure della sua personale riscrittura “metamorfica” dell’Odissea, nient’affatto nuova a riletture di tal genere. “L’Odissea”, spiega Giaveri introducendo il viaggio nei mari di Ulisse, “Si è già trasformata in viaggio ultraterreno sotto la penna di un aspro poeta fiorentino, in una passeggiata dublinese, in traversata fra le isole dei Caraibi ad opera del red nigger Derek Walcott. E si può trasformare in nuovi infiniti percorsi offerti al piacere del lettore: per esempio, in un viaggio materiale di violenza e di seduzione sotto il segno della menzogna, disvelato per puro divertimento dallo sguardo sospettoso di un architetto piemontese e dal gusto dissacrante di un giovane esteta inglese – passeggeri che la precisione storica e la fantasia romanzesca ricreano intenti a chiacchierare a bordo di un veliero volto a Levante, nell’azzurro di una primavera mediterranea”.

Previous Story

Parigi, luogo dell’anima di un flâneur dall’altra parte dell’Atlantico

Next Story

La libertà sepolta nei meandri di Castel Capuano