Aziende, furbacchioni e false beneficenze

Non solo Ferragni, tanti altri sono i casi di realtà imprenditoriali che hanno gonfiato le cifre delle donazioni e hanno scelto organizzazioni benefiche in modo inopportuno o hannoutilizzato denaro per scopi diversi da quelli dichiarati

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La Reputation aziendale non è solo un bene commerciale ma riveste un ruolo cruciale anche a livello sociale. Un’azienda con una reputazione solida diventa un pilastro nella comunità, aiutando in modo significativo il suo tessuto sociale. La fiducia che un’azienda guadagna attraverso comportamenti e attenzioni sociali autentiche si traduce in relazioni positive non solo con i consumatori ma anche con stakeholder e dipendenti… però la Reputation può finire nel water in un batter d’occhio quando è palese che si è fatto i furbacchioni e in particolar modo quando ci si picca di fare gli impuniti senza avere alle spalle aziende che incidano realmente nel sociale, con potenti uffici stampa e che sovvenzionino Media e caporedattori di testate, insomma non pronte per le guerre mediatiche.
La falsa Beneficenza è cosa antica e la Ferragni è solo l’ultima, è una strada praticata da tanti, anzi spesso le Organizzazioni beneficate sono in realtà controllate dalle stesse aziende oppure si rendono piacevolmente sodali per costituire fondi neri a disposizione delle aziende beneficanti… E’ qui che è cascato l’Asino ed ha dimostrato che il binomio oggi sulla bocca di tutti ha fatto bricolage senza essere seguiti da esperti Crisis Manager… perché da questi specialisti ci si va prima, non dopo aver combinato il Pasticcio: dopo si mettono solo pezze a colori.

Vi faccio riflettere: sono certo che pochi ricorderanno casi di aziende italiane che sono state accusate di aver fatto beneficenza gonfiando le cifre delle donazioni, di aver scelto organizzazioni benefiche in modo inopportuno o di aver utilizzato le donazioni per scopi diversi da quelli dichiarati…
Proviamo? Tra i casi più noti, vado a memoria, vi cito:
2013, Benetton: la Multinazionale è stata accusata di aver utilizzato le donazioni a favore di organizzazioni umanitarie per promuovere la propria immagine. L’azienda è stata costretta a modificare le proprie politiche e a pagare una multa di 20 milioni di euro.
2014, Ferrero: l’azienda è stata accusata di aver utilizzato le donazioni a favore di organizzazioni umanitarie per lanciare i propri prodotti. L’azienda ha pagato 5 milioni di euro.
2015, Barilla: L’azienda più grande italiana di pasta ha fatto donazioni a favore di associazioni di volontariato per favorire i propri prodotti. L’azienda ha dovuto modificare le proprie politiche di beneficenza e a pagare una multa di 10 milioni di euro.
2016, Mondadori: l’azienda è stata incolpata di aver utilizzato le donazioni a favore di organizzazioni culturali per promuovere i propri articoli. Anche la Marina Berlusconi ha dovuto modificare le politiche di beneficenza dell’azienda ed è stata multata di 3 milioni di euro.
2017, Acqua Minerale San Pellegrino: l’azienda ha fatto beneficenza a favore di Associazioni per l’ambiente per lanciare i propri prodotti: ha dovuto pagare una multa di 5 milioni di euro.
2018, Fiat: è stata accusata di aver dato fondi ad Organizzazioni ambientalistiche per sostenere i propri marchi. L’azienda ha dovuto pagare una multa di 2 milioni di euro.
Ve ne ricordavate? Poco clamore, qualche titolo, qualche intervista, scuse e poi basta.

Come si vede questi esempi sono molto più gravi del caso Ferragni, ma ci stupiamo tanto per l’interesse suscitato nei Media per il crollo della reputazione dovuto alla fuga di aziende enormi come Safilo, Coca Cola, Monnalisa, Tod’s, BMW, etc… Di furbacchioni in giro ce ne sono tanti, lo abbiamo visto, ma com’è possibile che questo grande clamore mediatico è avvenuto solo con lei?
Alla base c’è un incredibile dilettantismo forse fondato su un’insolente arroganza, ma ci sono anche motivazioni sociali e psicologiche: mentre le grandi aziende citate usano sempre operare silentemente e sotto l’ombrello di forti operazioni di R.P. verso giuste amicizie e Media a favore (sia per le pubblicità che per i benefit offerti loro)… l’estrema visibilità della Influencer, i suoi successi mediatici, le tante aziende (scappate via) che avevano investito sulla sua reputazione, la sua presenzialità, il tutto però condito dalla nota conflittualità sua e di Fedez verso i Media, hanno creato una zavorra sullo stomaco a tanti, anche perché sei bella, ricca vai pure a Sanremo a fare sfoggio di nudità… è normale che alla lunga stai sul gozzo di tanti, anche delle vere follower: ti seguono, ti adorano, ma non possono essere come te… l’ invidia, la gelosia, la rivalsa covano sempre sotto sotto.
E quindi il coinvolgimento di Ferragni in pratiche poco chiare ha innescato quella che noi chiamiamo con finezza Shit-Storm (bufera di merda): una tempesta di reazioni negative. La fiducia del pubblico è scossa, l’abbandono di follower (veri) c’è stato, circa 200 mila unità, un’inezia se vogliamo ma crea il dubbio che quei 27,5 milioni di seguaci non siano tutti veri ma comprati a vagoni: tutto è in vendita.
Insomma era meglio se stava zitta e aspettava di assoldare un Crisis Manager prima di fare il video con le lagrime… la cui assenza tra l’altro rivela anche una organizzazione interna alla “viva il parroco”, perché un brand di successo ed esposto mediaticamente come il suo, un Crisis Manager lo deve tenere attaccato al culo; una crisi non arriva d’emblée: più dai fastidio, più sali in alto e più le lettere anonime a Fiamme Gialle e Procure pendono sul capo. E’ così!

Carlo De Sio

Laurea in Scienze Politiche ed Economiche, Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni; dal 2015 è impegnato in attività di Lobbying indipendente in Italia e all’estero. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999

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