Le vittime di mafia nei Vespri siciliani di Emma Dante

In scena al San Carlo una riuscita e innovativa rappresentazione dell'opera verdiana. La regista siciliana ha offerto uno spettacolo attualizzato in senso ideologico e politico pur riuscendo a mantenere intatti i valori e la fisionomia dell'originale dell'autore. Bravi gli interpreti, onnipresente il coro del Massimo napoletano

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L'opera verdiana nel nuovo allestimento di Emma Dante

Un’emozionante versione registica dei Vespri siciliani di Giuseppe Verdi è andata in scena al Teatro San Carlo di Napoli il 23 gennaio scorso con repliche successive. La regista siciliana Emma Dante ha offerto uno spettacolo attualizzato in senso ideologico e politico dell’opera verdiana pur riuscendo a mantenere  intatti i valori e la fisionomia dell’originale dell’autore. Ella ha collegato il tema dei soprusi del potere e della prepotenza volta a reprimere l’inalienabile diritto dei popoli e dell’individuo alla libertà e all’autodeterminazione, tema caro a Verdi, all’oppressione ed arroganza delle mafie, essendo l’opera verdiana ambientata a Palermo all’epoca della dominazione francese del tredicesimo secolo contro cui si svolse la famosa rivolta dei Vespri, ma anche di tutte le altre forme analoghe di violenza. “I miei Vespri sono un omaggio e anche una commemorazione delle vittime della mafia, delle croci che ognuno ha, e quindi nel caso di Napoli della camorra. Una tragedia comune che ha una commemorazione comune”, dichiara la regista nella conversazione riportata nel programma di sala. È la celebre fontana di piazza Pretoria di Palermo, quale elemento architettonico da scomporre e ricomporre lungo l’intero arco dell’opera,  il luogo prescelto della scena, a evocare la città in cui si svolgono le vicende di guerra e sopraffazione dei “Vespri” così come le tristi storie di mafia ricordate dai gonfaloni recanti  le immagini delle sue vittime come Borsellino, di cui la protagonista dell’opera è presentata come sorella, sostituito a Federico D’Austria dell’originale, pensando appunto a Rita Borsellino e al suo impegno di una vita per “cercare verità” sul fratello. Targhe toponomastiche calate dall’alto su alcune scene significative, mostrano le tristi indicazioni dei luoghi e strade degli innumerevoli agguati compiuti dalla mafia, come “Capaci”, “Via De Amicis”, “Acquasanta”  ecc.

Lo sfondo prevalente della scene firmate da Carmine Maringola è nero e su quel nero si stagliano gli elementi indicanti i luoghi, quelli marmorei della fontana e delle sue statue tra l’umano e l’animale o gli altri ambienti comunque richiamanti le indicazioni sceniche contenute nell’opera verdiana su libretto di Scribe,  o la nave che, discendendo dall’alto, approda sulle rive  siciliane ad inizio secondo atto riportando in patria  Procida il capo dei patrioti che ritorna dall’esilio per organizzare la rivolta. La cancellata della fontana al centro della scena  diventa la prigione del quarto atto, mentre splendida, tutta  d’oro si presenta quella del terzo atto di palazzo  Monforte in cui si svolgerà il ballo, momento clou quando i cospiratori tentano di uccidere il tiranno e dove si svela l’identità di Arrigo che da patriota appare traditore per causa non voluta, avendo scoperto di essere figlio  del governatore francese. Maioliche siciliane rivestono invece lo studio di Monforte, mentre il quinto atto ritorna agli elemeti iniziali quindi alla piazza della città addobbata con le luminarie tipiche delle feste di paese tra il sacro e il profano,  non mancando i cortei processionali in cui si fa sfilare, portata a  spalla, l’icona dei santi. Quindi si sente una Sicilia emblematica di tutti i luoghi di apparteenenza in cui il concetto di patria  è allargato, al di là degli stereotipi, a luogo  proprio non solo dei nativi, ma di tutti coloro che sono accolti e che vi si riconoscono per elezione nel  rispetto e nella legalità. I costumi di Vanessa Sannino dividono in due gruppi gli oppressori e gli oppressi, le tute di acetato per gli aggressori, abiti principlmente a lutto per gli aggrediti. Le guerre e i conflitti dei Vespri sono quelle di oggi, così come le offese recate alle donne siciliane ci riportano alle violenze ininterrotte del nostro mondo, con trovate sceniche di forte impatto, ad esempio quella delle donne insultate, infilate  capovolte e trascinate via in sacchetti dei rifiuti. I dettagli che rendono la rappresentazione vivida e incandescente nello stimolare la riflessione e la coscienza civica di ciascuno sono ricercati e molteplici. Fin dall’ouverture che risuona con un fermento imploso annunciante la rivolta, un carretto scarica dinanzi al sipario vecchi pupi simboleggianti le tradizioni calpestate così come nel resto dello spettacolo le loro pantomime rappresentano fantasiosamente i conflitti, in una visione dei Vespri, quale una specie di “cunto” come quelli rappresentati nelle piazze dai pupari. L’aspetto  rilevante della regia  non rischia tuttavia  di offuscare il valore musicale dell’opera sia perché rimane ad esso funzionale e sia per il pregio di  voci  straordinarie, tutte italiane, come quella di Maria Agresta nei panni di Elena, qui una combattente, ma espressiva e profonda nel rendere il suo dissidio interiore tra l’amore per Arrigo e l’ impegno civico, e in primis  quella baritonale di Mattia Olivieri che incarna Guido di Monforte uno dei personaggi più interessanti del dramma, dotato di grande personalità vocale e scenica. Il tenore Piero Pretti è un Arrigo convincente, allo stesso tempo eroico e toccante nel suo amore per la protagonista femminile e nel suo sentimento verso il padre, il basso Alex Esposito dà voce  all’acceso personaggio di  Procida. A completare il cast: Gabriele Sagona (il Sire di Bethune), Adriano Gramigna (il Conte di Vaudemont),  Carlotta Vichi (Ninetta), Francsco Pittari (Danieli), Antonio Garés (Tebaldo)  Lorenzo Mazzuchelli (Roberto), Raffaele Feo (Manfredo).

Onnipresente il coro del teatro San Carlo, popolo e coro tragico, che si distingue sotto l’esordiente ed ottima direzione del maestro Fabrizio Cassi appena nominato. Bel suono quello dell’orchestra sancarliana seppure sotto la direzione un po’ sbiadita di  Henrik Nánási.

Pur  nella versione qui data dell’opera, priva dei ballabile dello spettacolo grandoperistico francese, va sottolineato l’efficace apporto artistico dei movimenti scenici di Sandro Maria Campagna. Emerge nel complesso, al di là di tutte le altre componenti, tutta la forza musicale di un’opera difficile spesso non giudicata al pari di altri lavori verdiani, ma in cui il musicista come già in altre occasioni al confronto con il modello del grand opéra francese, intraprende un percorso nuovo, guadagnando in complessità ma senza perdere la capacità di scandaglio dell’animo umano, percepibile oltre che in momenti solistici pregnanti, ancor più  in splendidi brani d’assieme, uno fra tutti, realizzato con il giusto accento dalla realizzazione sancarliana, sia dai solisti che dal coro, quello delle scene sesta e settima del secondo atto in cui si esprime la costernazione del popolo siciliano dopo il ratto delle donne da parte dei francesi, in cui gli artisti incarnanti i personaggi di Elena e Procida rendono vocalmente al massimo il realismo drammatico della parola sempre più centrale nella ricerca drammatico musicale dell’autore. Applausi scroscianti a conclusione di uno spettacolo di valore.

 

 

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