Tra gli anni ’80 e ’90 sono stato fortunatissimo habitué di Marco Mignani, genio creativo della pubblicità (agenzie Leo Burnett, Tbwa, RSCG, etc), partito troppo presto per il mondo dei più.
Per ricordare ai giovani laureati in Scienze della Comunicazione chi fosse Marco, voglio citare solo alcuni degli Slogan e/o Head Line di cui fu autore: la “Milano da Bere” per l’amaro Ramazzotti, i “Dieci piani di morbidezza” con la carta igienica Scottex che si srotolava dietro ai palloncini volanti, il “Niente lava meglio del Dixan”, con gli omini che volando entravano e uscivano (senza computer grafica) da una lavatrice, il clamoroso “Wawawuma!”, che diventò un tormentone tra i giovani paninari, per lanciare la Citroen Visa, una modesta auto che Marco fece decollare dal ponte della portaerei Clemenceau e riemergere dal mare su un sottomarino e – udite, udite – l’ancora attuale “Forza Italia” partorita da Marco per una campagna politica della DC ma ignorata dal segretario De Mita, perché inadatta e troppo calcistica… ma poi lucidamente riesumata nel ’94 da uno che di comunicazione di massa e di calcio se ne intendeva sul serio.
Certo quelli erano anni di grandi budget aziendali e di creatività oggi sconosciuta, ma piccoli o grandi investimenti pubblicitari che fossero, quella Comunicazione d’Azienda, tra gli anni ’80 e ’90, fondava sempre su tre piloni Culturali basilari: Marketing, Semiotica e Psicolinguistica. Culturali perché per trasferirli nella Comunicazione occorreva conoscerli sul serio, immergersi in essi, fare panel azzeccati e ricerche approfondite per trovare il giusto posizionamento del prodotto da lanciare nel mercato e quindi un Packaging, colori caratterizzanti e nome che – a seconda del posizionamento voluto – si accodassero ai leader di mercato a prezzi più contenuti o se ne distaccassero totalmente puntando a nicchie specialistiche ancora non coperte.
Era l’A-B-C della Comunicazione, quella che dava risultati, anche se occorreva armarsi di tanta pazienza per educare le stesse imprese industriali a creare atmosfere ed emozioni intorno al prodotto, molte di esse erano certe che i consumatori non aspettassero altro che comprare: erano anni di crescita quelli lì!
Con la crisi degli anni 2000 i budget risicati delle aziende e la polverizzazione delle competenze professionali hanno penalizzato gravemente la creatività funzionale al marketing e i leggendari anni di Marco Mignani, Gavino Sanna, Emanuele Pirella, etc.., vere rockstar, sono evaporati lasciando il posto a un’era di onesto (e spesso modesto) lavoro digitale, frutto di una società non più alla ricerca di emozioni e passioni ma di nuovi ideali legati a un relativismo che ha messo in discussione Cultura, Politica, Religione, generando nuove Community Valoriali che solo i Social hanno intercettato avendo gli algoritmi per segmentare le masse in base agli interessi.
Ciò ha imposto alle Aziende un riposizionamento nel mercato, rinunciando ad una “Image Reputation”, badando all’oggi, all’immediato, con una presenza essenziale e basilare sui nuovi media e facendo un balzo indietro di Comunicazione di oltre quaranta anni… è la conseguenza del mercato creato dai Social che è realmente globale e dove il prezzo è rimasto l’unica leva vitale: il consumatore cerca l’affare, la convenienza e se cerca il Brand lo vuole scontato.
Che ne sia causa o conseguenza, oggi tutte le aziende vogliono solo vendere e a farne le spese è stata la letteratura aziendale oggi piena di ricerca e povera di emozioni; è per questo che la creatività, ormai superflua, è trasmigrata nel tecnicismo digitale.
E non è detto sia un male.