La parola che cura

Il sintomo in psicoanalisi è un discorso, lontanissimo dal disturbo da curare della psichiatria e delle psicoterapie

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Oggi ci sono diverse offerte psicoterapeutiche che, rispetto alla psicoanalisi, partono da una visione del sintomo più vicina all’approccio medico. Il sintomo, in questi casi, viene considerato come un disturbo, espressione di una malattia che va curata per eliminarlo.

Nel campo della psichiatria e delle psicoterapie che continuano a vedere il sintomo come un disturbo da eliminare, si tende a far coincidere il sintomo con la malattia stessa: il principio è che, eliminando il sintomo, si elimina la malattia e si determina la guarigione della persona.

La differenza con la psicoanalisi è radicale e si comprende proprio se teniamo presente la diversa concezione del sintomo. Il sintomo psicoanalitico, dice Lacan, e come ho già ricordato, è un discorso e per questo lo ascoltiamo. Il sintomo psicoanalitico vuole dire qualcosa, ha una sua valenza simbolica, rinvia a qualcosa che non è nell’ordine della malattia, ma riguarda tutto un insieme di questioni che riguardano il paziente ma di cui il paziente stesso non sa di sé e che noi chiamiamo inconscio.

Il sintomo psicoanalitico è un discorso, in quanto formazione dell’inconscio: vuole dire qualcosa del paziente e rimanda a ciò che il paziente stesso ha rimosso nel suo inconscio. Per la psicoanalisi il sintomo è la rappresentazione del rimosso che vuol ritornare alla coscienza.

Ecco perché l’analisi ci salverà: perché consente al paziente di poter sapere di più del proprio inconscio, di ciò su cui egli si interroga.

Quindi, il sintomo psicoanalitico ha una sua valenza simbolica, rimanda a qualcos’altro che può essere decifrato e interpretato attraverso quello che il paziente riesce a mettere in parola. È per questo che l’analista chiede al paziente di parlare liberamente seguendo il filo delle libere associazioni, vale a dire di parlare senza pensare a quello che sta per dire, di parlare come parla l’inconscio.

Per la medicina, la psichiatria e molte altre terapie di tipo non psicoanalitico, invece, il sintomo è un disturbo, espressione di un guasto che non rimanda a un significato soggettivo da poter comprendere e interpretare: non è nell’ordine del simbolo ma nell’ordine del segno. Cioè è segno che c’è un guasto da qualche parte e che lo produce, un guasto che dà segno di sé. Per esempio, il segno dell’infarto è il dolore precordiale che si produce allo stesso modo in tutti i pazienti. E qui sta la grande differenza tra l’approccio psicoanalitico alla sofferenza umana e al sintomo psichico e l’approccio di altre psicoterapie non psicoanalitiche: solo per la psicoanalisi il sintomo è prezioso in quanto dice del paziente e per questo va interpretato affinché si possa arrivare al problema che il paziente, non riuscendo a mettere in parola, esprime attraverso il sintomo.

Il senso dell’aiuto psicoanalitico è quello di aiutare il paziente a mettere in parola ciò che finora poteva esprimere soltanto attraverso il il sintomo: è la parola che cura, che risolve e che permette l’abbandono del sintomo. Ovviamente, c’è bisogno di un lavoro che non è semplice perché il paziente, per quanto voglia liberarsi del sintomo, tende a riprodurlo perché può trovare più sostenibile immettere nel sintomo qualcosa di cui, pur soffrendone, in effetti non vuole saperne.

Il sintomo psichico rappresenta il compromesso tra ciò di cui si vuol parlare e il bisogno al tempo stesso di non volerne sapere. Il sintomo rappresenta cioè un dire senza sapere cosa si sta dicendo, anzi senza neanche sapere che esso è un dire, addirittura senza neanche sapere che è il soggetto stesso che sta dicendo qualcosa di sé attraverso il proprio sintomo.

Le altre psicoterapie, cosiddette brevi, partono dal presupposto che sia possibile risolvere il sintomo con delle tecniche, senza porsi la domanda di cosa possa significare quel sintomo: più che la manifestazione di un problema inconscio, il sintomo è visto come l’espressione di un errore cognitivo, che deve essere corretto con opportune strategie o protocolli addestrativi.

Questo discorso si ricollega alla cultura della nostra contemporaneità che tende sempre di più a negare, a non riconoscere il significato di discorso, il significato simbolico del sintomo psichico e della sofferenza che l’accompagna, perché questo presuppone il riconoscimento della soggettività umana che può essere compresa solo se singolarmente considerata e solo se le viene data la possibilità di ascoltare la parola di quel soggetto, in netta contrapposizione all’idea che si possa facilmente risolvere qualsiasi problema con l’aiuto di protocolli validi per chiunque prescindendo dall’interrogazione soggettiva e della messa in discussione del soggetto.

Approfondiremo successivamente le implicazioni sociali, culturali, antropologiche di questa tendenza sempre più diffusa nella nostra contemporaneità: il vedere qualsiasi disagio come qualcosa che possa essere efficacemente risolto in tempi brevi e in maniera risolutiva una volta per tutte. Cercheremo di capire perché per l’essere umano questo non è possibile e cercheremo di capire anche come invece la psicoanalisi intende la sofferenza psichica del soggetto, quale sia, per la psicoanalisi, la vera “malattia mentale” dell’uomo e in che modo la psicoanalisi ne rappresenta la cura.

Egidio T. Errico

Medico, psichiatra e psicoanalista, già dirigente psichiatra presso il Servizio di igiene mentale dell’ASL SA/1 e primario psichiatra presso la Casa di Cura “La Quiete”. Socio Ordinario con funzioni didattiche della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica e docente della Scuola di specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica.

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