Il vuoto lasciato da Mario Cerne nell’antro funesto di Saba

Nella multiculturalità di una città che non smette mai di insegnarci l’arte e l’eleganza quale è Trieste, il popolare libraio ha dato vita a un corpo a corpo con la storia. È stato, sino a poco tempo prima della sua recente scomparsa, titolare della storica libreria antiquaria acquistata e gestita per anni dal celebre poeta, un luogo che ha sfidato i decenni ed è stata fonte di ispirazione per artisti, intellettuali, editori e ricercatori

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La storica libreria antiquaria Saba di Trieste

Il decano dei sociologi, Franco Ferrarotti, non poche volte, ha affermato che nell’era dell’immagine del suono la parola scritta perde d’importanza e ne perde ogni anno di più. La sfida della comunicazione odierna – un termine, “comunicazione”,  arte nobile e complessa e che troppo viene confusa con il giornalismo – si carica ogni giorno di nuovi ostacoli e di nuove difficoltà che si riassumono in una preoccupante perdita di concentrazione, che a suo tempo Vittorino Andreoli, in un articolo sul Corriere della Sera dal titolo “La perdita dei sensi della digital generation”, riassumeva e faceva dipendere da un’altra allarmante causa riguardo alle giovani generazioni, quale la perdita di alcune capacità mnemoniche e la capacità di scrivere o comporre alcune frasi sintattiche complesse (per così dire) quali un’ipotattica ed una paratattica. Andreoli, nel suo interessante articolo, enuclea sapientemente le differenze sostanziali tra i mezzi di fruizione, differenza che potremmo affermare essere la sintesi della cesura di pensiero del nostro tempo e, forse, dei prossimi secoli: «Il mondo analogico è quello dello “yes or not”, non lascia spazio al dubbio, che è invece la forza stessa del procedere scientifico e che immette la dimensione del tempo che passa, poiché la ricerca è progressione, dunque proiezione nel futuro. Tutto nel mondo analogico è invece al presente». Ciò che è caratteristica del modus di apprendimento della giovanissima generazione (ma non si incorrerebbe in errore se si affermasse che tutto ciò riguarda anche una notevole parte anche delle generazione adulta) è proprio l’eterna attesa di un presente smaterializzato in cui, presi e compressi da decine e decine di piccoli input (magari anche interessanti e stimolanti) di ricerca e di pensiero, se ne fatica ad approfondire alcuno proprio perché viene meno la calma e la capacità del metodo di ricerca analitico e, potremmo aggiungere, quasi solitario.

Mario Cerne nella libreria Saba, luogo di “resistenza inconsapevole”

Nell’era dell’immagine e del suono, assistiamo ad un interessante paradosso: mentre l’informazione cartacea fatica a rimanere e ad imporre una sua presenza (causa, tra le tante, anche questa moltitudine di stimoli che cozzano contro una meditata e approfondita lettura di un giornale cartaceo che approfondisce qualunque argomento), il libro cartaceo continua ad essere preferito e scelto. Una vittoria di cui essere orgogliosi se si considera che, a modesto parere di chi scrive, il progetto deleterio del libro elettronico è un progetto felicemente naufragato.  Circa questo dato occorre compiere un’ulteriore riflessione: se le librerie tradizionali ancora sono scelte dai lettori per i loro acquisti, quale sarà il destino delle librerie indipendenti? E quelle storiche, che hanno offerto nel tempo al lettore famelico di saggistica contemporanea o dell’ultimo best seller dello scrittore o del politologo di grido, offrendo titoli che sfidano il secolo e vanno anche oltre? Anche per questo contesto gli esempi virtuosi di passione, zelo, professionalità e costanza ci sono. L’ultimo esempio di tale protagonismo longevo ci ha lasciato lo scorso gennaio: si chiamava Mario Cerne.

Nella multiculturalità di una città che non smette mai di insegnarci l’arte e l’eleganza quale è Trieste, Mario Cerne ha costituito un corpo a corpo con la storia. È stato, sino a poco tempo prima della sua scomparsa, titolare di una storica Libreria, una di quelle librerie che hanno sfidato i decenni e sono state elemento di ispirazione per poeti, intellettuali, editori e ricercatori. Parliamo della libreria antiquaria Umberto Saba. Mario Cerne, prima di divenirne titolare, è cresciuto in quello che Saba definiva “un antro funesto” (per poi comprarsela, quella libreria, poco dopo aver pronunciato la fatidica frase). Mario Cerne, paradossalmente, è stato ed è la Libreria Saba.

Un angolo della storica libreria triestina

Punto di riferimento per i clienti, Cerne era diventato il punto di riferimento come e, forse, più dello stesso poeta. La prima volta che lo incontrai, in un mio viaggio a Trieste di molto tempo fa, mi impressionò per la sua affabilità e la passione con cui spaziava dall’aneddotica alla storia. Del resto, la libreria l’aveva vista attraversare i decenni, da quando il padre Carlo Cerne, il “Carletto” citato da Saba nel Canzoniere, divenne il commesso della libreria e istaurò con il poeta triestino un rapporto come di padre-figlio, più che datore di lavoro-dipendente. Mario ne aveva visto, seppur da ragazzino, mutare forma, proprietà (per le leggi razziali Saba dovette riparare in altre città e per un periodo affidò totalmente la gestione a Carlo, simulando la vendita). Lo storico titolare della Libreria, divenuto effettivo dopo la morte del padre nel 1981, si è  sempre rammaricato di non aver mai chiesto ulteriori notizie approfondite al padre sul suo rapporto con il poeta del “Canzoniere”: «Saba era un personaggio molto estroso, estremamente burbero (arrivò a cacciare dal negozio una giovane studentessa rea di aver chiesto il prezzo di una carta geografica: “Ma cosa ti interessa? Vai a cercare muli” (ragazzi), per questo motivo era molto difficile che una commessa, giovani ragazze, rimanessero per molto tempo nella sua libreria. Era lui il personaggio, su questo non si discute, ma operativamente era mio padre che badava alla “cassa”. Per tutti questi anni è stato il suo braccio destro». Sono parole, queste di Mario Cerne, che andava ripetendo sempre, in interviste, documentari, filmati, aneddoti per curiosi che capitavano in libreria per “respirare un’altra aria, dato che a Trieste di Saba vi è poco o nulla”, aggiungeva il librario esibendo orgoglioso la foto (credo l’unica) che ritrae Saba chino sulla sua macchina da scrivere con Carletto vicino, magari chiedendogli qualche informazione tecnica che forse infastidiva il poeta già immerso nell’ardore creatiuvo dei suoi versi. «Non era raro – raccontava Mario Cerne – che Saba mandasse via dal negozio mio padre per diverse ore, quando aveva un’ispirazione». Il rapporto Maestro-commerciante risultò così riuscito che la libreria, negli anni, da quando il poeta la acquistò nel lontano 1919 da Maylander, arrivò ad ottenere, nell’aprile 2012 il titolo di “Studio d’artista” dal direttore regionale del Friuli Venezia Giulia, nonostante il finanziamento mancato per gli anni 2014-2015 di 90 mila euro, di cui 40 mila per il restauro dei libri e 50 mila per la struttura stessa dell’esercizio commerciale così particolare e blasopnato. Una libreria che ha una sua storia anche documentata (ad essa sono dedicati i volumi “ Storia di una libreria” scritto dallo stesso poeta nel 1948 e “La libreria del poeta Umberto Saba” scritto da Stelio Vinci ed Elena Bizjack Vinci). Una scelta commerciale che aderiva perfettamente allo stile eclettico, sognatore seppur inquieto del poeta, “intellettuale in discussione” come lo definì Giani Stuparich in “Trieste dei miei ricordi”.[/caption]

Una libreria fonte di ispirazione per atisti, intellettuali, ricercatori

I dubbi e le incertezze di Mario Cerne sul futuro della libreria cominciarono ad essere tanti, «oggi che le giovani generazioni – ripeteva – sono sempre meno interessati alla lettura, perché hanno tantissime altre fonti di informazioni e per loro il libro antico non conta più niente». Un pensiero che Cerne ribadì in un’intervista alla rivista “L’indice”, rilasciata a N.Lazzaroni,  e che si presentano attualissime oggi a pochi mesi dalla sua scomparsa. L’ultimo baluardo di un tempo che fu, in quella via San Nicolò 30 che ospita anche una statua del poeta che sembra quasi un estraneo in una Trieste così lontana dai suoi tempi, raffigura anche un esempio di quello che fu ed è anche l’impegno di un intellettuale che integrava la funzione civile della Letteratura non con una militanza attiva, come fu per il suo amico e futuro genero Carlo Levi, ma come il suo amico Virgilio Giotti.

Da quell’antro oscuro, che, prima fu dimora del padre, Mario Cerne aveva per una vita scrutato Trieste, le sue grazie, la sua “scontrosa grazia”, come recita una celeberrima poesia omonima del poeta, affascinato dalla sua lungimiranza nel descrivere segreti ed emozioni di una città che non hai mutato pelle in oltre cento anni. Un oscuro anfratto che oggi è rimasto orfano del suo ultimo, illumionato gestore e custode vivono e sono conservati tre generazioni di ricordi che sarebbe un vero e proprio delitto perdere e soffocare nel più oscuro consumismo ossequioso del solo profitto.

Una strana bottega d’antiquario
s’apre, a Trieste, in una via secreta.
D’antiche legature un oro vario
l’occhio per gli scaffali errante allieta.

Vive in quell’aria tranquillo un poeta.
Dei morti in quel vivente lapidario
la sua opera compie, onesta e lieta,
d’Amor pensoso, ignoto e solitario.

(U. SabaIl CanzoniereAutobiografia, n. 15)

Con altri versi Umberto Saba elogiava Carletto e la sua diligenza nel lavoro. “Io grato gli sono e più che non creda”. A distanza di molti decenni, il mondo della cultura è grato a Mario Cerne per la sua testimonianza, autentica missione  letteraria e di vita.

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