Saluto romano tra sentenze e ambiguità del presente

Dubbi e inquietudini per la decisione della Suprema Corte di "sdoganare" il saluto romano. Un possibile equivoco che rischia di influenzare la percezione collettiva di un giudizio storico inappellabile

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A pochi giorni dalla commemorazione dei fatti di Acca Larenzia del 7 gennaio 1978, quando tre giovani militanti missini furono uccisi da un commando di estrema sinistra, la Suprema Corte, nell’ambito di un procedimento riguardante un caso affine, si è pronunciata sull’offensività giuridica del gesto del saluto romano, ripreso dalla simbologia fascista.
Sulla base della legislazione di riferimento, secondo il giudice di legittimità, la rilevanza penale del saluto fascista deve essere valutata nel contesto in cui esso si manifesta, a seconda, cioè, che sia commemorativo o politico.
Solo in quest’ultimo caso è possibile contestare la violazione della legge Scelba, ovvero, ex legge Mancino la condotta di apologia del fascismo, quando vi si una palese finalità di ricostituzione del partito fascista.
Un distinguo, quello operato dalle Sezioni Unite, che suscita dubbi e inquietudini.
Sul piano del formalismo giuridico la statuizione della Suprema Corte può anche essere ineccepibile, ma restano perplessità sulla portata e sull’incidenza di un provvedimento che ha conseguenze sulla percezione dell’opinione pubblica riguardo a fenomeni politici che rivestono ancora una forte capacità divisiva. Un po’ come dire che la storia del ventennio e del neofascismo non può ancora essere declinata totalmente al passato.
Una pronuncia della Cassazione non si risolve unicamente in una pronunzia giurisdizionale di legittimità, in una attività di nomofilachia, bensì, su questioni di particolare sensibilità sociale tratteggia un quadro generale del comune sentire che investe i profili sociologici di comportamenti e opinioni.
Nel caso specifico del saluto fascista, la Suprema Corte rimanda al giudice di merito la valutazione sulla rilevanza penale del fatto, suggerendo un’applicazione molto restrittiva della legislazione di riferimento, la legge Scelba del ‘52 e la legge Mancino del ’93.
I dubbi risiedono sulla forza di persuasione e sulla capacità propagandistica di un gesto che spesso è riproposto in modo meramente emulativo, altre volte ha delle finalità commemorative, ma non per questo è meno efficace sul piano strettamente politico e della ricerca del consenso.
Qual è il confine tra commemorazione, rievocazione e vera e propria  manifestazione politica?
Risulta ardua una netta linea di demarcazione che poi consenta alle autorità preposta di operare una distinzione tra condotta penalmente rilevante e non.
Le strumentalizzazioni possibili dell’informativa delle Sezioni Unite rischiano di essere l’occasione per inaugurare una nuova stagione revisionista del giudizio storico sull’eredità politica e culturale del  fascismo. Una logica del “setaccio” che rivede i margini dell’accettabilità sociale di comportamenti potenzialmente pericolosi per il confronto democratico tra idee diverse.
Gli estremismi politici si sono sempre nutriti del consenso che scaturisce dal culto della memoria, della forza simbolica della commemorazione, conferendo a questo esercizio il valore di un agire strettamente politico che ha come scopo la ricerca di un consenso.
Non è certo nelle aule giudiziarie che si può esaurire il dibattito su fascismo e antifascismo; c’è una storia che si alimenta delle proprie stesse scorie e non cadrà mai in prescrizione, fino a quando il passato troverà modo di infilarsi nelle ambiguità del presente.

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