Nel Corpo di pane il cuore nuovo di Elisa Ruotolo

Il tempo come riparo, le parole come morbide ancelle: viaggio in un mondo rarefatto nel quale ti avvolgono profonde emozioni

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La rubrica “Lo specchio del poeta” è un appuntamento con cadenza settimanale curato dal professore Vincenzo Salerno e dedicato alla poesia italiana contemporanea attraverso la presentazione di un autore ‘raccontato’ dai suoi stessi versi. Un tentativo di ritratto lirico autobiografico, scandito seguendo un ordine rigorosamente cronologico dei testi proposti e che intende cogliere – dando ‘voce’ al poeta ospite – i tratti più caratteristici della sua cifra stilistica e della sua ‘materia’ poetica.


I cinque testi poetici di Elisa Ruotolo sono tutti tratti dalla raccolta Corpo di pane.

Elisa Ruotolo

Nata nel 1975 a Santa Maria a Vico, in provincia di Caserta, insegna materie letterarie. Esordisce nel 2010 con la raccolta di storie brevi Ho rubato la pioggia, pubblicata da nottetempo. Nel 2018 compare la biografia illustrata Una grazia di cui disfarsi. Antonia Pozzi, il dono della vita alle parole per i tipi di Rueballu. L’anno successivo viene date alle stampe, sempre per nottetempo, la prima raccolta poetica Corpo di pane e, per Interno Poesia, la curatela del volume Mia vita cara. Cento poesie d’amore e silenzio di Antonia Pozzi. Con Feltrinelli pubblica i suoi due romanzi: Ovunque, proteggici e Quel luogo a me proibito (2021). Di quest’anno la pubblicazione, con Bompiani, della favola illustrata – da Chiara Palillo – Il lungo inverno di Ugo Singer.

Corpo di pane

1.

Ho un cuore da fornaio – tutto infarinato d’un bianco
che sporca ma non dà purezza
solo pane.
Eppure a volte sento al costato come il battere
secco d’un calzolaio
– che lavora la suola giorno e notte
pur d’avere intorno piedi meno scalzi.
Certo, s’adatterebbe a me anche un muscolo da
contadino
– resistente al sole, alle piogge, alle tregue del bene
e alle pendenze ingrate della terra
io – che ho così poca pratica di smottamenti.
Confesso però che mi attirerebbe anche un cuore
da fattore
che sappia chinarsi e sporcarsi nello sgravo
dell’animale femmina.
O all’occorrenza il battito di quello stesso animale
che geme
per la vita che gli nasce dove meno dovrebbe
– nei luoghi della lordura quotidiana.
Ma devo accontentarmi di questo acino d’uva
di questo chicco di niente sfuggito alla semina
di questa moneta fuori corso che non basta
a comprare nulla
tantomeno un cuore nuovo
– oggi che il mio s’è fermato
nel primo pomeriggio.
So che niente si decide in cielo
o in terra – eppure massaggio il mio petto fermo
come il fattore il ventre della giovenca.
Partorirò un cuore nuovo anch’io
mi scenderà tra le gambe con un dolore inutile
e io non saprò che farmene.

2.
Non lo sapevo
ma avevo come tutti
il mio punto di rottura
come i vetri
come la terracotta
come il ferro.
Incrinata sbreccata e fusa
cammino in questa stanza
coperta fino alle unghie.
Nessuno tranne te
può vedermi debole.

3.
07.06.1975: errore anagrafico

Non è vero che sono nata. Io sono ancora raccolta in me
come un gambero mai mangiato, un gomitolo dal refe nodoso
– da non tessere, o la maglia pungerà.
Sono inutilizzata e mai in servizio nella vita.
È pur vero che consumo, risparmio, occupo e sgombero
con la ripetitività dei viventi – tuttavia attendo ancora
la mia mangiatoia e alito di bestie a scaldarmi.
Alle vostre vite io oppongo progetti
e alle vostre case la convivenza impossibile
in questo condominio di carne.
C’è un errore, dunque
se io aspetto ancora di venire al mondo.
Non badate se respiro
non ingannatevi se lavoro
non credetemi se la mia ombra vi copre durante
un giorno di luce.
Io sono quella mai nata
e che ancora può scegliersi un cuore
le mani giuste
un ventre senza ombre
un destino ingiudicabile – alla cordata finale
un’eternità trattabile.
Da questo buio, appena prima dell’esecuzione del nascere
io vedo ciò che il chiaro nasconde
– la scure pronta a oltraggiare e fendere
secondo il rito degli agnelli.
Forse arriva adesso quest’età improvvisa e impura
questo ipotecare o prendere in affitto.
– È la mattanza della luce.

4.
Ho desiderato essere come voi.
Oggi mi sono distratta
e l’ho fatto ancora.
Il sonno dell’animale che non sa
e prende forza dal possesso – questo ho domandato.
E poi l’inferno di ogni febbre terrena
la morte
la guerra
la malattia
– pur di sentirmi parte vostra.
Stenti e purezza furono pasto quotidiano
la mia carne cresceva assieme alla cura
di schivare i muri a cui chiedevo
un rimedio d’ombra.
Ogni esperienza m’impoveriva
ogni sapere foraggiava la mia ignoranza
i nervi provati dall’esercizio
s’allentavano nell’inabilità.
Il contagio arrivava a dirmi la fatica
del bene
della pace
della salute.
È fin troppo facile farsi bestia
in un’ora qualsiasi
non essere come gli altri eppur morire come tutti
strappati al campo prima del raccolto
nella stoltezza d’aver dimenticato
che ogni mostro
fu bambino.

 

5.
Prendo queste parole dal loro nadir
dal ventre cavo in cui le tengo segrete
– le prendo e le stendo alla luce.
Sanno di chiuso e antico
di cantina e baule nel solaio
dovrei nettarle prima di offrire, ma io
domando fede in cambio d’imperfezione.
E che le amiate a vuoto come per errore
anche se v’indolorano le giornate.
Non offro capriole o salti di bambini
ma polveri e fiati rugginosi.
Intorno è movimento e nuovo
le parole altre sono liquide e morbide e ancelle
– sassi di fiume non rocce da scortico.
Il tempo mi è cresciuto intorno contro ogni riparo
mentre andavo alla morte senza acrobazie
o diventavo trucioli di legno
avanzo e limatura che la saggina raccoglie in
mucchio
e spazza via dalla soglia.
Scrivere è scomparire
perché lo avete dimenticato?

 

 

 

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