Secondo Asimov, dal 1980 in poi negli USA (ma poi si è propagato altrove) c’è stato un progressivo malinteso del concetto di Democrazia per cui la sua massima “la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza” ha avuto sempre più valore. Oggi non c’è più dubbio, l’ascesa di leader politici che trattano la competenza come difetto e non come valore è un trend globale e non dà segni di cedimento. Dall’America di Trump -“il cambiamento climatico è una bufala inventata dai cinesi😱 ”- fino a Bolsonaro, Milei, Orban, Erdogan e all’Italia dei ministri virologi da bar convinti che la vitamina A sia la soluzione per il morbillo, stiamo assistendo al surreale… ma purtroppo non è una farsa comica, è il presente, ed è pure pericoloso, perché quando l’ignoranza siede al governo diventa strategia di potere.
La crisi delle competenze è un fatto; oggi se sei un esperto, sei sospetto, sei troppo “studiato”, poco pratico, troppo “lontano dalla gente comune”, insomma vivi di teoria. In un’epoca di social media e opinioni gridate, chi sa davvero qualcosa viene spesso messo alla gogna. Il cittadino qualunque, forte solo del non sapere e di qualche video su YouTube, si sente perfettamente titolato a discutere di vaccini, economia globale o fisica quantistica. Il risultato? Una corrosione delle competenze.
Il sociologo Richard Sennett parlava di “corrosione del carattere“; oggi potremmo parlare, con amara ironia, di corrosione del cervello collettivo. Il sapere diventa antipatico, elitario, è contro il popolo. E così, in nome della semplicità, si preferisce chi lancia slogan palesemente infondati, perché quello che li grida ci crede davvero!, è come la gente comune.
Ma attenzione, non sto parlando di ignoranza quale carenza di informazioni, ma di ignoranza croccante, pianificata, strategica, organizzata come costrutto sociale, coltivata come un bonsai tossico. Robert Proctor, con la sua teoria dell’agnotologia, ci ricorda che l’ignoranza può essere indotta nel popolo dall’abilità di chi mette in circolazione notizie o dati falsi con fini strategici o di propaganda, specie quando serve a vincere elezioni o consolidare il potere.
Se Trump afferma che “L’Europa è nata per fotterci” oppure che “70 Paesi vogliono baciarmi il culo”, perché il vaccaro del Texas o il negletto di Brooklyn che a stento sanno leggere, non dovrebbero crederci? L’ostilità indotta è un’arma politica devastante perché riempie quella parte di vita degli emarginati che non sarà mai vissuta con soddisfazione.
Negare il cambiamento climatico, ad esempio, sembra da stupidi ma non è un errore, è una scelta narrativa. È dire non ho bisogno degli scienziati, io ho la pancia del popolo dalla mia parte… una pancia che viene regolarmente riempita di fast food ideologico, semplice, basilare, giusto per non far marcire il cervello, ma privo di “valori nutritivi per la mente”.
Il populismo e l’anti-intellettualismo sono un connubio tossico; il populismo ha bisogno dell’anti-intellettualismo come il fuoco dell’ossigeno. Senza nemici culturali, perde mordente. Per questo esperti, scienziati, professori e primi fra tutti i giornalisti che si permettono di diffondere idee non grate al potere, sono diventati bersagli perfetti. In Italia poi, la cosa ha un sapore tutto nostro: la diffidenza verso chi parla difficile è atavica. E allora via libera al politico che parla come al bar, che sbaglia i congiuntivi e che quindi ha la patente di Homo Nature… almeno è vero, è uno come noi…
Ma i problemi veri, quelli tosti – l’economia, l’energia, la sanità pubblica- non si risolvono con lo stile da bar. Richiedono competenze, studi profondi, capacità di visione e intelligenza…
Ed ecco che la sindrome del tuttologo (Dunning-Kruger) è la benedizione scientifica per chi meno sa: meno si sa, più si è convinti di poter discutere di tutto. In politica questo si è tradotto nell’esplosione di figure che, senza alcuna competenza, si presentano propugnatori di grandi progetti che non saranno mai fatti … come il Ponte sullo Stretto, il ritorno alla Lira, come far ripartire il PIL in tre mosse, come bloccare le migrazioni in due e togliere tutte le accise (pizzo di Stato…) sulla benzina, ma senza dire come farà… ma intanto il popolino si riempie la panza con ‘ste fantasie.
La cosa grottesca? Questi personaggi piacciono alla massa proprio perché incompetenti, non sono come gli altri. Il problema è che non sono nemmeno come dovrebbero essere: cioè preparati, responsabili, capaci. Ma l’incompetenza ormai è diventata un brand. E funziona!!!
Aneddoti? troppi a citarli… e superano la realtà, vanno oltre l’ironia e la satira. Un esempio lo diede Matteo Salvini, ex ministro dell’Interno, quando dichiarò (ne scelgo uno a caso, ce ne sono una Quaresima di suoi!) che voleva una “ruspa al Colosseo” per combattere il degrado a Roma. La battuta -se tale era- suonava più come una minaccia edilizia. E dire che parliamo di uno dei simboli più noti del patrimonio culturale italiano. Fortuna che la ruspa è rimasta nei parcheggi dell’ANAS.
Altra figura da album Panini quella di Luigi Di Maio, che in un’intervista suggerì l’idea di “stampare moneta” come soluzione economica per l’Italia. Una proposta che fece ridere i banchieri centrali ma anche gli studenti iscritti al primo anno di Economia. E come dimenticare quando confuse la Russia con l’Unione Sovietica; del suo italiano creativo o l’assenza dei congiuntivi, ve ne faccio grazia.
Senza andare lontano nel tempo poi, l’ignoranza produce anche frode culturale (oltre che cafonaggine) come quella di annunciare -diritto Internazionale, quello sconosciuto!- l’annessione di Paesi sovrani come Canada o Groenlandia (Danimarca) o di far crollare le Borse con i dazi scellerati… il sospetto dei Dem USA che sia un caso di Insider Trading, non è peregrino.
Il ruolo dei media: I social media hanno dato voce -per dirla con Umberto Eco- “a tutti gli imbecilli”. Una meraviglia democratica, ma nella pratica hanno reso indistinguibili le opinioni dai fatti. Peggio ancora, hanno premiato le opinioni più scandalose, più urlate, più clickbait. L’algoritmo non ha etica: se funziona, lo promuove. E così il dibattito si è trasformato in una rissa da reality show. I media tradizionali, purtroppo, non sono stati da meno. Hanno abbandonato un po’ il ruolo critico, scegliendo la spettacolarizzazione. E allora, al posto di un economista serio, meglio un influencer complottista, fa più ascolti e chi se ne frega se poi la gente crede che il 5G sia un’arma biologica o che ci abbiano inoculato, con il vaccino per il Covid-19, un microscopico androide per controllarci.
L’ignoranza viene istituzionalizzata… non è più solo tollerata: viene difesa, coccolata, celebrata. Uscirne: è impresa difficile ma necessaria. L’antidoto? Non è semplice. Non si tratta di fare lezioncine al popolo incolto. Serve una nuova alleanza tra competenza e comunicazione. Chi sa, deve anche saper spiegare. Chi governa, deve anche studiare. E chi vota, deve pretendere un minimo sindacale di preparazione che non sia quella di parlamentari laureati raccogliendo figurine Mira Lanza -di antica memoria- o punti “Conad”. Dobbiamo smettere di accettare la mediocrità come sinonimo di onestà. L’onestà, da sola, non basta se chi prende decisioni non ha idea di cosa cacchio sta facendo.
L’ignoranza al potere non è una gaffe continua da commentare con ironia. È un problema serio, sistemico, profondo. È il sintomo di una cultura che ha smesso di credere nella complessità e si è arresa alla semplificazione urlata. Ma non è una condanna inevitabile.
Ricominciare a credere nella conoscenza, nella verità, nella fatica del sapere -sì, quella che non sta in uno slogan- è l’unica strada per salvare la democrazia dalla deriva del populismo dilettante: frasi ad effetto come quelle di Trump, Bolsonaro o Milei sono frasi che eccitano le folle reiette… finché non devi prendere un aereo progettato da uno che ha preso la laurea in ingegneria su TikTok.