Il giornalismo ha un futuro? La crisi economica e di credibilità, la concorrenza dei social e la perdita dei lettori sono alcune patologie di cui soffre il mondo dell’informazione. La crisi è talmente avvertita che spesso ci si interroga sul futuro (e sull’esistenza di un futuro) del giornalismo. Alla domanda risponde Carlo Sorrentino, docente universitario e direttore della storica rivista «Problemi dell’informazione», con il libro «Il giornalismo ha un futuro. Perché sta cambiando, come va ripensato» (pubblicato lo scorso mese di aprile da Il Mulino).
Perdita della titolarità esclusiva delle notizie, sovraccarico informativo, crisi di credibilità, cambio delle modalità di fruizione delle informazioni e intelligenza artificiale: sono solo alcuni dei passaggi che hanno riguardato il mondo del giornalismo degli ultimi anni. Con una constatazione di fondo: i processi comunicativi diventano sempre più orizzontali e la mediazione giornalistica non è più detentrice del potere assoluto di informare; ma è, al contrario, solo una delle mediazioni possibili. Se un tempo l’attività del giornalista era principalmente il gatekeeping, con riferimento alla selezione delle notizie operata da un professionista dell’informazione, ora si parla principalmente di gatewatching – e cioè dell’impegno profuso a rendere più visibili e virali le notizie – e di gatebouncing, in riferimento all’idea di rendere marginali le notizie fuorvianti o false (Vos, 2020).
E allora cosa accade? Se il giornalismo – dice Sorrentino – si limitasse ai fatti, così come abbiamo sempre pensato, sarebbe immediatamente superato anche grazie alle tecnologie digitali: con il web ognuno può mettere in vetrina se stesso; le testate giornalistiche sono state soppiantate nel loro ruolo originario dai profili social. Il giornale non è più l’unica porta di ingresso delle informazioni ma rappresenta solo uno dei modi con cui si possono acquisire notizie.
Ecco allora che il giornalismo deve cambiare ed essere ripensato; un cambiamento che si rende necessario per non morire. L’informazione non deve essere un semplice spazio di esposizione ma un luogo di scambio; può ordinare la sovrabbondanza di informazioni in cui siamo quotidianamente immersi. Serve, dunque – dice Sorrentino – un nuovo patto tra produttori e consumatori di informazioni: se la realtà diventa complessa e articolata, la rilevanza di intermediari in grado di semplificare la realtà e interpretarla non può certo essere sottovalutata. L’informazione può, allora, diventare una guida per i cittadini. Come? Sorrentino rielabora la storica regola delle 5W e quella delle 5I di Singer (immersivo, interconnesso, individualizzato, iterativo e istantaneo), e scrive che nel nuovo patto tra giornalisti e lettori sono necessarie 5 I: identità, inclusione, illuminazione, inquadramento e interpretazione. Una strada difficile? Non del tutto, specie perché gran parte delle 5I sono tutt’oggi parte integrante del nostro modo di informare. Forse è solo il caso di rafforzarle e di proseguire lungo una strada che sembra tracciata. L’identità fa riferimento all’identità competitiva di una testata e a un forte rapporto che va instaurato con il proprio pubblico; l’inclusione la troviamo negli abbonati che sono sempre più sostenitori e parte di una community; l’illuminazione fa riferimento alla necessità di accendere attenzione su eventi e fenomeni con durate e intensità diverse rispetto alla velocizzazione del giornalismo attuale e quindi si traduce in approfondimento e in googlizzazione del giornalismo (Abramson); l’inquadramento significa inquadrare l’evento e spiegarne le cause (il why? delle 5w); l’interpretazione per fornire chiavi di lettura, comprendere i significati degli eventi e dei fenomeni sociali trattati.
Potrebbero spiegarsi così il successo dei longform, format che va in controtendenza rispetto alla velocità della rete e all’immediatezza delle notizie e la buona riuscita di iniziative editoriali che puntano a spiegare come i giornalisti usano le fonti, quali sono i processi produttivi e rendono conto del dietro le quinte (come accade al New York Times e al Washington Post).
Allora forse c’è un futuro: se il giornalismo sa cambiare e sa ripensarsi – ci dice Sorrentino – non tutto è perduto.