Era il 6 Febbraio 1965 quando, con l’episodio “Addio Giornalino”, si chiudevano le 8 puntate di uno storico sceneggiato televisivo che sarà destinato a fare la storia del cinema e del costume italiano e non solo. Perché quello che andò in onda, in prima serata, in otto episodi musicali dal 19 settembre 1964 al 6 febbraio 1965, è stata un’opera preziosa che ha fatto scuola in quegli anni sessanta in cui la tradizione consolidata dello sceneggiato raccontava a milioni di italiani il romanzo storico o di costume.
Il seducente Giornalino
ideato da Luigi Bertelli
“Il Giornalino di Gian Burrasca”, liberamente inspirato all’opera dello scrittore, giornalista e poeta Luigi Bertelli in arte “Vamba”, ebbe un cast stellare e irruppe sugli schermi destando sin da subito ammirazione ed interesse. Un cast eccezionale, di primo livello, con attori eclettici prestati anche a ruoli a loro non consueti, tutti ammaliati dall’energia straordinaria di un’iconica Rita Pavone, diciannovenne sulla cresta dell’onda da pochi mesi con le sue canzoni più famose (tra le tante “Datemi un martello” uscita l’anno prima). Un cast sapientemente diretto dal genio e dall’eleganza di scrittura di Lina Wertmuller e la scenografia di Tommaso Passalacqua, gli arrangiamenti musicali di Luis Bacalov che si trovò a dirigere gli spartiti di un altro genio, il maestro Nino Rota. La colonna sonora, per lo sceneggiato, fu l’elemento notevole, non soltanto per la celeberrima “Viva la pappa con il pomodoro”, divenuta negli anni un inno generazionale, di vittoria, di ribellione tutt’altro che pacifica (la storia del passato, ormai, ce l’ha insegnato che “un popolo affamato fa la rivoluzion”, recita una strofa), ma per quelle canzoni inserite sapientemente negli episodi cantati dai protagonisti; la trama e le vicissitudini del giovane Giannino Stoppani, ragazzo appartenente a un’agiata famiglia borghese fiorentina, sono collegati tra loro da un commento musicale e da alcuni motivi davvero suggestivi: canzoni che descrivono l’armonia familiare o una stazione sonnecchiante svegliata solo da un fischio di un treno, una serata di gala in attesa di una festa in cui si ballerà a ritmo di minuetto e lancet (ballabili di Giuseppe Verdi che Nino Rota aveva composto l’anno prima per il “Gattopardo” di Luchino Visconti e che si prestarono deliziosamente per le danze in casa Stoppani) o una protesta per una marachella non tollerata dal suo “Castigamatti” (il padre) o da quella società troppo perbenista.
Sceneggiatori in gamba
con dialoghi esilaranti
Lo sceneggiato firmato Wertmuller segue con precisione il volume di Vamba e percorre tutta “l’epopea” di Gian Burrasca: Rita Pavone è magistrale non soltanto nella recitazione ma nell’introspezione del personaggio: la finezza degli sceneggiatori consiste in questa annotazione: seguire un filo comune di interpretazione della realtà del protagonista che subito cozza con il contesto storico in cui esso è calato; i dialoghi, poi, sono il pezzo forte dell’opera: vivamente dialettici, smussati per alcuni tratti da un eccessivo barocchismo che Bertelli, da scrittore di tradizione ottocentesca, aveva attinto (sicuramente egli fu attento lettore di due opere letterario-pedagogico come “Cuore” e “Le avventure di Pinocchio”) ma mai eccessivamente pomposi: il mondo degli adulti, che sin da subito si presenta come antagonista al giovane Gian Burrasca con le sue regole, i suoi modi di porsi in quell’Italia giolittiana appaiono subito al “vivace” bambino insopportabili. Occorre, a questo proposito, fare un accurato accorgimento: il personaggio Gian Burrasca, che non poca critica di qualche decennio successivo (ma anche recente) ha liquidato come una sorta di giovane incendiario ribelle provocatore e sciagurato dissacratore incendiario di caminetti o potenziale assassino che spara in casa alla folla, si presenta molto complesso e profondo.
Marachelle brucianti
in un racconto cult
Una lettura attenta e non superficiale del libro e una visione accurata dello sceneggiato andato in onda sessant’anni fa fa comprendere come il fondo di Giannino sia un fondo generoso, contro l’ingiustizia sociale. Un’indole ben compresa dal personaggio dell’avvocato Gaetano Maralli, suo cognato (interpretato da Arnoldo Foà) che darà ospitalità a Giannino in casa sua per salvarlo dal collegio dopo aver recato danni all’altro suo cognato, il dottor Collalto (interpretato da Paolo Ferrari). Suo malgrado, in casa sua Giannino compirà una serie di danni ferali (brucerà una cartella nel fuoco con atti processuali del cognato avvocato in odore di candidatura alla Camera dei Deputati), rivelerà soprannomi sgradevoli al ricchissimo zio Venanzio Maralli facendolo diseredare e via discorrendo. E questa volta, nonostante le buone intenzioni che avevano guidato episodi apparentemente gratuiti (il bisogno di comprare una cartella nuova e il divertimento di conversare con lo zio abbandonato da tutta la famiglia e tenuto in considerazione solo per la futura eredità), l’avvocato dovrà cedere e far spedire Giannino in collegio.
Sarebbe arduo tentare di analizzare ogni “birbonata” del nostro ragazzaccio: il volume (e lo sceneggiato) ne contano decine e decine. Ciò che rende l’opera di Vamba e della Wertmuller unica nel suo genere è, come già detto, la perfetta simbiosi tra trama e personaggio. Ogni personaggio, nel plot, è indovinato ed è essenziale nell’incastro anche per episodi di cui si perdono apparentemente le tracce nel corso della narrazione. Un cast stellare che si avvalse, oltre che della Pavone, di attori e attrici indovinati e di conclamata esperienza: Valeria Valeri, nel ruolo della madre comprensiva, amabile donna di casa, l’unica che comprende realmente i comportamenti del figlio; Ivo Garrani, nei panni dell’autoritario padre che, a differenza della freddezza descrittiva che si ritrova nel romanzo, la Wertmuller trasforma, seppur nell’irremovibilità di certe scelte, comprensivo e disposto all’ascolto; Milena Vukotic, Alida Cappellini e Pierpaola Bucchi, nei ruoli delle sorelle Virginia, Ada e Luisa, sorelle maggiori troppe volte vittime delle burle del fratellino con vittime i propri mariti.
Divenuti simbolici
tutti i protagonisti
Oltre al nulceo familiare, la Wertmuller assegna ruoli indimenticabili ad altrettanti indimenticabili protagonisti, molti dei quali provenienti da una solida formazione teatrale: Alfredo Bianchini (il signor Tyrynnany con tre Y, eccentrico commerciante con la mania inglesizzante), Odoardo Spadaro, memoria storica della canzone toscana nel ruolo dello zio Venanzio, Alberto Bonucci (Ambrogio), che – insieme con Vittorio Caprioli e Valeri – fu uno dei tre (Gobbi), Elsa Merlini (la zia Bettina), Carlo Croccolo (“Gosto il Grullo”), un giovanissimo Roberto Chevalier (l’amico Balestra), Enzo Garinei (il dottor Peruzzi), Italia Marchesini (Matilde Collato), Gino Pernice (il Maestro), Marisa Omodei (la signora Olga), Enzo Guarini (il signor Luigi), Zoe Incrocci (la Marchesa Sterzi), Edoardo Nevola (Tito Barozzo), Mario Maranzana (il signor Capitani). Solo per citarne alcuni.
Casa Stoppani
specchio d’Italia
Se i primi 5 episodi si rincorrono tra disparati e vari cataclismi che trovano le loro infauste conseguenze dal microcosmo di Casa Stoppani e da contesti politici e di polizia (in una climax ascendente molto interessante anche da un punto di vista antropologico-storico, come nelle biografie di quasi tutti i rivoluzionari), l’episodio del collegio merita una riflessione a parte. Tenuti in regime autoritario nel collegio Pierpaolo Pierpaoli dal feroce (ma buffo ed impacciato) direttore Stanislao (Sergio Tofano) e dalla caratteristica direttrice Gertrude (Bice Valori, costretta a camminare sulle ginocchia per rendere il suo personaggio grottesco nella sua autorevolezza), il nostro piccolo rivoluzionario troverà un micromondo costituito, anche qui, di piccoli soprusi e abusi di potere che poco reggeranno di fronte a un’organizzazione carbonara come l’Associazione “Uno per tutti, tutti per uno”, che punirà i “tiranni” a suon di battipanni dopo un’improbabile seduta spiritica.
Nel pubblicare a puntate sul “Giornalino della Domenica” tra il 1907 ed il 1908 per darlo alle stampe nel 1912, l’autore Vamba potrebbe essersi ispirato alle “Memorie di un ragazzaccio” di Ester Modigliani, a sua volta tratto del testo “A Bad Boy’s Diary”, scritto nel 1880 da Metta Victoria Fuller Victor e dato alle stampe in origine con il titolo “Il diario di Mastro Scompiglio” e come “Diario di un ragazzaccio”.
Una regia superba
raffinata e incisiva
La regia di Wertmuller, per quanto si sia trovata a tradurre sullo schermo per un pubblico assai variegato (come fu per Claudio Nizzi e Gianni De Luca per il loro Giornalino di Gian Burrasca a fumetti per “Il Giornalino” delle Edizioni San Paolo), ha colto a pieno il messaggio che il personaggio ha voluto offrire ai lettori di quel tempo: attraverso le marachelle, le lotte , la fantasia di Giannino fu consegnato, con raffinata ironia, l’ipocrisia e la falsità del mondo degli adulti in contrapposizione alla spontaneità e al bisogno di verità del mondo dei bambini. Una verità per certi versi storica e legata ad equilibri che il minimo accenno di sincerità può far svanire.
Il tema dell’amicizia, della lealtà, della famiglia ma anche dell’amor di patria, dell’amore per la cultura (Giannino è un attento osservatore e lettore della sua società, altrimenti non sarebbe un attivo “militante” in pectore) sono presenti in modo incisivo, come incisivo fu il successo dello sceneggiato che lanciò definitivamente Rita Pavone, per sempre “Gian Burrasca”.