A ottant’anni dal decreto legislativo n.23 del 2 febbraio 1945, che sanciva l’estensione del diritto di voto alle donne italiane, il Dipartimento di Studi Umanistici (DIPSUM) dell’Università di Salerno, in collaborazione con l’Osservatorio interdipartimentale per gli Studi di Genere e le Pari Opportunità (OGEPO), ha dedicato due giornate di riflessione sulla cittadinanza femminile e sull’emancipazione delle donne. Il 4 e 5 febbraio 2025, l’evento “Il lungo cammino delle donne verso la cittadinanza tra XVIII e XX secolo” organizzato dalla professoressa Maria Rosaria Pelizzari ha riunito accademici, storici, attivisti e cittadini per analizzare le radici di un discorso che, dalla fine del Settecento ad oggi, ha profondamente trasformato il ruolo della donna nella società.
La manifestazione, che si inserisce nella roadmap sulle Pari Opportunità dell’Università di Salerno, ha avuto come focus principale la figura di Salvatore Morelli (1824-1880), politico e scrittore che per primo abbracciò il tema dell’emancipazione femminile. Il 2025 segna il bicentenario della sua nascita e, attraverso questo evento, è stata celebrata la sua figura, ma anche la storia delle molte donne invisibili che, in Italia e nel resto del mondo, hanno fatto proprie le battaglie per i diritti civili e politici.
Dalle pioniere
alle lotte di parità
Le sessioni del convegno hanno esplorato una vasta gamma di temi, dal ruolo delle prime pioniere e suffragette, alla creazione di reti femminili, fino ad arrivare all’analisi delle rappresentazioni culturali e mediatiche della donna nelle diverse epoche storiche. Non solo storia e politica, ma anche arte, letteratura e cinema sono stati trattati come veicoli di lotta per la parità di diritti. In questo contesto, il programma ha incluso interventi di numerosi esperti, e il dibattito finale ha offerto l’opportunità di discutere il concetto di cittadinanza femminile nell’era contemporanea, in un mondo sempre più globale e interconnesso.
I lavori, introdotti dalla professoressa Maria Rosaria Pelizzari, curatrice del Comitato scientifico-organizzativo, sono stati divisi in quattro sezioni: 1.Morelli un uomo fuori dagli schemi (lo studioso, il politico, lo scrittore, “La donna e la Scienza”, i rapporti con i salotti letterari in Italia e all’estero) intro. 2.Dalle pioniere alle suffragette (le antenate, reti femminili, protagoniste del Risorgimento in Italia e all’estero, le donne della Prima guerra mondiale, le prime femministe, analisi dei discorsi e degli interventi pubblici; 3.Protagoniste e reti internazionali (lotte femminili ed esordio sulla scena politica, analisi dei discorsi e degli interventi pubblici); 4.Per parole e immagini: caricature e satira sulle donne in politica (stampa e media); rappresentazioni cinematografiche, televisive, teatrali, letterarie, iconografiche, aspetti del linguaggio di genere in Italia e Francia. Ai lavori, nell’ottica della terza missione dell’università, sono stati invitati i componenti e le componenti delle Commissioni Pari Opportunità dei Comuni più vicini al Territorio dei Campus UniSA. Un invito particolare alle CPO di Fisciano, Baronissi, Pellezzano, Pontecagnano, Nocera Superiore, che già negli anni scorsi hanno collaborato con eventi organizzati da OGEPO-UniSA.
In particolare, la prima giornata ha esplorato la figura di Salvatore Morelli, nato nel 1824 a Carovigno e morto nel 1880 a Pozzuoli. Politico e scrittore, è considerato uno dei primi sostenitori italiani dell’emancipazione femminile. Morelli, che operò in un contesto patriarcale, si distinse per il suo impegno nel promuovere i diritti delle donne, sostenendo la loro partecipazione politica e civile come essenziale per una società libera ed egualitaria. La sua battaglia per la parità dei diritti si concretizzò anche in azioni politiche e nella collaborazione con le prime organizzazioni femministe italiane, sebbene la sua figura – considerata utopistica e stravagante – è stata riscoperta recentemente.
La seconda giornata di studi è stata introdotta dal Professore Alfonso Amendola, che ha analizzato l’evoluzione del linguaggio e delle sue implicazioni nelle rappresentazioni della figura femminile. Un focus particolare è stato posto sul linguaggio e sulle sue trasformazioni nei vari ambiti, tra cui la fonologia, la morfologia e il lessico. È stato evidenziato come, sin dagli anni ‘70 del Novecento, siano emerse le prime indagini che trattano la sessualità come una variabile linguistica e come il linguaggio abbia un impatto cruciale nel definire il posto delle donne nella società.
Gli interventi della giornata hanno offerto un ampio ventaglio di prospettive, unendo analisi teoriche e riflessioni pratiche. In particolare, i contributi hanno analizzato come i media e il linguaggio contribuiscono a plasmare l’immagine della donna nella cultura popolare, con un occhio di riguardo alla parità di genere e all’empowerment femminile.
L’Almanacco
delle evoluzioni
Giulia Annunziata ha portato alla luce la storia e l’evoluzione dell’Almanacco delle Donne, con un’analisi su tre momenti cruciali della sua pubblicazione. Nel periodo 1920-1926, sotto la direzione di Laura Casartelli Cabrini, l’almanacco è diventato un importante veicolo di discussione sociale e politica, affrontando tematiche di emancipazione femminile e diritti civili, tra cui l’estensione del voto alle donne. Durante il regime fascista (1936-1938), l’almanacco si adattò alla propaganda fascista, ma mantenne uno spazio di autonomia, promuovendo scrittrici estere e sfidando il nazionalismo. Nel periodo della Seconda Guerra Mondiale (1939-1943), l’almanacco si trasformò in uno strumento di evasione e mobilitazione, stimolando le donne a sostenere lo sforzo bellico e a diventare protagoniste del cambiamento sociale. Le copertine dell’almanacco riflettono queste trasformazioni, passando da immagini di donne intellettuali a quelle di madri e casalinghe, fino ad arrivare a raffigurazioni più austeri durante la guerra.
L’emancipazione femminile e il lungo cammino verso la cittadinanza hanno proseguito con Martina Masullo, attraverso l’analisi del medium cinematografico e la rappresentazione delle supereroine. Il suo intervento ha evidenziato l’influenza dei media, in particolare del cinema, nel modellare l’opinione pubblica e le aspettative riguardo al ruolo delle donne. Ha sottolineato che:
«Sebbene l’arte richieda un’autonomia espressiva, i media assumono un ruolo fondamentale nel cristallizzare opinioni e nella diffusione di immagini stereotipate».
Tuttavia, ha anche messo in luce il potenziale rivoluzionario del cinema, che a volte riesce ad anticipare le sfide sociali del futuro. Masullo ha inoltre osservato che oggi, grazie ai social, ci sono numerose “supereroine” contemporanee che, come il personaggio di Delia, realizzano piccole rivoluzioni quotidiane.
Un nuovo Domani
di autodeterminazione
Inoltre, Masullo ha dedicato un’analisi approfondita al film C’è Ancora Domani (2024) di Paola Cortellesi, come un altro esempio di come il cinema possa affrontare e promuovere l’emancipazione femminile. Il film si inserisce in una lunga tradizione di opere cinematografiche che raccontano le sfide quotidiane delle donne moderne, proponendo un’interpretazione più complessa e articolata del concetto di emancipazione. Masullo ha evidenziato come il film non solo racconti una storia di crescita personale, ma anche come esso rifletta la realtà della condizione femminile nella società attuale, toccando tematiche cruciali come la ricerca di equilibrio tra vita privata e professionale, il diritto all’autodeterminazione e l’importanza di sostenere l’un l’altra tra donne. La pellicola rappresenta dunque un’importante occasione di riflessione sulla necessità di continuare il cammino verso una piena parità di diritti e opportunità.
Annachiara Guerra ha affrontato un tema particolarmente interessante e innovativo nel contesto delle riflessioni sull’emancipazione femminile, ovvero il ruolo dei videogames. Guerra ha discusso di come l’industria videoludica, storicamente dominata da rappresentazioni maschili, stia lentamente evolvendo per includere figure femminili più diversificate e complesse. Ha sottolineato l’importanza di una maggiore presenza di donne nei videogiochi, non solo come protagoniste, ma anche come sviluppatrici e creatrici di contenuti.
Il suo intervento ha esplorato come i videogiochi possano essere uno strumento potente per ridefinire gli stereotipi di genere, fornendo nuove opportunità per le donne di esplorare ruoli e narrazioni più liberi e meno vincolati ai tradizionali schemi sociali. Ha dichiarato che:
«Il videogioco, come medium, può veicolare informazioni e messaggi importanti nonché sensibilizzare verso determinati argomenti, come la parità di genere. Questi messaggi, possono arrivare ad essere facilmente compresi più facilmente dalle nuove generazioni che fruiscono maggiormente del videogioco, e in generale, hanno una grande familiarità con i suoi linguaggi». Tra i videogiochi più influenti in questo senso Guerra evidenzia Serious Game che utilizza la logica dei giochi di ruolo per promuovere buone pratiche sui ruoli di genere. Il videogame è stato ideato all’interno del progetto europeo GET UP che ha deciso di portare questa tematica nelle scuole attraverso il linguaggio universale e inclusivo del gioco.
Un percorso
drammaturgico
Maria Beatrice Russo ha dedicato il suo intervento a Sara Kane, drammaturga britannica che ha avuto un impatto significativo sul teatro contemporaneo. Russo ha analizzato come Kane, con la sua scrittura cruda e potente, abbia trattato tematiche di sofferenza, identità, e disumanizzazione, spesso esplorando i confini estremi della condizione umana. La sua opera, che include testi come Blasted, affronta con brutalità temi come la violenza, la psicosi e la disperazione, ma lo fa anche con una visione profonda e disturbante della psicologia umana.
Russo ha sottolineato come Sara Kane abbia contribuito a una rivoluzione nel modo in cui le donne sono rappresentate nel teatro. Le sue protagoniste non sono solo vittime passivi, ma sono anche agenti di una reazione, con una forza che le rende protagoniste indiscutibili della loro storia. La sua scrittura rappresenta un passo avanti nella rappresentazione di donne che non sono limitate ai ruoli tradizionali o alle aspettative sociali, ma che esplorano la loro identità attraverso esperienze intense, traumatiche e liberatorie.
L’intervento di Russo ha anche messo in evidenza il modo in cui Kane ha messo in discussione le norme teatrali, dando spazio a un linguaggio che sfida le convenzioni e che ha dato voce a una nuova forma di teatro drammatico, dove la sofferenza emotiva e psicologica è rappresentata senza filtri. Russo ha concluso riconoscendo l’importanza di questa scrittura, non solo come una sfida per il pubblico, ma anche come una riflessione sulla condizione della donna nella società contemporanea, dove le voci femminili non sono solo amplificate, ma radicalmente ripensate e rielaborate.
L’intervento della storica Emanuela Morganti ha, invece, esplorato l’evoluzione dell’immagine femminile nel contesto satirico e caricaturale della pubblicistica italiana tra il XIX e il XX secolo. La sua analisi si concentra su quattro tappe principali dalla rappresentazione delle donne reazionarie e patriote pre e post Unità di Italia, arrivando alle attiviste e politiche della seconda metà del Novecento.
Morganti sottolinea come, nel XIX secolo, le donne venissero spesso rappresentate come personificazioni di nazioni o concetti, ma ci sono esempi di caricature che mostrano donne reali che sfidano gli stereotipi, come quelle delle guardie civiche del 1848. Inoltre, nel corso del tempo, le illustrazioni cominciano a ritrarre donne impegnate in attività sportive e politiche, come l’alpinismo e la lotta per il suffragio.
Nella rappresentazione delle suffragiste e delle militanti del primo Novecento, Morganti nota una dicotomia tra illustrazioni che ridicolizzano le donne impegnate politicamente e quelle che invece le ritraggono come figure resistenti e determinate, ma sempre criticate per il loro aspetto fisico.
Nel secondo dopoguerra, le caricature continuano a rappresentare le donne come inadeguate o sgraziate, come evidenziato dalla vignetta di Guareschi che sbeffeggia Teresa Noce. Tuttavia, Morganti osserva che negli anni successivi, con l’ingresso delle illustratrici nel panorama satirico, emerge una parità di genere nella satira politica, pur mantenendo stereotipi nella sfera umoristica, come nelle vignette della Settimana Enigmistica.
Altre risposte
dalla fotografia
Giovanna Landi ha analizzato l’opera fotografica avanguardista di Francesca Woodman che, sviluppatasi tra il 1971 e il 1981, si inserisce in un periodo storico di cambiamenti profondi nella condizione della donna. La sua arte, caratterizzata da un atto performativo di autorappresentazione e rifiuto delle narrazioni tradizionali, ha rappresentato una critica alle rigide definizioni dell’identità femminile imposte dalla società. In questo contesto, il lavoro di Woodman può essere assimilato all’avanguardia femminista degli anni ’70, diventando un atto politico di ribellione contro una società che non riconosceva pienamente il diritto delle donne di esprimersi come artiste e come soggetti autonomi. L’approccio dell’artista suggerisce un’idea di emancipazione come autodeterminazione, rifiuto degli stereotipi e libertà di definire chi siamo in maniera autonoma e fluida, creando uno spazio di libertà e espressione attraverso il corpo, soprattutto nell’Arte. Come spiega Landi:
«Attraverso il medium fotografico, Woodman compie un atto performativo di autorappresentazione ma anche di rifiuto rispetto ad una narrazione dominante, che circoscriveva entro rigidi confini l’identità femminile. In questo, il suo lavoro è assimilabile a quello dell’avanguardia femminista degli anni ’70. La sua opera, letta in questo senso, è un atto di ribellione alle modalità di rappresentazione del corpo femminile, una critica ad una società che non riconosce fino in fondo alle donne la propria autonomia e il proprio ruolo di artiste e, dunque, un atto politico. Woodman, diventando protagonista attiva della propria narrazione attraverso il suo corpo, crea il proprio spazio di autonomia creativa nel mondo, inteso come diritto pieno alla cittadinanza».
Infine, l’ultima giornata del 5 febbraio si è conclusa con l’intervento di Michele Bevilacqua, la cui riflessione sulla lingua francese come poco inclusiva, solleva interrogativi fondamentali riguardo al ruolo della lingua nella costruzione e nel riflesso delle dinamiche sociali e di potere. Tradizionalmente, la lingua francese ha privilegiato la forma maschile come “neutra”, soprattutto nei casi di plurale, dove il genere maschile prevale su quello femminile anche in contesti che comprendono una pluralità di soggetti di genere diverso. Questa struttura, apparentemente innocente, è in realtà un potente strumento che perpetua una visione di disuguaglianza tra i sessi, consolidando un’impostazione patriarcale della società.
E la lingua diventa
veicolo di valori
L’analisi di Bevilacqua mette in luce come la lingua, lungi dall’essere un semplice mezzo di comunicazione, sia un veicolo di valori, credenze e visioni del mondo. La predominanza del maschile nella lingua riflette una visione storica che ha trascurato e marginalizzato il femminile, e ancor di più le altre identità di genere. In un mondo in cui la parità di genere è al centro del dibattito politico e sociale, una lingua che non riflette questa evoluzione rischia di restare anacronistica, perpetuando modelli di disuguaglianza piuttosto che favorire il cambiamento.
Riconoscere la lingua come strumento di inclusività non significa soltanto rivisitare la grammatica, ma abbracciare una visione che consenta a tutti, senza distinzioni, di sentirsi parte attiva e rappresentata nel discorso collettivo. La questione linguistica diventa, quindi, una battaglia culturale che ha come obiettivo non solo la modifica di regole grammaticali, ma anche un cambiamento profondo nel modo in cui pensiamo e trattiamo le persone nella nostra società. Promuovere una lingua più inclusiva, che rifletta la pluralità dei generi e delle identità, significa compiere un passo importante verso una società più equa e rispettosa.
Pertanto, la sfida proposta da Bevilacqua non è solo linguistica, ma culturale e politica: è una riflessione che ci invita a immaginare un linguaggio capace di aprire spazi di dialogo, uguaglianza e rispetto per tutte le identità. Se davvero vogliamo costruire una società inclusiva, il primo passo potrebbe essere, sorprendentemente, quello di rivedere il linguaggio con cui ci esprimiamo quotidianamente.
Le due giornate di studio organizzate dalla professoressa Pelizzari hanno rappresentato un’importante occasione per riflettere sulle dinamiche linguistiche, sociali e culturali che influenzano la visibilità e la rappresentazione delle donne. L’evento ha messo in evidenza il ruolo fondamentale che il linguaggio e i media rivestono nel plasmare opinioni e visioni del mondo, spesso cristallizzando modelli di genere stereotipati. Tuttavia, attraverso le riflessioni e gli interventi degli esperti, si è potuto scorgere anche un grande potenziale di cambiamento, ancor più urgente in un momento storico in cui il progresso appare minacciato da tentativi di regressione.
Il pensiero di Salvatore Morelli, finalmente riscoperto e studiato, e le attualizzazioni proposte dai partecipanti sono un invito a riprendere il cammino verso una società più equa, dove le disuguaglianze di genere possano finalmente essere superate, tanto nel linguaggio quanto nei media e nelle istituzioni.
Lo storico Hernán Rodríguez Vargas ha evidenziato come:
«In un contesto attuale segnato da un rinnovato dibattito sulla parità di genere, il lavoro di Morelli assume un valore che va oltre il lavoro di noi storici. Studiare la sua opera e il contesto al quale apparitene, significa riconoscere che le battaglie per l’uguaglianza non sono conquiste recenti, ma affondano le radici nella storia del pensiero politico italiano. Inoltre, in un momento in cui i diritti acquisiti vengono talvolta messi in discussione, la sua visione può servire da monito e da ispirazione per nuove politiche di inclusione e giustizia sociale.
Dai contesti specifici
a reali riconoscimenti
Il pensiero di Morelli può essere reinterpretato alla luce di questioni ancora irrisolte, come il divario retributivo di genere, la sottorappresentazione femminile nella politica e nelle istituzioni, e le battaglie per il riconoscimento delle libertà individuali. La sua idea di una società più giusta e inclusiva è oggi più che mai attuale, soprattutto in un panorama globale in cui i diritti delle donne sono ancora oggetto di contestazione e arretramenti ».
Studiare il pensiero di Morelli nel contesto contemporaneo appare fondamentale. Come sostiene Hernán Rodríguez Vargas:
«La satira del suo tempo ridicolizzava Morelli proprio perché il suo pensiero entrava in conflitto con la mentalità dominante. Sebbene in Italia la caricatura fosse spesso legata allo sviluppo del pensiero liberale, la questione dei diritti delle donne e della parità di genere incontrò una resistenza diffusa. L’esaltazione di figure femminili era circoscritta a contesti specifici, come i moti rivoluzionari del 1848 o il processo di unificazione nazionale, ma senza mai tradursi in un reale riconoscimento dei diritti delle donne nella società civile.
Oggi, sebbene la parità di genere sia formalmente riconosciuta, il dibattito resta acceso e talvolta divisivo. Il ruolo delle donne nella società è ancora oggetto di controversie, spesso banalizzate o ridicolizzate in alcuni ambienti, segno che il cammino verso una piena uguaglianza non è ancora concluso.
Rileggere Morelli significa dunque comprendere che la lotta per i diritti non è mai definitivamente vinta. In un’epoca in cui il dibattito sulla condizione femminile era marginale, Morelli propose riforme che oggi consideriamo essenziali, come il diritto di voto femminile, l’uguaglianza giuridica tra i sessi e il superamento della subordinazione della donna all’interno della famiglia. Il suo pensiero, tanto osteggiato dai contemporanei, si rivela oggi una straordinaria anticipazione di molte delle sfide ancora aperte nel nostro tempo».