Salerno, da capitale della sperimentazione teatrale al nulla di oggi

Una serata presso il Piccolo Teatro di Porta Catena ha ricordato “Gli anni ’70 e il Teatro sperimentale a Salerno”, a mezzo secolo dalla Rassegna Nuove Tendenze avviata a Salerno tra il ’73 e il ’76, l’attività teatrale del Teatrogruppo e la recente uscita del volume “Teatro e teatri a Salerno” di Franco Tozza. Tre segnali di protagonismo che collidono con l'attuale situazione, segnata da una proposta teatrale di routine e dalla totale lontananza dell'Università

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Lo scorso 26 gennaio nella sala del Piccolo Teatro di Porta Catena di Salerno si è tenuto l’ incontro su “Gli anni ’70 e il Teatro sperimentale a Salerno” dove sono stati chiamati testimoni e studiosi di teatro e della storia culturale della città. L’evento giunge a cinquanta anni dalla Rassegna Nuove Tendenze avviata a Salerno tra il ’73 e il ’76, dall’attività teatrale del Teatrogruppo e in occasione della recente uscita del volume “Teatro e teatri a Salerno” di Franco Tozza, che documenta i luoghi e le attività teatrali nella città di Salerno dal ‘600 ai giorni nostri. Tre argomenti dentro e intorno al discorso teatrale per i quali sono stati chiamati Stefania Zuliani, docente all’Università di Salerno e attuale direttrice della Fondazione Menna; Mimma Valentino, ricercatrice e autrice di due libri sul nuovo teatro; Giustina Laurenzi protagonista del Teatrogruppo; il regista Pasquale De Cristofaro; il professore Rino Mele, tra i critici che animarono a suo tempo la Rassegna. La manifestazione nacque su impulso di Filiberto Menna e Achille Mango che con Ferruccio Guerritore, allora a capo dell’Azienda Soggiorno e Turismo, chiamarono il critico romano Beppe Bartolucci a curare e organizzare il programma che ospitò a Salerno il migliore teatro sperimentale italiano e internazionale di quegli anni.

Bartolucci tra il pubblico (foto Ugo Di Pace)

L’evento fu davvero significativo non solo per l’importanza degli artisti – Leo De Berardinis, Carmelo Bene, Memè Perlini, Giuliano Vasilicò, Giancarlo

Dibattito di Leo de Berardinis (foto di Ugo di Pace)

Nanni, Roberto Benigni, Carlo Cecchi, Simone Carella, Remondi e Caporossi e altri; il Living Theatre, il Grand Magic Circus di Jerome Savary, Bob Wilson e altre formazioni – anche per l’invenzione di un modulo organizzativo  che fece scuola e aprì quello che poi a Roma si chiamò con Renato Nicolini la stagione dell’effimero e a Napoli l’Estate di Maurizio Valenzi. L’uso disseminato degli spazi, dal Teatro Verdi agli scantinati dell’Azienda Soggiorno e Turismo, alla palestra della Scuola Quagliarello, alle gradinate delle chiese, al Teatro La marina, sul lungomare; le anteprime degli spettacoli con sfilate nelle strade cittadine, l’intera città coinvolta nella quale circolavano con gli artisti migliaia di studenti e spettatori. Altra innovazione introdotta da Bartolucci, fu la creazione di una sinergia produttiva tra critica e artisti che dava luogo a spettacoli che erano il risultato dell’approfondimento e della riflessione sui linguaggi, sulle poetiche, sulle modalità espressive.

Leo De Berardinis e l’occupazione del Verdi (foto Ugo Di Pace)

Una critica “militante” che vide giungere a Salerno esponenti nazionali e internazionali, da Ripellino ad un giovane Augias, a Celant, Quadri, Kirby. L’evento insomma fu epocale, è certamente rimasto negli annali della storia del teatro nazionale e diede vita alla formazione di diverse competenze. Intorno alla rassegna si formarono fotografi reporter come Ugo di Pace e di cui il figlio Elio, filmaker sta proseguendo l’opera; designer come Pino

Filiberto Menna e Rino Mele (foto Ugo Di Pace)

Grimaldi e Gelsomino d’Ambrosio che si conobbero in quella circostanza, firmando la grafica dei manifesti e dando vita allo Studio Segno; Gaetano Mansi oggi affermato fotografo di moda e di viaggi; ma anche fotografi napoletani come Fabio Donato. Intorno alla rassegna nacque anche, come accadeva in quegli anni, una corposa discussione politica che, via via che l’iniziativa cresceva e diventava sempre più importante, cominciò ad attaccarne gli intenti e le pratiche, anche per controllarla politicamente visto il consenso  che generava e le risorse pubbliche che utilizzava; ci fu uno spostamento al Comune che non portò a nulla, attacchi che arrivavano dall’Arci e dal Pci per una maggiore partecipazione dal basso e nella quale rimasero impigliati giovani osservatori e attivisti in buona fede; così con l’ultima edizione si chiusero i battenti sulla felice stagione salernitana che aveva sprovincializzato la città ponendola al centro di un dibattito sulla cultura e il teatro di rilievo nazionale.

Roberto Benigni in Cioni Mario, (foto Gaetano Mansi)

Il Teatrogruppo di via Calenda

Anche il Teatrogruppo, formato da diversi giovani e intellettuali, ebbe il suo momento felice con l’apertura di uno spazio autogestito in via Salvatore Calenda, il passaggio in quella sala di centinaia di giovani avvolti nella discussione sul come e il perché fare teatro che li portò verso il teatro popolare e la ricerca musicale. Le sperimentazioni sull’autore tedesco Peter Weiss con l’iniziale nucleo formato da Michele Santoro, Peppe Cesareo, Rosanna Genovese, Nunzio Vitale, Aurelio Musi, Carlo Vassallo, più orientato ad utilizzare il teatro come messaggio politico di cui era portatore Michele Santoro allora leader del movimento studentesco e che diede vita allo spettacolo “Cantata del Fantoccio lusitano”; poi la seconda fase su cui si innestarono altre menti brillanti come Fiorenzo Santoro, Geppino Gentile e, a vocazione più attoriale, Andrea Bastolla e Attilio Bonadies;  molte le ragazze che partecipavano come registe e attrici, da Giustina Laurenzi a Michela Manzoni, a Millina Soldi, ad Annamaria di Genio, un nucleo che diede vita ad un’opera corale e di grande impegno, “La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat, rappresentato dalla compagnia filodrammatica dell’ospizio di Charenton sotto la guida del marchese de Sade”, detto “Marat-Sade” , un teatro che manteneva una fortissima valenza politica, con la scelta di un autore contemporaneo, autore del “Woizeck” di “Morte di Danton” che si inseriva nella scia della ricerca di Bertold Brecht. Un testo a più strati dove si incrociano le idee rivoluzionarie e illuministiche di Marat, eroe della rivoluzione francese e il nichilismo disincantato e cinico del Marchese de Sade con il coro formato dai pazienti che disubbidiscono alle direttive impartite da Coulmier, direttore dell’ospizio interpretato da Geppino Gentile, trasformato in una sorta di giullare imbonitore. Il gruppo, con la guida di Fiorenzo Santoro,  si dedicò anima e corpo a questa produzione che vedeva in scena una trentina di attori, costruendo abiti di sacco per i pazienti, la vasca materiale e simbolica in cui è immerso Marat, interpretato da Andrea Bastolla, l’abito settecentesco di Sade interpretato da Giuseppe Cesareo mentre Annamaria Di Genio dava voce a Charlotte Corday, una paziente affetta da letargia, che si svegliava con l’ossessione di pugnalare Marat. Fu il culmine della produzione teatrale del Teatrogruppo che di lì a poco con il “Leonce e Lena” di Buchner, esso stesso testo della crisi si avventurò verso la fine di quell’esperienza. Il testo di Buchner descrive il viaggio onirico ed esistenziale di due innamorati, immersi tra realtà e sogno, una storia sulla indeterminatezza della vita, della ragione e dei sentimenti, magistralmente recitata dagli attori del gruppo che finiscono anche essi nella medesima sospensione su un arduo passaggio: dall’esercizio della passione teatrale gratuita, generosa e autogestita, alla professione, verso un più produttivo destino personale di artista.  L’intervento di altri partecipanti, come Paolo Apolito, l’interesse verso le tradizioni popolari che già si era aperto con la collaborazione con Giovanna Marini, portò il gruppo nel ’74 ad orientarsi decisamente verso la ricerca sul popolare e alla produzione sonora, con  Ciro Caliendo, Gianfranco Rizzo e lo stesso Carlo Vassallo. “Giunto all’apice del successo, forte anche di una notorietà che aveva varcato i confini nazionali, il Teatrogruppo si sciolse nel 1978 forse per l’esaurirsi, alla vigilia dei deprimenti anni ’80, delle spinte che avevano animato i generosi propositi di un’intera generazione, più probabilmente per ragioni interne alla sua stessa composizione e configurazione che vietava di trasformare in professione e mestiere le ragioni più profonde di quell’esperienza che aveva raccolto attorno a sé alcune tra le espressioni migliori della società civile di una cittadina del Meridione d’Italia”. Così l’Archivio Sonoro della calabrese Associazione Culturale Altrosud  descrive la parabola del gruppo che negli anni, dopo la scomparsa di alcuni dei suoi più importanti componenti ( a cui l’incontro era dedicato), conserva in gran parte la memoria di questa ultima fase, come dell’ultima parentesi della azione femminista di Teatra, a discapito della produzione teatrale che ne aveva segnato lo slancio iniziale. Ma soprattutto – e veniamo ai giorni nostri – l’intera storia è rimasta in gran parte patrimonio della memoria personale senza riuscire a collocarsi né in un percorso storiografico oggettivo, né nel giusto spazio di un contesto nazionale come appunto l’espressione migliore di una società civile di una cittadina meridionale che dopo quella stagione, è ripiombata nel provincialismo. 

Il libro di Franco Tozza

L’ultimo argomento della serata, il più recente libro di Franco Tozza, “Teatro e Teatri a Salerno”, edito nel 2024 da Francesco D’Amato editore e che racconta, con dovizia di dati e notizie, la vicenda teatrale della città dal ‘600 ai giorni nostri e ricostruisce con pazienza certosina una storia del teatro a Salerno ricca di sale, di incroci sociali, tra le corti dei principi e la borghesia illuminata quest’ultima confluita nella costruzione nell’800 del magnifico Teatro Verdi, è in qualche modo la risposta a questa mancanza; il libro, lavoro matto e faticosissimo dello studioso, scomparso di recente, chiude questa lunga parabola teatrale salernitana portandola sul terreno che le spetta, trasferendola dalle indulgenti biografie e aneddotiche personali a documentazione storica e oggettiva. A giudicare dall’affluenza la sera del 26 gennaio al Piccolo Teatro di Porta Catena, l’evento ha raccolto l’interesse di molti, orfani di una memoria cancellata, certo per la nostalgia che essa suscita in una intera generazione tradita nei suoi ideali, anche da quelle stesse forze politiche in cui aveva creduto e che avrebbero dovuto sostenere un percorso di emancipazione; ma anche per il vuoto culturale che si è determinato negli anni e che non è stato riempito né dalla stagione lirica al  Verdi, né dalla prosa, né dalle stagioni amatoriali dei tanti teatri e teatrini della città, né tantomeno dalle luci di artista. Una storia culturale di una città meridionale che come molte altre del sud ha avuto i suoi momenti di gloria e alti e bassi ma nella quale potevano trovare posto luoghi dove questa memoria venisse conservata e fruita con archivi e documentazioni; dove venisse mantenuta viva con l’apertura di musei civici, dell’arte e dello spettacolo, case del teatro e del cinema come è avvenuto in altre analoghe città italiane. I tanti contenitori monumentali che pure sono stati restaurati negli anni con i copiosi fondi europei, giunti sulle regioni dell’obiettivo 1, da Palazzo Fruscione, a Santa Sofia, alla Palazzina liberty della Cotoniere sono rimasti privi di attività se non occasionali e non sempre di qualità adeguata; oppure ceduti ai privati come è il caso di Santa Sofia trasformato in “’Palazzo dell’innovazione” cioè spazi per il coworking dati anche in affitto; così il Teatro Ghirelli ritagliato  nella bellissima fabbrica ex Salid che dopo una decina di anni gestito da teatranti napoletani ha subito passaggi traumatici, fino alla chiusura con l’annuncio di un prossimo bando per l’affidamento; la stessa Fondazione Menna, depositaria di opere e materiali di enorme importanza, nell’altrettanto storica palazzina del Combattente sul Lungomare, ha visto alterne vicende dopo la guida del gruppo universitario di Pino Cantillo, Angelo Trimarco e altri docenti, oggi finalmente riaffidata alla direzione di una persona competente come Stefania Zuliani, richiede un rilancio adeguato alla sua storia. Gli anni della Rassegna hanno visto la città diventare essa stessa evento, luogo della discussione e dell’approfondimento; teatro collettivo e intellettuale diffuso, ma a dispetto di questa lunga storia (solo in minima parte affrontata con l’evento del 26 gennaio) il teatro cittadino si è sclerotizzato in gestioni di cartelloni senza mai dar vita ad una comunità teatrale fatta di pubblico e operatori. L’università, pur a poca distanza,  è ormai da tempo lontana, la sua partecipazione alla Fondazione del Ghirelli, non ha lasciato traccia alcuna; esperienze importanti che si muovono nell’Ateneo, come la recente celebrazione dei cento anni di Achille Mango, bypassano Salerno e vedono come interlocutori unicamente gli operatori napoletani, magari gli stessi che hanno sfruttato e portato alla chiusura il Ghirelli. È una storia triste per molti aspetti, andata perduta da scelte dissennate che hanno mirato alla cancellazione di un periodo in cui la città fu alla pari con il dibattito nazionale per farne una provincia magari ricca ma povera di cultura. L’evento del Porta Catena ha toccato un nervo scoperto e la sua accoglienza festosa, la viva e attenta partecipazione, la folla accorsa, la qualità  dei relatori, meritano di ritornare sull’argomento – come ha suggerito Rino Mele – e a tentare di ricostruire – spirito dei tempi permettendo – quella comunità cittadina che si raccolse un tempo intorno alla Rassegna. Un messaggio che va lanciato soprattutto alle giovani generazioni che di questa nostra storia sanno poco o niente.

Archivi fotografici:

Archivio Gelsomino D’Ambrosio

Archivio Ugo Di Pace 

Archivio Pino Grimaldi 

Archivio Gaetano Mansi

Libri: 

Stefania Zuliani La costruzione del nuovo Salerno 1966/1976 

Mimma Valentino Il nuovo teatro in Italia 1976/1985
Luciana Libero Fantocci, principi e marchesi Il Teatrogruppo di Salerno
Franco Tozza Teatro e Teatri a Salerno

Luciana Libero

Giornalista professionista con una pluriennale esperienza nei settori della cultura e dello spettacolo, maturata in diverse città italiane per quotidiani nazionali; come responsabile di uffici stampa e come direttore artistico di iniziative, convegni, Festival sul teatro contemporaneo. Ha tenuto seminari e corsi presso le cattedre di Storia del Teatro di alcune Università italiane. Ha pubblicato saggi e monografie sul teatro contemporaneo, diretto riviste e pubblicazioni. E’ stata membro del Consiglio di Amministrazione dell’ Ente Teatrale Italiano. Nel marzo 2009 si è prepensionata come giornalista dipendente dalla Poligrafici Editoriale SPA (La Nazione, Il Resto del Carlino, Il Giorno). Ha collaborato come editorialista con La città di Salerno. Dal 2009 vive a Salerno e collabora con La Repubblica di Napoli

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