Il nuovo assillo web: i figli sono meno intelligenti?

La generazione Zeta preferisce parlare al presente, ma è la società stessa che va trasformandosi e quindi muta anche la lingua che sta acquisendo modalità più veloci. Ciò che preoccupa è la carenza di comunicazione interpersonale in presenza e non mediata da un monitor

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Oltre alla comunicazione dei complottisti web, che sta cambiando strada e affinando le tecniche, ora ci si mettono anche le testate giornalistiche (Ansa, Italia Oggi, etc..) a darci qualche assillo: “…Da circa 10 anni i figli stanno crescendo meno intelligenti dei genitori… Mai successo prima… Il Quoziente Intellettivo medio della popolazione mondiale sta diminuendo nell’ultimo ventennio…

A monte di tutto ci sono quelle esternazioni da Bar dello Sport: “È colpa di Internet se la memoria e la capacità di apprendimento dei giovani è scaduta… il linguaggio si è impoverito come l’incapacità di formulare un pensiero complesso… la progressiva scomparsa del congiuntivo, dell’imperfetto, del futuro con la sostituzione di frasi al presente, etc..” Insomma se vogliamo cose non del tutto infondate; vero che la generazione Zeta preferisce parlare al presente, ma è la società stessa che va trasformandosi e quindi muta anche la lingua che sta acquisendo modalità più veloci; ogni tanto dimentichiamo che ogni nuova generazione apporta novità comportamentali e lessicali; noi nel nostro minimo negli anni ’70 abbiamo apportato le nostre e subìto le critiche di chi era più vecchio di noi, ma anche Catone 22 secoli fa criticava “I giovani di oggi che sono interessati solo al denaro e al piacere. Non hanno rispetto per gli anziani e non si preoccupano del bene della Repubblica…”: passa il tempo ma gli argomenti nello scontro generazionale cambiano poco.

Ma l’argomento che gira oggi sulla tastiera di questi specialisti di assilli del web è reale?

È il nuovo tormentone di moda o davvero i giovani stanno diventando meno intelligenti?

  • La risposta secca è NO; non c’è nulla che indichi che il Q.I. della popolazione mondiale di bambini e adolescenti sia in diminuzione, ma ancora non si sa come evolverà con l’uso dell’I.A.
  • La risposta lunga e argomentata è che pur essendoci dati che suggeriscono che il Q.I. potrebbe essere in diminuzione in alcune aree del mondo, un meta-analisi del 2022 che ha esaminato i dati di 28 studi su 73.000 bambini e adolescenti, ha rilevato che il Q.I. medio è aumentato di 0,3 punti ogni decennio negli ultimi 100 anni; ma la stessa analisi ha anche rilevato che l’aumento del Q.I. è rallentato negli ultimi decenni e per i bambini USA addirittura diminuito di 0,1 punti ogni decennio dal 1990 attribuendo questa diminuzione alla dilagante obesità infantile, alla diminuzione del tempo trascorso a giocare all’aperto, ai cambiamenti nelle pratiche educative, all’aria inquinata e all’esposizione a sostanze chimiche e pesticidi.
  • Poi -come sempre- ci sono ricerche contrarie fatte da Timothy Bates, dell’Università di Edimburgo e Michael Cole, dell’Università di Chicago che dimostrano che non è vero che i nostri figli sono meno intelligenti di noi e un altro studio del 2022 condotto da un team di ricercatori dell’Università di Cambridge, guidati da Simon Baron-Cohen ha rilevato che i bambini di oggi sono più bravi a risolvere problemi di logica … Insomma, nulla di definitivo, è tutto ancora in studio.

L’assillo mediatico in atto per ora serve solo a fare titoloni tipo “figli meno intelligenti?” che turbano soprattutto i genitori, ma sorge una domanda:

Ma l’intelligenza è solo QI o c’è molto altro?

Ho provato a cercare un termine spiegasse cosa sia l’intelligenza, se fosse solo QI o anche dell’altro; ho trovato tanti significati ma mi sono fermato su un concetto parlava di Emozioni, Relazioni, e Capacità di reinventarsi e di entrare in empatia con gli altri… e qui sorge un intoppo: è noto che ci siano diversi ragazzi autistici con QI oltre i 100, alcuni addirittura sfiorano i 140 ma con nessuna capacità empatica, relazionale o emozionale: sono da considerare intelligenti o no?… Come si fa a dare una definizione secca di “intelligenza”? Bisogna andare oltre: di certo quella che viene definita una intelligenza funzionale sarà sempre ad appannaggio di quella cerchia di umani che fa funzionare il mondo, ma poi c’è l’intelligenza emozionale che fa eccellere in arti e professioni, per poi finire con la genialità, quella riservata dal caso o dal padreterno a una limitatissima élite di persone che s’inventano cose che ieri non c’erano o intuiscono realtà che nessuno aveva capito… e qui c’incamminiamo a volte nel terreno dei disturbi del pensiero, dell’emotività e del comportamento, i casi non mancano da Tesla a Nash, a Mozart, a Nietzsche e così via.

Allora io mi preoccuperei più prosaicamente, dal punto di vista sociologico, non tanto se i nostri figli siano più o meno intelligenti ma di quella carenza sempre più accentuata tra i giovani d’oggi di una comunicazione e/o relazione interpersonale e collettiva in presenza e non dietro a un monitor: la mente umana ha bisogno di esperienze sociali, di contraddittori e tesi contrapposte, perché solo così si possono misurare ed eventualmente temperare le proprie emozioni.

L’incapacità di descrivere le proprie emozioni può portare a una diminuzione del pensiero critico in diversi modi. Innanzitutto, può rendere più difficile comprendere le proprie motivazioni e le proprie azioni. Se non siamo in grado di identificare le emozioni che ci guidano è più probabile che agiamo in modo impulsivo e inconsapevole. In secondo luogo, l’incapacità di esprimere le proprie emozioni può portare a una mancanza di empatia per gli altri. Se non riusciamo a capire come ci sentiamo noi stessi, è più difficile capire come si sentono gli altri. Tutto ciò può portare a conflitti e incomprensioni se non a una maggiore aggressività.

Quindi il fatto che oggi ci chiediamo se il QI dei ragazzi possa essere uguale, minore o superiore al passato è un problema da tenere sotto osservazione perché allo stato non s’intreccia con la capacità di relazionarsi o di esprimere le proprie emozioni… la cosa la verificheremo nel prossimo futuro perché c’è tutto un mondo sociale da scoprire dietro l’uso dell’Intelligenza Artificiale, quando forse disabituati a confrontarsi e ad avere un’opinione su qualcosa basandosi sul proprio sapere o esperienza di vita, ci si collegherà all’IA per farsene dare una…

Sarà orribile o pratico?

Carlo De Sio

Laurea in Scienze Politiche ed Economiche, Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni; dal 2015 è impegnato in attività di Lobbying indipendente in Italia e all’estero. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999

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