Con Roberto Deidier comincia la rubrica “Lo specchio del poeta”, appuntamento con cadenza settimanale curato dal professore Vincenzo Salerno e dedicato alla poesia italiana contemporanea attraverso la presentazione di un autore ‘raccontato’ dai suoi stessi versi. Un tentativo di ritratto lirico autobiografico, scandito seguendo un ordine rigorosamente cronologico dei testi proposti e che intende cogliere – dando ‘voce’ al poeta ospite – i tratti più caratteristici della sua cifra stilistica e della sua ‘materia’ poetica.
Roberto Deidier
Roberto Deidier nasce a Roma il 31 agosto 1965. Nel 1991 si laurea in Lettere all’università «La Sapienza» dove consegue, nel 1997, il Dottorato di Ricerca in Italianistica. Il suo esordio poetico avviene nel 1989, sulla rivista «Tempo presente». Nell’autunno di quell’anno, con gli amici Marina Guglielmi e Fabrizio Bolaffio, inizia a pubblicare un piccolo quaderno di poesia, «Trame»: il titolo è suggerito da Amelia Rosselli, prima lettrice delle poesie di Deidier e prima collaboratrice della nuova rivista, che prosegue fino al 1996. Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta Deidier frequenta gli ambienti letterari tra Roma e Milano, legandosi in amicizia con alcuni scrittori e poeti, come Elsa de’ Giorgi, Anna Cascella, Francesca Sanvitale, Dario Bellezza, Biancamaria Frabotta, Valerio Magrelli, Renzo Paris, Valentino Zeichen, Maurizio Cucchi, Antonio Riccardi, Milo De Angelis e Giovanna Sicari. Nel 1992, a Macerata, in un convegno sulla nuova poesia, incontra Gianni D’Elia e Maurizio Marotta; nel 1994 è invitato da Giorgio Manacorda a collaborare al progetto dell’annuario di poesia, sponsorizzato dall’editore Castelvecchi.
Dopo avere pubblicato su numerose riviste, italiane e straniere, alla fine del 1994 consegna il suo primo libro alle edizioni Sestante, per la collana «Il mare in tasca», diretta da Fernando Marchiori e Silvia Raccampo. Il passo del giorno appare nei primi mesi del 1995, con una prefazione di Antonio Prete e la copertina di Piero Guccione, ottenendo nello stesso anno il “Premio Mondello” per l’opera prima. Dopo una breve collaborazione con le università di Roma Tre, di Cassino e con l’Enciclopedia Italiana, nel 1999 passa stabilmente all’università di Palermo. Con l’amico editore e stampatore Gaetano Bevilacqua pubblica la sua seconda raccolta di poesie, Libro naturale, arricchita da un’incisione di Giulia Napoleone, con la quale realizza altre plaquettes ed edizioni d’arte. Dal 2002 al 2017 si trasferisce a Palermo, alternando frequenti soggiorni a Roma, dove torna a vivere l’anno seguente. Anche in Sicilia incontra scrittori e poeti, come Domenico Conoscenti, Roberto Alajmo, Evelina Santangelo, Nino De Vita, Maria Attanasio.
Dopo l’improvvisa chiusura delle edizioni Sestante, propone a Marco Monina per le edizioni peQuod di Ancona di raccogliere in un unico volume le poesie dei primi due libri. Appare così Una stagione continua e nell’autunno dello stesso anno il nuovo libro, Il primo orizzonte, per le edizioni San Marco dei Giustiniani di Genova, con un’incisione di Piero Guccione. Negli anni Duemila Deidier continua a pubblicare poesie in riviste, antologie, periodici, ma solo nel 2011 consegna a Marisa Di Iorio, per l’editrice Empirìa, un singolare quaderno di traduzioni, Gabbie per nuvole, senza i testi originali a fronte: un viaggio sentimentale tra le poesie che sono state importanti nel suo percorso di formazione. Infine, nel 2014, il lungo silenzio editoriale è interrotto da Solstizio, che appare nella collana «Lo Specchio» di Mondadori. Il volume ottiene diversi riconoscimenti, tra cui il Premio L’Aquila-Laudomia Bonanni, il Premio Frascati-Antonio Seccareccia, il Premio Brancati Zafferana, il Premio Fogazzaro. Segue, nel 2017 e in edizione d’arte per Il bulino di Sergio Pandolfini, Dietro la sera, con acquarelli di Giancarlo Limoni. Nel 2021 appare il nuovo libro per Mondadori, All’altro capo, con copertina di Giulia Napoleone.
Addio dei compagni
– Andare è il solo modo di aiutarti –
mi dice l’ultima voce,
troppo vicina per essere intesa,
né ripete la frase che mi aggira
e non vuole saperne di fermarsi.
Sono usciti da un lungo corridoio,
vanno giù per la scala di ferro
col rumore dei loro passi svelti,
come saltelli ancora di bambini:
ma sono divenuti grandi, anche per me
che già avevo scelto
e non riesco neppure più a vederli
mentre scendono a toccare terra.1
Facile
Mio amore, questo è l’ultimo treno
Fra i tanti che abbiamo visto passare:
Gli scambi riposeranno fino a domani.
E io sento altri rumori, la notte,
Il battito difforme di una corsa
Lungo binari senza ferro e travi.
È qualcuno che porta la mia vita
Sulle sue spalle, ma non mi somiglia.
Aggirerà cento semafori spenti,
Pensiline come isole deserte,
Altoparlanti di nessuna partenza
Da annunciare. Perché questo
È l’ultimo treno, amore mio,
E nessuno verrà a dirti ciò che manca
Ai nostri giorni insieme.2
Giro di boa
Ora faccio da guida a me stesso
E insieme attraversiamo il solstizio
Con un minimo bagaglio d’impressioni,
Ma non imparo a calibrare i passi
Lungo il corridoio dell’estate:
Tra le due porte di corno e d’avorio
Non è poi tanta la distanza.
Questa è la stagione, non ha colore,
E la solchiamo con bracciate lente
Come terra che arata respira.
Bagnanti percorrono la battigia
Scostandosi alle onde più mosse,
Se il vento incalza è caldo che ristagna.
Qui l’intero è solo il mare.
Senza ritorno in pochi passano la punta
Dove le alghe s’aggrumano al sole,
Sanno che nessun’orma resta sulla rena,
Tranquilli vanno a un’altra spiaggia. 3
Il decimo anno
Per quanti anni mi sono chiesto
Della distanza: quanto impiega il mio grido
A raggiungerti, se è più forte il sonno dei giorni,
Se poi hanno un peso il dato e il preso
O sono invece un gas leggero che svanisce
Lì dove non siamo mai stati;
Se raggiunge una domanda una sola
Parola e si può passare la corrente;
Se esiste la corrente che ci vuole
Diversi e ancora uguali,
O i pixel della notte hanno riflesso
Lo stesso sguardo sulle nostre facce.
Ora non conto più i passi né i nomi
Gli abbracci dei risvegli e i viaggi
Gli squilli del telefono i discorsi fatti
E quelli per sempre mancati.
Per il sempre che non so contare
Le nostre mille schegge qui raccolte
A darci fiato dietro un muro d’allegria,
Le ostentate valigie della partenza
Ancora vuote dall’ultimo ritorno. 4
Schopenhauer
Oggi mi fa male il polso. Di nuovo.
È che l’occhio si stende nella mano
E la mano traccia il mondo
Ogni volta che apro gli occhi al risveglio.
C’è un giardino, sul retro: la mia fiaba.
E allora non importa se in cucina
Si è spento il fuoco, se l’inverno
Va assalendo i giorni di sorpresa.
Stamane è passato il lattaio
E non gli ho aperto. La stiratrice
Neppure si è fermata. Ora che annotta
Mi racconto quest’alba nel silenzio.5
[1] Tratto da Il passo del giorno, copertina di Piero Guccione prefazione di Antonio Prete, Ripatransone, Sestante, 1995
[2] Tratto da Libro naturale, con una incisione di Giulia Napoleone, Roma-Salerno, Edizioni dell’Ombra, 1999
[3] Tratto da Una stagione continua, risvolto di Fernando Bandini, Ancona, peQuod, 2002
[4] Tratto da Il primo orizzonte, con una incisione di Piero Guccione, prefazione di Luigi Surdich, Genova, San Marco dei Giustiniani, 2002
[5] Tratto da All’altro capo, copertina di Giulia Napoleone, Milano, Mondadori, 2021