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Testimoniare, così la cronaca diventa storia

Il direttore dell'Ansa Luigi Contu delinea le nuove frontiere del giornalismo

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Luigi Contu

«Quanto è importante l’informazione? Ce lo ha spiegato la guerra: se non ci fossero stati i giornalisti a testimoniare quello che accadeva in Ucraina, la propaganda social dei russi avrebbe raccontato tutta un’altra storia».

Luigi Contu, classe 1962, dirige l’Ansa da quattordici anni. È arrivato in redazione nel 1985 e, dopo una parentesi come responsabile della redazione interni di Repubblica, è tornato nel 2009 a capo della prima agenzia di stampa del nostro Paese. Dagli anni Ottanta, quando Contu ha mosso i primi passi nel mondo della professione, a oggi l’informazione ha attraversato cambiamenti epocali che hanno influito sul modo di fare giornalismo e hanno gradualmente cambiato questo mondo.

La forza delle immagini è diventata

centrale nel racconto degli eventi

Direttore, quanto è cambiata la professione in poco meno di quarant’anni?

«Tantissimo. Il giornalismo è cambiato anche perché si sono moltiplicate le fonti: web e social hanno creato milioni di giornalisti che raccontano se stessi, la vita, i fatti… Il mondo è cambiato anche perché è aumentato in maniera esponenziale il valore delle immagini: questa è una prima grande novità introdotta dai social e dagli smartphone. Chiaramente il giornalismo risente sia in positivo che in negativo di tutti questi cambiamenti: la forza delle immagini è di grande aiuto alla testimonianza dell’informazione e l’immagine diventa molto più centrale rispetto a un tempo. Poi è cambiato anche il modo con cui l’informazione si diffonde: un tempo per avere una notizia si andava in edicola, o si aspettava tg e radio-giornale; oggi è tutto più pervasivo e le informazioni arrivano ovunque».

Più informazione per tutti, insomma…

«È un fattore positivo e più democratico: ci sono più possibilità per il giornalismo. Allo stesso tempo, però, si genera anche un grande caos che dà maggiore forza al giornalismo di testimonianza: oggi si è molto più disorientati. È come quando trovi in un armadio medicinali senza confezioni: sai che ci sono informazioni ma non sai che qualità hanno, da dove vengono, che data hanno, chi le ha catalogate. Questo è il mondo dei social che non va criminalizzato ma che non corrisponde alla realtà. Il giornalismo professionale, dunque, riacquisisce una grande centralità perché le persone hanno capito, anche grazie alla pandemia e alla guerra, che bisogna cercare luoghi sicuri in cui trovare prodotti e notizie sicure. Quando parlo di giornalismo professionale, non lo intendo come casta o come esclusivo: intendo quella professione fatta da chi ha studiato per questo; come tutti i mestieri il giornalismo è un lavoro di fatica, investimento e studio che, proprio per questo, acquisisce ora grande centralità».

La sede romana dell’agenzia Ansa

Il maggior numero di strumenti a disposizione coincide con una crisi, oramai strutturale, dell’informazione e della carta stampata: come si spiega?

«Un’offerta così ampia ha accompagnato un errore originale degli editori e dei giornalisti: hanno cercato di sfruttare la rete per trovare nuovi lettori regalando le notizie. Tutto questo ha finito per deprezzare l’informazione. Quando tu regali una merce, nessuno vuole spendere altri soldi per comprarla. Le persone si sono trovate all’improvviso le notizie sul pc o sul telefonino e si sono convinti che l’informazione non abbia un prezzo e non sia giusto pagarla. È come se volessi fare un giro in taxi senza pagare: se vado in una città in cui tutti i taxi sono gratis, non sarò più disposto a pagare per usufruirne. Ecco, questo è stato un errore: l’illusione di trovare una nuova forma di ricavi quando tv e giornali ancora contavano e, con l’informazione, riuscivano a fare più ricavi di quanti ne facciano adesso. In questo discorso rientra poi anche la questione del finanziamento dell’informazione: è come la scuola; l’informazione è un servizio pubblico che si rende al cittadino. Per questo sono convinto che sia giusto che lo Stato dia una forma di sostegno all’editoria che non deve essere, però, parassitario. L’informazione ha un valore che va preservato anche se non c’è più quel mercato che consentirebbe a un giornale di vivere senza gli incentivi».

Finanziamento pubblico sì

ma non sia mai esclusivo

L’informazione vive un paradosso di fondo: ha una missione etica e, allo stesso tempo, è un prodotto commerciale; il finanziamento pubblico può davvero risolvere questo conflitto?

«Sia chiaro: credo che il sostegno statale al mondo della carta stampata non debba essere esclusivo. È giusto che giornali ed editori siano sul mercato: se tutto è finanziato dal governo poi si crea un problema di indipendenza che è un valore da salvaguardare. La forma di sostegno e finanziamento sarebbe giusto sotto tanti punti di vista per l’occupazione, per l’aggiornamento tecnologico e professionale; però i giornali liberi sono giornali che vengono acquistati. Se un giornale non ha un compratore significa che non può stare in piedi. Il sostegno è giusto ma non può essere esclusivo».

Il rischio dell’informazione manipolata è sempre dietro l’angolo, come l’esempio della guerra cui accennava prima…

«La propaganda social dei russi ci raccontava cittadini che accoglievano gli invasori a braccia aperte e che finalmente si liberavano dal giogo del governo di Kiev. Invece, lì bombardavano gli ospedali, c’erano le fosse comuni… E queste cose chi le ha scoperte? I giornalisti! Le persone, i cittadini, devono capire che ogni notizia ha un costo; ogni notizia prevede un investimento e sostenerla è giusto perché tutti abbiano una informazione corretta, pulita e trasparente».

Come definirebbe oggi il giornalismo?

«Credo che avrei detto la stessa cosa anche trent’anni fa: il giornalismo è il racconto, la testimonianza della realtà. Questo è giornalismo allo stato puro. Il racconto poi diventa anche storia: quando si rileggono i giornali a distanza di tempo, si capisce che è la storia che si forma. Quindi, con tutti i cambiamenti possibili, il giornalismo era e sarà sempre testimonianza».

Il dialogo “diretto” dei leader con l’utenza

e la necessaria “certificazione” dell’Ansa

Poi c’è il rapporto con le fonti: sono tante e sempre da verificare; come cambia il lavoro di agenzia ai tempi dei social e del web?

«Faccio un esempio: il profilo ufficiale Facebook di Giorgia Meloni oramai pubblica i comunicati del premier che un tempo sarebbero stati una esclusiva Ansa. Questo ovviamente ci ha fatto perdere un po’ quel monopolio analogico di cui abbiamo goduto per anni. Però la funzione è certificare il fatto: il fatto che l’Ansa pubblichi e rilanci quella nota sta a certificare, per chi lo vede e per il lettore, che quello è veramente un profilo verificato. Chiaramente con l’esempio di Meloni è semplice; ma ce ne sono tanti altri. Nel mare magnum dei profili, i giornalisti si sono attrezzati per seguire quelli giusti, per verificarli, anticiparli se possibile: ci sono molte più fonti da controllare ma c’è anche molta più ricchezza»

Come vede l’uso dell’intelligenza artificiale nel mondo dell’informazione?

«All’Ansa stiamo svolgendo dei progetti di intelligenza artificiale molto interessanti che vanno a sostegno della redazione e dei giornalisti. Abbiamo un numero elevato di accordi con agenzie internazionali e con agenzie di diversi paesi: grazie all’intelligenza artificiale riusciamo ad avere i flussi informativi di queste agenzie tradotti e catalogati in maniera intelligente che finiscono nei desk dei diversi settori. In questo caso l’intelligenza artificiale è un grande vantaggio. Ma, come tutte le cose, può essere una grande opportunità o una grande minaccia. Affidarsi all’intelligenza artificiale per scrivere articoli, per esempio, mi preoccupa. Quando ho iniziato a collaborare all’Ansa, ero al settore economico e tutti i giorni mi occupavo del bollettino dei cambi: mettevo le cifre in fila, le ricopiavo da una telescrivente, le battevo a macchina e, facendo addizioni e sottrazioni, sentivo un collaboratore di borsa. Tutto questo ovviamente non avrebbe più senso oggi; ma l’intelligenza artificiale comunque non sarebbe in grado di intervistare un esperto. E qui entra in gioco anche l’etica del giornalismo: ogni notizia va valutata per i temi che tratta e per le persone che coinvolge. L’intelligenza artificiale non ha sensibilità e resta uno strumento da usare e non demonizzare: dobbiamo fare molta attenzione».

Qual è il futuro del giornalismo?

«L’informazione avrà un ruolo centrale. Come accaduto con tv e Netflix o con il vinile e la musica digitale, cambieranno le forme, ma il contenuto continuerà a essere decisivo per le nostre vite. Dobbiamo solo essere attenti a un discorso democratico: tanto più sofisticati sono gli strumenti meno persone avranno la possibilità di saperli usare. Ci sarà bisogno di contenuti indipendenti, verificati e certificati. Non so immaginarmi il modello di business perché c’è una crisi del prodotto ma non del contenuto».

 

Barbara Ruggiero

Coordinatore del magazine, giornalista professionista, è laureata in Comunicazione. È stata redattrice del Quotidiano del Sud di Salerno e, tra le altre esperienze, ha operato nell’ufficio comunicazione e rapporti con l’informazione dell’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni). Già docente di progetti mirati a portare il giornalismo nelle scuole, è stata anche componente e segretaria del Consiglio di Disciplina dell’Ordine dei giornalisti della Campania.

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