Comunicazioni contro: danni culturali e crisi nelle istituzioni

I social hanno democratizzato la parola. Ma il rischio è una invadenza di contenuti e un crescente clima di intolleranza e durezza

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Difficile restare indenni dopo una lettura di un qualsiasi scritto di Umberto Eco; non parlo dei suoi romanzi eterni, sui quali davvero non potrei dire nulla, ma dei suoi scritti sociologici come “La società liquida” che benché pubblicato nel 2011 sembra scritto domani. Lo seguo da sempre rubando quel poco che potevo per quel che è stato (ed ancora lo è sotto altri aspetti) il mio mestiere per quaranta anni: la comunicazione d’impresa.

Per tale ragione ritengo che quella celebre frase di Eco nella Lectio Magistralis nel 2015 tenuta all’Università di Torino “I social danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività, etc..” vada interpretata oltre una banale critica ai social, essa pone una sfida sociologica nel comprendere i cambiamenti culturali e il ruolo dei social media nella formazione dell’opinione pubblica. Eco sembra indicare che l’accesso senza restrizioni alla sfera pubblica digitale possa comportare danni culturali significativi.

Quella frase fu detta durante il boom dei social, divenuto poi inarrestabile dalla seconda metà degli anni ’10, profetizza con lucidità la trasformazione dell’attuale panorama comunicativo. I social sono l’epicentro del dibattito pubblico, offrendo a chiunque una piattaforma per esprimere opinioni e condividere contenuti. Questa democratizzazione della comunicazione ha portato benefici evidenti, ma Eco mise in luce il lato oscuro di tale fenomeno: la possibilità che la democrazia della parola si trasformi in un’invadenza di contenuti superficiali o addirittura nocivi.

Il concetto insito in “Legioni di imbecilli” solleva la questione della qualità del discorso online. La facilità con cui chiunque può pubblicare un commento, condividere una notizia o partecipare a una discussione ha abbattuto le barriere tradizionali, ma ha anche aperto la porta a un dilagare di informazioni erronee, odio e intolleranza. La parola, che dovrebbe essere uno strumento di comprensione reciproca, rischia di trasformarsi in un veicolo di equivoci e polarizzazione.

D’altro canto, Eco sembra anche sottolineare una certa nostalgia per un’epoca in cui le discussioni avvenivano faccia a faccia, magari al bar dopo un bicchiere di vino. Questo richiamo potrebbe essere interpretato come una critica alla mancanza di riflessione, confronto e ponderazione nei discorsi online, dove l’anonimato e la distanza fisica possono alimentare comportamenti irriflessivi e contegni illogici basati su tre presupposti:

L’IMBECILLITÀ: al di là dell’apparente offesa, credo sia essenziale esaminare tale concetto in un contesto più ampio. Eco potrebbe non aver inteso l’espressione in senso letterale, ma piuttosto come un riferimento a un impoverimento del discorso pubblico. La dilagante presenza di contenuti semplicistici e la tendenza a promuovere opinioni non supportate da dati potrebbero contribuire a una sorta di imbecillità collettiva in cui la complessità delle questioni sociali viene ridotta a banalità.

LA VELOCITÀ: Un aspetto cruciale da considerare poi, è la rapidità con cui le informazioni si diffondono attraverso i social media. La sveltezza e la viralità con cui si condividono notizie e contenuti artatamente sensazionalistici possono amplificare idee errate o semplificate, contribuendo così alla formazione di una cultura basata su presupposti alterati. Questo fenomeno porta sicuramente a una percezione distorta della realtà e a un impoverimento del dibattito intellettuale.

LA FORMAZIONE: Il ruolo delle piattaforme sociali nel plasmare le opinioni è un altro elemento chiave. Algoritmi che favoriscono il coinvolgimento attraverso la provocazione o il contenuto polarizzante possono alimentare una cultura che premia l’estremismo a discapito della riflessione critica. La ricerca spasmodica di like e di condivisioni porta poi a una semplificazione eccessiva delle idee per attirare l’attenzione, contribuendo così a una cultura dell’istantaneità e della superficialità.

Umberto Eco non a caso ha fatto il passaggio da uno spazio pubblico fisico –il bar con amici di bicchierata– a uno digitale dove la mancanza di contatto fisico e soprattutto di confronto sociale come un contraddittorio, uno sfottò o un simpatico vfnc amicale, facilita senz’altro comportamenti impulsivi, vanagloria e una maggiore propensione a esprimere opinioni estreme senza le consuete restrizioni sociali.

Infatti, la responsabilità individuale nel consumo e nella produzione di contenuti online è una considerazione cruciale; le riflessioni sociologiche sulla frase di Eco ci invitano a esplorare il lato oscuro della democratizzazione della comunicazione digitale. La formazione di una cultura digitale partecipata da tutti e in specie da chi sa meno, richiede un’analisi critica dei meccanismi attraverso cui si diffondono le idee e una consapevolezza della responsabilità individuale nella partecipazione al dibattito pubblico online.

Umberto Eco in un’occasione aggiunse che non si dava la necessaria importanza ai danni culturali e sociali provocati dalla “Legione di Imbecilli”. Egli riteneva che la politica e la società tendevano a sottovalutare il potere dei Social a diffondere informazioni infondate e dannose ed era preoccupato per il fatto che la Legione stesse contribuendo a una polarizzazione della società, creando un clima di intolleranza e durezza con Comunicazioni contrapposte, fondate su informazioni superficiali e/o interessate, che quanto prima avrebbero portato un impatto negativo sulla democrazia con un aumento di inutili ostilità e una conseguente crisi della fiducia nelle Istituzioni. È quanto è avvenuto: da tempo covava, con la pandemia Covid si è rafforzata, oggi è realtà tangibile.

Carlo De Sio

Laurea in Scienze Politiche ed Economiche, Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni; dal 2015 è impegnato in attività di Lobbying indipendente in Italia e all’estero. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999

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