Se le note diventano un atto di mobilitazione politica

L'ultimo album del gruppo Assalti Frontali evidenzia come la musica non sia solo fruizione effimera o prodotto commerciale. E come possa anche essere collegata tanto alla storia quanto alla cronaca, collegando l’individuale con il collettivo.

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La musica può essere un atto politico e, al tempo stesso, parlare delle inquietudini e preoccupazioni personali? L’ultimo album del gruppo Assalti Frontali, “Notte immensa”, ci dà una risposta affermativa. La musica ha ancora questo potenziale, non deve essere per forza ridotta a fruizione effimera o prodotto commerciale. E può anche essere collegata tanto alla storia quanto alla cronaca, collegando l’individuale con il collettivo.

Assalti Frontali si propone, evidentemente, in continuità con la sua storia, iniziata nel 1991, gemmazione del gruppo Onda Rossa Posse, che, con “Batti il tuo tempo”, contribuì, nel 1990, a introdurre il rap in italiano. Con questo ultimo album, però, questa storia si approfondisce, specialmente nella sua capacità di partire da sé, dalle preoccupazioni e urgenze personali, ma all’interno di una realtà, appunto, collettiva. Al tempo stesso, essa si collega alla storia più ampia, quella dei conflitti in corso e del regime di guerra che si va dispiegando, lasciandoci quasi senza prospettive né parole. Al centro vi sono, necessariamente, Gaza e la Palestina, che ritornano in molti brani. Il numero di morti e il livello di devastazione portato dall’esercito di Israele hanno raggiunto esiti insopportabili. Essi interrogano ognuno di noi, chiamando in causa il grado di indifferenza che siamo giunti a sopportare e, quindi, il tipo di relazione con l’altro che vogliamo vivere oltre che proporre come forma politica più generale. Non a caso il secondo tema di questo album è quello dei confini, che Assalti Frontali ci ricordano essere tutti artificiali. E, quindi, l’attenzione alle migrazioni odierne, con il carico di futuro e sofferenza che esse incarnano. Di nuovo, queste canzoni di Assalti Frontali ci pongono di fronte a noi stessi, ci interrogano sulla relazione che viviamo con l’altro. E ci spingono, di fronte al drammatico reale, ad andare oltre, a cercare nuove strade in connessione con altre già battute in passato: le strade dei movimenti sociali, del conflitto per la giustizia, della lotta politica che è anche lotta etica e, quindi, orientata a costruire un diverso senso dello stare insieme.

Ecco, la ricerca sul senso è quello che tiene insieme l’intera proposta di “Notte immensa”, tredici canzoni tutte volte a cercare un senso nella realtà che stiamo vivendo, in evidente contrapposizione con il regime di annichilimento che avanza in troppi contesti territoriali – da Gaza al Sudan – ma anche nelle nostre vite di tutti i giorni, carenti di prospettive generali e vincolate negli obblighi del lavoro, della ricerca dei soldi e della competizione. La canta esplicitamente questa necessità Militant A, voce del gruppo, nella canzone che dà il titolo all’album: “E non parliamo di quello che manca / scrivere stanca e anche più pensare / ti mettono in gabbia, ti trattano male e che devi fare / poi ci troviamo ancora dove è giusto stare e io vado al lavoro, al fronte / dall’altra parte del ponte, lascerò le mie impronte”.

In questa ricerca di senso all’interno della mobilitazione politica, che rifiuta l’isolamento sociale e culturale, l’album va anche in altre direzioni, coerenti con la domanda centrale sull’altro, interrogando altre forme della dominazione. Ad esempio, “Più che si può”, in sintonia con “Sognatori” cantata con Ellie Cottino e Piaga, sfida il patriarcato e le relazioni fondate sul controllo e il possesso dell’altro. “Lascia la mente libera” richiama la questione dell’ansia delle relazioni che rende tanti difficile la vita quotidiana di una parte della nostra gioventù. “Casilina international” critica la precarietà economica e sociale di troppe persone.

Il mosaico complessivo è ampio, ma il suo centro è molto chiaro: costruire insieme un’alternativa a un presente definito dai codici della guerra e della sopraffazione, perché, come canta “Focus sulle rime”, “non si può restare a casa in eterno / mentre fuori bruciano le fiamme dell’Inferno”. Un album potentemente attuale, capace di parlare a più generazioni e al sentimento di giustizia che in tante e tanti vanno ancora cercando.

Gennaro Avallone

Nato nel 1973, è professore di sociologia dell'ambiente e del territorio presso il Dipartimento di studi politici e sociali l'Università degli studi di Salerno. Tra i suoi temi e ambiti di ricerca si segnalano i processi di emigrazione e immigrazione, il razzismo, il lavoro agricolo, l’ecologia politica e la sociologia urbana.

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