La retorica del Piano Mattei per l’Africa

Il programma è del tutto insufficiente anche perché le emigrazioni africane sono solo una parte e ha una impostazione che asseconda le paure pubbliche e i fantasmi che la stessa politica tende ad alimentare: il terrore degli africani, dei neri, degli arretrati

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Il Governo in carica propone il cosiddetto Piano Mattei per l’Africa come un punto di svolta.

Il Piano dovrebbe favorire lo sviluppo economico nel continente africano e questo dovrebbe ridurre i processi migratori verso le coste italiane. Si potrebbero fare diverse considerazioni sul fatto che non c’è nessun automatismo tra (più) sviluppo e (meno) emigrazione. Se ne potrebbero fare anche altre sul fatto che tale Piano dovrebbe, o vorrebbe, aprire centri di trattenimento dei richiedenti asilo nei paesi africani, favorendo una nuova spinta ai controlli delle frontiere delegati ai paesi terzi (la cosiddetta esternalizzazione delle frontiere).

Qui, vorrei dare evidenza a un dato semplice, che permette di capire quanto il Piano Mattei sia una retorica che, anche se funzionasse come il Governo propone, non potrebbe affrontare le emigrazioni dall’Africa: per il semplice motivo che circa un terzo delle emigrazioni verso l’Italia che avvengono attraverso i cosiddetti sbarchi, in realtà, non sono fatte da africani.

Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nel 2022 su 105.140 persone giunte via mare in Italia, almeno il 35% proveniva da un paese asiatico; nel 2021, almeno il 25% proveniva dal continente asiatico. I paesi di provenienza sono stabili negli ultimi decenni, con una prevalenza di arrivi da Bangladesh, Siria, Afghanistan e Pakistan.

Dunque, gli arrivi via mare di persone che richiedono protezione internazionale riguardano almeno in un quarto dei casi cittadini di paesi asiatici. Per essi, evidentemente, il Piano Mattei non avrebbe nessuna possibilità di incidere sulla decisione di emigrare. Anche se lo schema teorico che giustifica il Piano Mattei funzionasse – uno schema basato sul fatto che le persone emigrano perché senza lavoro – esso riguarderebbe solo una parte delle migrazioni delle persone potenziali richiedenti asilo. È evidente, allora, che si tratta di un Piano che già nelle sue premesse è del tutto insufficiente, anche perché parte dal presupposto che esso serve a fermare le emigrazioni africane, dimenticando che queste ultime sono solo una parte del totale.

È evidente che tale impostazione asseconda le paure pubbliche e i fantasmi che la stessa politica tende ad alimentare: la paura degli africani, dei neri, degli arretrati. Si appoggia allo slogan-allarme secondo cui “tutta l’Africa in Italia non ci sta”, uno slogan ripreso anche da un rappresentante del Governo, il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni della Lega, in un’intervista a fine agosto. Tuttavia, per sostenersi su tale slogan, dimentica la realtà, quella dei numeri, ma anche quella della vita delle persone in carne e ossa, irriducibile agli slogan, ma anche ai vincoli nei quali i governi vorrebbero rinchiuderla.

Gennaro Avallone

Nato nel 1973, è professore di sociologia dell'ambiente e del territorio presso il Dipartimento di studi politici e sociali l'Università degli studi di Salerno. Tra i suoi temi e ambiti di ricerca si segnalano i processi di emigrazione e immigrazione, il razzismo, il lavoro agricolo, l’ecologia politica e la sociologia urbana.

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