Boccaccio: Dante e Petrarca sono i padri della rinascita della poesia

La lettera a Iacopo Pizzinga del 1371, ancorché mutila, sembra sostenere l’ipotesi di quanti vedono in Boccaccio il fondatore della storia della letteratura italiana. Tra questi Martin Eisner (“Sostenere, come ho fatto, che Boccaccio abbia ‘inventato la letteratura italiana’ non significa certo ignorare il processo storico e culturale che si estende dal consolidamento della scuola Siciliana in Toscana, passando per Dante e Pietro Bembo, fino a Francesco De Sanctis e Antonio Gramsci”). Indirizzata ad un giovane che in verità parrebbe più versato alle arti diplomatiche che a quelle poetiche, l’epistola di Boccaccio celebra la risorta poesia attraverso Dante e Petrarca. Anche per lui la “rinascita della poesia è dunque resurrezione dell'antichità, vittoria sul mondo barbaro, sconfitto sul terreno della lingua e delle lettere”, (Cesare Vasoli).

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Dunque ho lodato il tuo proposito e la tua egregia fatica, sommamente li lodo e li loderò finché vivrò; e m’induco a credere che Dio stia commiserando il nome italiano, mentre lo vedo dal grembo della sua generosità infondere nel petto degli Italiani anime non diverse da quelle degli antichi, avide beninteso, non di rapina, sangue, frode, violenza, ambizione, e che cercano di ottenere onori non con tranelli, ma con lodevole impegno, sotto la guida della Poesia tentano di prolungare il nome in lontane età e, per poter vivere ancora, di volare per le bocche degli uomini e, libere dalla corporeità, sembrare mirabili agli occhi della posterità. Anche se da loro non viene restituita integralmente la perduta gloria italiana, per lo meno da una sia pur piccola scintilla la speranza dei desiderosi si eleva a fulgida posterità, soprattutto vedendo da uno solo suscitarsene molti. In Italia, infatti, ci fu sempre un certo spirito, quantunque tremulo e semivivo, piuttosto che vigoroso per un qualche valore, come in Catone, Prospero, Panfilo e Arrighetto prete fiorentino, limite dei quali sono dei piccoli opuscoli senza sapore di un’antica dolcezza. In verità nel nostro secolo sono venuti dal Cielo uomini più illustri, a ben vedere, che, con la loro grandezza d’animo, hanno intenzione di risollevare l’oppressa con tutte le forze e ricondurla dall’esilio alle primitive sedi, e non invano. Vediamo inoltre, e non ti dispiacerà leggerlo, prima degli altri degni di nota, o abbiamo potuto vedere, che il celebre uomo, il nostro Dante Alighieri, versato anche nella filosofia, aver bevuto alla fonte abbandonata dei secoli passati latte mellifluo, ma non, tuttavia, esplorare le vie degli antichi, bensì, non senza penosa fatica, sentieri del tutto impraticati e levarsi per primo al Cielo, superare il monte e giunto al punto dove tendeva, ridestando le semiassopite sorelle, sollecitò Febo a suonare la cetra e osò costringere quelle a cantare nella lingua materna. Non realizzò un’opera volgare o rustica, come alcuni hanno voluto, che anzi, con artificiose metafore la rese più grande nel senso che nelle parole. Tuttavia, cosa di cui bisogna certamente dolersi, superata la fatica dell’illustre opera, sottratto da una prematura morte alla meritata gloria, se ne andò senza onore, lasciando, oltre al sacro poema, il fatto che, dopo aver divulgato il nome della poesia a lungo oppresso, coloro che lo volevano, potessero apprendere dal nuovo poeta che cosa fosse la poesia e cosa il versificare. Dopo di lui sempre un cittadino fiorentino, l’illustre Francesco Petrarca, mio maestro, trascurati i principi di alcuni che, come si è detto, a malapena sono meritevoli del nome di poeti, cominciò a intraprendere l’antica strada con tanta forza d’animo, ardore intellettuale e perspicacia d’ingegno che nessun impedimento lo fece desistere, né lo spaventò l’asprezza della via, anzi, rimossi roveti e arbusti, con cui la negligenza umana l’aveva ricoperta, e restaurati con fermo argine le rupi corrose dalle piogge, aprì la strada a se stesso e a chi, dopo di lui, volesse salire. Quindi, purificati la fonte eliconia dal limo e dal giunco palustre, riportate le acque alla primitiva limpidezza, dischiuso l’antro Castalio, già serrato dalla trama dei rami silvestri, ripulito il bosco Laureo dai pruni e riportato Apollo all’antica sede e ricondotte le Pieridi ormai contaminate di squallida rusticità al primitivo decoro, salì fino alla vetta del Parnaso e, composta una corona d’alloro e postasela sul capo, la mostrò, sconosciuta da mille anni e forse più, ai Romani, con il plauso del Senato, e costrinse anche gli arrugginiti cardini dell’antico Campidoglio a riaprirsi, e con somma letizia dei Romani insignì i loro annali di un insolito trionfo. O mirabile decoro! O memorabile impresa!

[Giovanni Boccaccio, Lettera a Iacopo Pizzinga, 1371 (Traduzione dal latino di Giovanna Fratini)]

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