Matteotti ammonisce l’Europa: ecco cos’è il fascismo

Ad un anno dalla marcia su Roma, il parlamentare segnala alle democrazie europee, con quest'articolo pubblicato nel gennaio del 1924 su Critica Sociale, la vera natura di un regime, che si fa strada con violenze, intimidazioni e restrizioni degli spazi di libertà per gli oppositori. Il testo sarà letto oggi a Salerno, nel corso di una performance teatrale ideata da Massimiliano Amato, in occasione del centario dell'assassinio del parlamentare e martire socialista

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Pubblichiamo con emozione questo scritto di Giacomo Matteotti, che comparve su Critica Sociale nel gennaio del 1924, come abstract di un libro bianco che vide la luce alla fine del 1923, nel quale – ad un anno dalla marcia su Roma – l’autore faceva il punto su violenze, intimidazioni e soprattutto sulle notevoli, progressive restrizioni degli spazi di libertà per gli oppositori politici. Un articolo decisivo per la cultura e la militanza antifasciste, forse ancora più importante dello storico discorso che Matteotti tenne in Parlamento il 30 maggio, perché con esso il leader socialista aprì gli occhi alle democrazie occidentali di Francia e Inghilterra sulla vera natura del fascismo. Probabilmente, Matteotti con questo scritto firmò la sua condanna a morte. Ringraziamo il co-direttore di Critica Sociale, Massimiliano Amato, che ci consente la pubblicazione di questo scritto, proprio nel giorno in cui, a Salerno, si ricorda – con una densa serata teatrale (locandina a sinistra), il martirio del grande parlamentare. 

 

Dopo un anno di dominazione fascista

La giustificazione del rivolgimento fascista era presentata in questo duplice scopo: ristabilire l’autorità dello Stato e della legge, che si diceva diminuita dal bolscevismo prima e dalle bande armate del fascismo poi, soverchianti la debolezza del regime democratico; – restaurare la finanza e l’economia nazionale, portate sull’orlo del fallimento. Se i due scopi siano stati perseguiti o raggiunti – in modo da giustificare l’assalto violento del fascismo’ che portò la Nazione al rischio di una guerra civile e comunque limitò la libertà e le garanzie dei cittadini – è oramai tempo, dopo un anno, di constatare.

L’AUTORITÀ DELLO STATO E LA LEGGE

Mai come in questo periodo di tempo la legge è divenuta una finzione, che non offre più nessuna garanzia per nessuno. La libertà personale, di domicilio, di riunione non sono più regolate dallo Statuto, e neppure dai soli capricci della polizia, ma continuano ad essere alla mercé di qualsiasi capo fascista. Ottanta cittadini italiani sono stati in quest’anno uccisi impunemente dai cittadini che godono il privilegio fascista, e le stesse esecuzioni sommarie, pubblicamente organizzate e condotte, non hanno avuto alcuna sanzione, non che di condanne, neppure di procedimenti giudiziari. Migliaia di cittadini sono stati bastonati, percossi, feriti; centinaia di domicili invasi o devastati, senza che la polizia se ne sia mai accorta. La libertà di stampa dovrebbe essere garantita dallo Statuto, ma non passa settimana che un giornale non sia o soppresso illegalmente dai Prefetti e dai Questori, o assalito e devastato da fascisti, o per lo meno pubblicamente minacciato di violenza, non tanto per avere’ commesso reati, ma semplicemente per avere esercitato opera legittima di opposizione. Lo Stato ha finito per perdere ogni autorità. Esso è sostituito o asservito al partito dominante. I Prefetti non decidono autonomamente, ma sono chiamati a rapporto o ricevono ordini da individui fascisti che non occupano alcun posto superiore nella gerarchia statale. La polizia è esercitata non a vantaggio della Nazione, ma del partito al potere, il quale è anzi entrato addirittura, tutto armato, a costituire esso la polizia.

LA RESTAURAZIONE ECONOMICA E FINANZIARIA

Nessun cittadino sente sopra di sé la vigilanza di uno Stato; ognuno sente solo la minaccia di un partito che è padrone dello Stato, cosicché chi è membro del partito crede sé stesso lo Stato; chi è avverso al fascismo, è costretto a confondere lo Stato nella sua avversione contro il partito dominante. E i liberi Comuni italiani sono tutti in mano a Commissari regi o alla discrezione del locale Capo fascista. Ma la soppressione delle civiche libertà, la confusione della legge con l’arbitrio, dello Stato col partito, hanno essi almeno servito per quella restaurazione economica e finanziaria che doveva salvare l’Italia dal baratro? Guardiamo alle cifre, agli indici dei fatti economici e finanziari i più importanti dell’anno fascista, confrontati con quelli degli anni antecedenti. I cambi, sui quali si erano fatte concepire tante speranze, segnavano nei mesi di gennaio-settembre 1922, cioè nel vecchio regime, una media di 20,8 per New York. Sono peggiorati nell’anno fascista con una media di 21,7, che negli ultimi due mesi si è aggravata ancora intorno ai 23. Certo vi contribuisce quella irresoluzione delle questioni internazionali, che turba ancora l’Europa, ma che la turbava anche coi precedenti Governi, e che non poté essere migliorata dal consenso di Mussolini alla invasione della Ruhr. La bilancia commerciale, che dava nei primi 9 mesi del 1922 una importazione di 11.163 milioni, una esportazione di 6349 e quindi un deficit di 4814, ha dato nello stesso periodo del 1923 un aumento di 1512 nelle importazioni, un aumento di 976 nelle esportazioni, e quindi un maggior deficit di 536 milioni. Ma nei mesi di ottobre e novembre vi è già un miglioramento, che meglio corrisponde al progressivo miglioramento del dopoguerra.

Miglioramenti e peggioramenti sono comunque contenuti entro limiti assai ristretti e dipendono spesso da cause niente affatto connesse con la politica più o meno fascista (raccolto del grano e delle barbabietole, terremoto giapponese che fece elevare i prezzi della seta, ecc.). E’ vero che la disinvoltura del Governo fascista è arrivata perfino a vantare come proprio merito il raccolto granario di 54 milioni di quintali nel 1923. Ma quando si pensi che nel 1921 (cioè in pieno bolscevismo) se n’erano avuti quasi altrettanti (52,4) e subito avanti la guerra 58 (1913), si vede bene che il vanto non regge. E’ più vero che i Depositi presso Banche e Casse di risparmio sono nell’ultimo anno saliti da 28 a 32 miliardi, ma è anche vero che nei due anni antecedenti 1920-21 e 1921-22, quantunque la lue democratica non fosse ancor stata vinta, detti depositi erano pur saliti da 20 a 28 miliardi. Più vero è che i titoli in Borsa, sia di Società private, sia di Stato, sono saliti di valore e assai più che negli anni anteriori. Ma, a parte che ciò non muta la reale e sostanziale ricchezza italiana, è vero altresì che, contemporaneamente al salire dei valori capitalistici, si ha, col trionfo del fascismo nelle diverse zone d’Italia, la diminuzione dei salari e degli stipendi del lavoro, in quote variabili dal 10 al 25 per cento. Ciò dimostrerebbe più esattamente che col fascismo quasi nulla è mutato nella economia italiana, e sono semplicemente continuati il moto di miglioramento e l’opera di ricostruzione di quello che la guerra ha distrutto. Di nuovo c’è questo solo: la ricostruzione avviene ora quasi tutta a spese delle classi inferiori e a vantaggio delle più ricche. La sostanza intrinseca, in altre parole, non è mutata: la economia italiana è intrinsecamente sana ed è in progresso. È mutata soltanto, col fascismo, la distribuzione, nella quale si sono avvantaggiati i capitalisti e gli speculatori a danno dei proletari e della piccola borghesia. Tanto maggiore danno hanno avuto le classi inferiori dal periodo fascista, quanto più si è accentuato il caro-vita. L’indice Bachi, che era a 708 nel 1922, è salito a 725 come media del 1923. Invano nel 1920- 21, quando i prezzi si pareggiavano alla svalutazione della moneta, si è dato ad intendere che il caro vita era da attribuirsi all’ingordigia degli operai. Ora invece si addimostra in pieno che, diminuiti pure i salari, la speculazione dei produttori e degli affaristi e la protezione loro concessa dallo Stato riescono a mantenere i prezzi ad uguale e maggiore altezza, a danno di tutti i consumatori italiani. I fascisti vantano anche una sensibile diminuzione nel numero dei disoccupati. Ma è stato omesso di aggiungere che sono variati i metodi e gli organi di rilievo, che in certe zone sono escluse dal rilievo categorie intere di disoccupati perseguitati, e che, infine e soprattutto, si ha ora, rispetto al periodo antecedente, un numero doppio e più che doppio di emigrati, che non trovano più lavoro in Italia o dovettero lasciare ad altri il proprio posto, perché non vollero piegarsi al giogo fascista.

PAROLE ED ATTI DEL GOVERNO FASCISTA

Del resto, perché la economia italiana avrebbe dovuto avvantaggiarsi per l’avvento del fascismo? Certo si sarebbe avvantaggiata per la cessazione delle bande armate, che nel 1921-22 occupavano una parte del paese, togliendo ogni forza alla autorità dello Stato. Ma, poiché questo non avvenne, e le bande non fecero che divenire milizia di partito accampata nello Stato, la politica interna non migliorò se non trasformando la rissa in istato di terrore. Avrebbe dovuto migliorare per il liberismo doganale? No, perché anche questo fu promessa vana, che parve divenire realtà solo per poche voci secondarie della tariffa, mentre furono decisamente respinte tutte le più radicali proposte socialiste e liberiste relative alle grandi categorie dei prodotti tessili e dei grani, del legname e dello zucchero, della metallurgia e dei prodotti alimentari, ecc. Avrebbe dovuto migliorare per la completa astensione dello Stato da ogni intervento nell’economia privata, come predicava Mussolini, modello 1921? Mai no; poiché non mai come in questo tempo il Governo è intervenuto sotto ogni forma nei fatti economici: dal salvataggio della Ditta Ansaldo all’interessamento… per la Scala; dal prestito di 138 milioni a favore di industriali ex-austriaci alla compera delle Raffinerie fiumane; dal salvataggio del Banco di Roma alla stipulazione del patto tra armatori e marinari; dal regalo dei 55 milioni ai cantieri navali all’assunzione in economia dei lavori della direttissima Firenze-Bologna… Lo Stato si astenne dall’intervento solamente quando tale astensione poteva giovare a singole categorie di capitalisti, a danno degli altri italiani: così come quando sospese il calmiere sugli zuccheri, per far guadagnare quasi 50 milioni agli speculatori, o cedette la costruzione delle ferrovie siciliane, con convenzioni deplorevoli, agli amici del ministro; o strozzò l’inchiesta sulle spese di guerra, o quella sulle industrie; o tentò di cedere le ferrovie ai privati e ci rinunziò poi solo per la resistenza di un ras localmente interessato; o lasciò decadere le assicurazioni sociali, facendo loro mancare il sussidio dello Stato e il sussidio dei datori di lavoro; o abolì le imposte sull’eredità e sui titoli industriali; o respinse dalle scuole pubbliche 18 mila giovani che volevano imparare. In tutto il resto non è visibile alcun vantaggio per la economia nazionale; nazionale, ripeto.

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FASCISMO E CLASSE OPERAIA

Come nella economia è stata distrutta ogni difesa del consumatore contro la speculazione; come nella finanza si è esentato da tributo il capitale ereditato e il capitale mobile, per decurtare invece del 10 per cento il salario degli operai, così in tutto il trattamento verso le classi operaie la dominazione fascista ha dimostrato il suo indirizzo reazionario. Ma il peggio è la ipocrisia demagogica con la quale tale politica è coperta dagli antichi sindacalisti, blanquisti, antimilitaristi, rivoluzionari, che ora tengono i primi posti nella dominazione fascista. Mentre si distruggono meditatamente le organizzazioni libere del lavoro o si nega loro ogni libertà, si finge un sindacalismo fascista che arriva fino alle invasioni di terre o di fabbriche appartenenti a quei datori di lavoro … che non sussidiano abbastanza largamente la locale cassa fascista. Mentre si annuncia di voler sancire per legge la conquista delle otto ore, si pubblicano leggi e regolamenti che consentono infinite eccezioni alla regola delle otto ore e che a nessuno operaio italiano hanno dato un miglioramento, ma a molti padroni hanno dato il mezzo o il pretesto di un peggioramento nell’orario di lavoro. Mentre si preannuncia la sostituzione di una rappresentanza del la voro ai vecchi organi costituzionali, si sono distrutte di fatto, a una a una, tutte le migliori conquiste della legislazione operaia. Al modo stesso che, mentre davanti ai giornalisti stranieri si fa l’apologia della stampa, viceversa, appena essi sono partiti, si assaltano e devastano le redazioni dei giornali o se ne sequestrano e distruggono le copie per impedirne la vendita. Nel nome della Patria si riducono in servitù i tre quarti degli italiani e si lascia che, sotto la etichetta del bene della Nazione, la nuova classe dirigente soddisfaccia interessi personali, sfoghi rancori, vendette o meschine ambizioni. E per trastullare il popolo asservito, si torna a largirgli, come nei tempi corrotti di schiavitù politica, lo spettacolo di feste, parate, cortei, gesti retorici e cerimonie. Di modo che, anche se l’Italia potrà superare brillantemente la prova finanziaria ed economica di questo periodo, ne rimarrà come conseguenza più grave e più dolorosa ‘un ritorno addietro di più che trent’anni nella educazione civile e politica e nella formazione del carattere morale del popolo italiano.

*da Critica Sociale n.1/1924 – 1 gennaio 1924

 

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