La psicoanalisi ci salverà

L'etica dell'ascolto come dimensione di cura che può salvare l'uomo post moderno dal disagio in cui vive che è dettato prevalentemente dalla solitudine

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Il senso di queste riflessioni è intercettare da una parte il disagio sempre crescente del soggetto della post-modernità, e dall’altra di riconsiderare le possibilità di aiuto in un tempo in cui anche le risposte al disagio dell’individuo di oggi sembrano pesantemente condizionate dalle logiche del marketing, dell’utilitarismo e del consumismo.

L’attuale epoca della digitalizzazione dei media offre la possibilità di essere sempre connessi e di trovare nell’immediatezza di una domanda la risposta – quasi a riprodursi una simultaneità immediata della domanda e della risposta; una logica, questa dell’immediatezza della risposta, che pervade anche il campo delle cure psicologiche. Vediamo, così, proliferare sempre più piattaforme mediatiche che suggeriscono possibilità psicoterapeutiche immediate, stando comodamente a casa. Sono le piattaforme che consentono le psicoterapie on line, modalità inaugurata dalla recente pandemia.

Il disagio crescente e diffuso del nostro tempo, il bisogno di aiuto e la ricerca della salute mentale sono diventati un terreno di sfruttamento imprenditoriale dal momento che queste piattaforme promettono l’abbinamento di uno psicoterapeuta ad ogni paziente attraverso degli algoritmi. L’utente, in questo modo, perde quel momento fondamentale che è alla base di ogni possibile percorso psicoterapeutico, e che consiste nella ricerca attiva, da parte di chi soffre, del proprio psicoterapeuta, presso cui recarsi per destinargli la propria domanda di aiuto per valutarla insieme, affinché possa poi costituirsi la risposta più adeguata e potersi avviare quel processo di cura che solo in questo modo può utilmente prodursi.

La cura della salute mentale
non può essere un business

Parto proprio da questa considerazione di attualità per sottolineare come la cura della salute mentale sia oramai diventata un vero e proprio business che risponde alle logiche dell’assicurare tutto e subito: la dimensione attraverso cui si organizzano oggi anche le relazioni sociali e interpersonali e che è alla base di quel malessere diffuso di cui abbiamo accennato. In altre parole si cura utilizzando le stesse logiche che determinano il malessere che si vorrebbe curare.

Quindi, possiamo dire che i tempi moderni sono effettivamente i tempi della velocità, della sincronia, della simultaneità e delle risposte immediate secondo i principi dell’efficientismo: bisogna recuperare e bisogna farlo nel più breve tempo possibile. Questa modalità comporta la contrazione di quello spazio intermedio che invece ogni soggetto dovrebbe poter recuperare nella propria realtà psichica, spazio intermedio tra lo stimolo – quindi il disagio, il bisogno – e la risposta. Lo spazio intermedio è lo spazio della riflessione su se stesso, del pensiero e della formulazione della domanda soggettiva. Lo spazio, anzi, che proprio la capacità di porsi la domanda può creare e dilatare. È lo spazio dell’interrogazione soggettiva: il malessere psichico, quale che sia, non può essere pensato come qualcosa per cui sia possibile trovare immediatamente la risposta, il rimedio, senza darsi la possibilità di pensarlo piuttosto come domanda soggettiva, vale a dire come domanda su se stesso. Il sintomo psichico interroga la soggettività, ma anche la collettività di cui il soggetto fa parte, e dunque interroga continuamente l’altro, chiede ascolto e cerca la risposta. Una risposta che non sia però il rimedio prestabilito della Scienza, ma quella che può emergere solo all’interno della relazione di ascolto che si è in grado di assicurare a chi soffre. Cosa vuol dire ciò? Perché avverto questo malessere, questa sofferenza? Perché questo sintomo e soprattutto cosa vuol dire?

Le psicoterapie della risposta immediata e dell’aggiustamento a tutti i costi di ciò che non va senza preoccuparsi di capirne il perché e le ragioni rispondono a questa logica dell’elusione della domanda e della contrazione del tempo dell’elaborazione soggettiva del proprio malessere. E dunque, viene elusa la domanda, non viene incoraggiata l’interrogazione soggettiva, non viene favorito quel potersi dare un tempo, un tempo per capire, un tempo per riflettere, un tempo per sapere. Si tratta di una logica che occlude tutto questo e che riduce il malessere, il disturbo, il sintomo, il comportamento deviato a un disturbo da correggere nel più breve tempo possibile: una logica della cura che funzioni in questo modo di fatto è una logica che evita che si possa procedere nella dimensione dell’ascolto. Se la domanda non serve, se è inutile, superflua se è nient’altro che una perdita di tempo, allora l’ascolto non serve.

Quindi, il dramma sempre più diffuso del soggetto che si manifesta attraverso la sua sofferenza psichica è che gli viene negato il tempo dell’ascolto. La cosa che assume, come dicevamo, una connotazione particolarmente drammatica, è di non riuscire più a tener conto della verità del sintomo, che non è quella del disturbo da correggere ma è quella di un appello, di un messaggio, di un discorso da ascoltare: il sintomo stesso è una domanda, la segnalazione di un disagio, di qualcosa che non va di cui il paziente vorrebbe saperne di più.

La domanda di aiuto come
richiesta di parlare di sè

Ogni domanda di aiuto psicoterapico non è soltanto, come potrebbe sembrare da un approccio più superficiale, la richiesta di essere liberati dalla sofferenza; ma è la richiesta di poter parlare di sé.

La società post moderna è invece una società in cui è cancellata la dimensione dell’ascolto, ma se non c’è ascolto non non può esserci una parola che possa essere rivolta all’altro e che l’altro possa ascoltare. Oggi, ognuno parla da solo, ognuno parla a sé e tramite l’altro e questo non fa altro che rimandare al soggetto il senso della propria solitudine e della impossibilità a costruire legami sociali soddisfacenti.

Anche la possibilità di amare è fortemente compromessa perché l’amore è proprio la possibilità di trovare l’altro che mi riconosca come soggetto portatore di una parola, che è la sua parola, la parola di cui ci si innamora.

In questa dimensione la psicoanalisi, che pure molti vorrebbero far credere oramai superata e obsoleta, rimane quanto di più importante possa proporsi come quella dimensione psicoterapeutica che fondi la sua prassi, il suo metodo e la sua efficacia sull’ascolto che offre alla domanda del paziente; l’unica dimensione di terapia e di cura che fonda la sua etica sul riconoscimento che il sintomo di cui il paziente soffre, al di là della sofferenza che lo determina, è un messaggio, un appello, un discorso che parla del paziente e della sua soggettività più nascosta, un messaggio intimo, segreto, singolare che proviene dal suo inconscio: “Il sintomo è un discorso, per questo lo ascoltiamo” – dice Jacques Lacan, il grande psicoanalista francese della nostra contemporaneità.

 

Egidio T. Errico

Medico, psichiatra e psicoanalista, già dirigente psichiatra presso il Servizio di igiene mentale dell’ASL SA/1 e primario psichiatra presso la Casa di Cura “La Quiete”. Socio Ordinario con funzioni didattiche della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica e docente della Scuola di specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica.

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