Gatto, il ciclismo e la poesia in bicicletta

Incontro organizzato dal Centro interdipartimentale e dalla Fondazione che portano il nome del poeta, nonché dall’Università degli Studi di Salerno, sull'attività di inviato al Giro del grande artista e intellettuale salernitano. Il ciclismo, per il poeta, era un fatto umano e lui ne parlava alla stregua di un Balzac o di un Flaubert

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Si è tenuto l’ultimo incontro del ciclo di seminari “Con parole nuove” dedicato al poeta salernitano Alfonso Gatto, organizzato dal Centro interdipartimentale di ricerca Alfonso Gatto, dalla Fondazione Alfonso Gatto e dall’Università degli Studi di Salerno. L’ospite di questa giornata è stato Massimo Cerulo, professore di sociologia presso l’Università di Napoli Federico II, con il suo intervento “Gatto e il ciclismo. La poesia in bicicletta”. Non solo poeta, Gatto è stato anche scrittore, critico letterario e pittore avventurandosi in ogni campo, anche in quello sportivo. Nel 1947, (lo farà anche nel 1948 e nel 1959), seguì il Giro d’Italia su richiesta di Pietro Ingrao e Palmiro Togliatti per L’Unità; l’intenzione era quella di promuovere un’acculturazione sociale chiedendo agli scrittori di seguire lo sport. Sebbene non fosse un appassionato di ciclismo, anzi, Gatto non sapeva andare in bicicletta, accettò l’incarico perché condivideva la stessa visione di Togliatti sullo sport: è di tutti. Oggi, come ricorda Massimo Cerulo, questa figura-spalla del cronista sportivo, ossia l’uomo “di colore” è pressocché dimenticata. L’ultimo a seguire le orme dei letterati che si sono cimentati in questa prosa (come Vasco Pratolini e Anna Maria Ortese) è stato il giornalista Gianni Mura che stemperava la sua cronaca con “il colore”. Gatto, dunque, non si occupava della mera cronaca del giro, ma parlava con le persone, con i sindaci, raccontava leggende e aneddoti dei paesi in cui andava. I girini, ossia i corridori, sono per Gatto un escamotage per parlare di altro, per indagare sull’uomo nel proprio habitat come un etnologo o un antropologo. È su questo aspetto che si sofferma Massimo Cerulo durante l’incontro leggendo la prosa gattiana e parlando della sua indagine pubblicata nel volume Alfonso Gatto (edito Orthotes Editrice, collana Sillabario). Il Gatto “inviato” è un’ulteriore prospettiva di studi in quanto la sua scrittura creativa riesce a evocare immagini e rimandi al suo background culturale. Secondo Gatto, il ciclismo è un fatto umano e lui ne parla alla stregua di un Balzac o di un Flaubert. E in occasione del Tour de France del 1958, seguì l’evento per il giornale Il Mattino di Firenze descrivendo i paesaggi francesi, le varie tappe e il vento forte a lui sconosciuto. Si soffermò, essendo sensibile all’umanità, su una particolare scena di genere che non gli sfuggì: c’era una giovane ragazza cieca di nome Francine che gareggiava aiutata dal fratello. A lei dedicò alcune righe raccontando di come il fratello le descrivesse il mondo a colori attraverso una doppia esperienza fraterna. E mentre le cronache del tempo riportavano la rivalità tra i due grandi ciclisti Bartali e Coppi, Gatto poté scrivere di quel giorno in cui Fausto Coppi cercò di insegnargli ad andare in bicicletta: «[…] Per un attimo ho provato la dolcezza del volo, sapendo di cadere ed ero già caduto nella polvere come un guerriero antico. […] Ma di una cosa sono certo: che se io sapessi andare in bicicletta sarei un campione. […]. Cadrò, cadrò sempre fino all’ultimo giorno della mia vita, ma sognando di volare». Fu un insuccesso ma anche un momento memorabile dato l’incontro tra un astro nascente del ciclismo e il cronista-poeta. Alfonso Gatto non si occupò solo di ciclismo, infatti, si dedicò anche al calcio essendone appassionato. La penna di Gatto ha saputo sfoggiare il ritratto di una società desiderosa di rinascere dopo il secondo dopoguerra attraverso il ciclismo, “una poesia in bicicletta” che è riuscita a incantare e a testimoniare le tracce di un tempo. L’incontro con Massimo Cerulo ha concluso un percorso ricco di spunti di riflessioni dedicato al poeta salernitano Alfonso Gatto aprendone, però, altrettanti dimostrando l’immensità dell’opera letteraria gattiana.

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