Il silenzio dei competenti e la stupid intelligence

Gli albori dell'intelligenza artificiale e il suo fine nobile e gli scenari futuri di una novità oramai sulla bocca di tutti

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Ed eccoci all’argomento sul quale tutti ci sentiamo in dovere di dire la propria: l’I.A. … che i guru specialisti di settore chiamano confidenzialmente “The Stupid Intelligence”.

Noi c’eravamo dentro già da circa 15 anni ma quella élite di aziende che già la utilizzava e che faceva utili stratosferici non ci aveva mai fatto sapere che Siri di Apple, Alexa di Amazon, etc.. erano già chatbot e che la comodità di comprare, prenotare, disdire, scegliere, facendo tutto on line era già Intelligenza Artificiale. Ora con ChatGBT di OpenAI avviene la democratizzazione dell’I.A. e le masse penseranno di approcciare tutto lo scibile possibile, diventare opinionisti, svelare i complotti della politica e sapere per certo se la Terra è come la pizza margherita ma con un cornicione di ghiaccio. Si scherza, ma il rischio di ingarbugliare ancor di più il pensiero critico, c’è.

…l’Intelligenza Artificiale non può sostituire l’essere umano, può invece aiutarlo ottimizzando il suo operato, etc, etc..”; ce lo ripetono in tutte le salse per rassicurarci e magari è vero perché tecnicamente parlando essa è stupida, prende solo i dati da quel bagaglio infinito che ha alle spalle, li rielabora e fa predizioni non ragionamenti o speculazioni, questi li dovremmo fare noi.

Proprio per queste predizioni esiste un bel problema per le professioni intellettuali, perché nei prossimi anni con il dilagare dell’accesso libero all’I.A. -e prima che nascano nuovi mestieri o si riposizionino quelli storici- saremo sommersi da quella confusa nube predetta da Umberto Eco che era convinto che non si tiene mai nella giusta considerazione il potenziale nocivo delle “legioni di imbecilli” che con i social nel recente passato sono diventati opinionisti… ed ora chissà cosa diventeranno con l’IA.

Dovremo aspettarci opinioni e consulenze di stregoni di medicina, sciamani di rimedi farmaceutici, indovini legali e fattucchieri fiscali che non hanno fatto un giorno di Università e forse neanche di Liceo… ma avendo diritto di parola, con pochi dubbi ed abituati a porsi poche domande, non avranno remore a diffondere contenuti incongrui per un minuto di gloria, come le foto di Papa Francesco sullo skateboard e tanto altro! Tutto ciò potrebbe portare ad una ulteriore chiusura mentale di buona parte della popolazione intellettualmente ingenua perché sarà difficile distinguere il vero dal possibile o dall’inammissibile.

Eppure agli albori dello sforzo nella creazione dell’I.A., negli anni ’80 e ’90, gli scienziati ed i ricercatori seriamente pensavano di lavorare per il bene dell’umanità intera e di operare un po’ come Albert Sabin -ideatore del farmaco per la poliomelite- che non volle brevettare la sua scoperta e donò la sua ricerca all’O.M.S. Ma i tempi si allungavano, i fondi non erano adeguati per sviluppare l’I.A. e iniziavano ad essere sempre più visibili e manifeste le potenzialità in termini di potere sociopolitico e di finanza; cominciarono quindi ad arrivare i miliardi di dollari delle aziende più capitalizzate, le più solerti furono Google dal 2010, Microsoft dal 2014, Meta dal 2013, Amazon dal 2016 e di seguito anche Apple, Tesla, Intel e la cinese Alibaba.

Era infatti evidente che l’I.A. avrebbe abbreviato in modo esponenziale sia i tempi per la soluzione di problemi sul tavolo da anni che la trasformazione di diversi settori dell’economia tra cui la produzione, la finanza, la ricerca sanitaria, l’istruzione, la medicina e, soprattutto, la logistica e la difesa militare: è ormai evidente che non è un caso che oggi Putin in Ucraina più che imprecare al cielo non riesce a fare da quando a fine 2022 sono arrivati logistica e dispositivi guidati dall’I.A. U.S.A.

Ma qual è il prossimo futuro delle attività intellettuali?

I sistemi di I.A. saranno utilizzati sempre più per svolgere compiti complessi che richiedono un grado di approfondimento superiore. Acquisendo sempre più dati si paventa che l’I.A. possa portare -almeno agli inizi di questa nuova rivoluzione culturale– ad un appiattimento delle competenze professionali, in altre parole si teme che possa indurre molta gente con il suo supporto, a fare cose per le quali non sono preparate abbassando di molto la qualità generale delle consulenze. Ciò potrebbe accadere ma non sarà un miraggio di lunga durata, perché se è vero che con l’I.A. si possono automatizzare compiti come scrivere articoli, fare mestieri creativi, diagnosticare malattie, etc.. ci sarà sempre la necessità di chi dovrà fare di persona un’intervista, raccogliere una storia, visitare un ammalato, analizzare le potenzialità di mercato di un’azienda per poi riversare i dati raccolti nell’I.A. e avere output sempre più precisi ma sempre da valutare

Però è assodato che si stima che entro il 2030 a causa di essa “…si perderanno in Italia dai 1,2 a 2,4 milioni di posti di lavoro” (cit. ManpowerGroup) e che “…nel mondo si prevede la perdita dai 400 ai 600 mln di posti” (cit. McKinsey Global Institute) e specialmente in settori come manifattura, logistica, trasporti, informazione e vendita al dettaglio; certo se ne creeranno di nuovi e col tempo ci sarà un buon recupero nei settori tecnologia, sanità, istruzione, ricerca e sviluppo e creatività, ma il saldo alla fine sarà tuttavia negativo.

Messo così, il futuro non sembra roseo ma neanche nero, forse sarà un grigio chiaro ma occorre attendere per saperlo. Probabilmente l’unica cosa che rimarrà costante saranno i continui post sul web sugli argomenti più disparati e con baggianate supportate dagli output dell’IA, abbondantemente fraintesi; accadrà allora che la maggior parte dei competenti, quelli che sanno davvero le cose, patiranno la Sindrome dell’Impostore1 e sceglieranno di stare zitti piuttosto che contestare tali messe di corbellerie, perché da sempre il silenzio è l’ultimo rifugio della dignità culturale.

 

[1] Sindrome dell’Impostore: non è un disturbo mentale, ma è la convinzione intima di chi studia e ricerca di godere di una stima immeritata, quasi sproporzionata rispetto alle proprie competenze.

 

 

 

 

Carlo De Sio

Laurea in Scienze Politiche ed Economiche, Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni; dal 2015 è impegnato in attività di Lobbying indipendente in Italia e all’estero. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999

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