Antonia Cava, il passaggio dalla tv alle piattaforme centrale per l’identità femminile

Il libro si divide in cinque capitoli, ognuno dei quali esplora una specifica ricerca e si presta ad una lettura autonoma e indipendente rispetto agli altri: il file rouge che li unisce tutti è, appunto, l’esperienza di visione delle donne attraverso tipi e tempi di fruizioni mediali differenti.

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La copertina del nuovo libro di Antonia Cava dell'Università di Messina

«Uno schermo tutto per sé è un titolo ambizioso».
Inizia così l’introduzione al libro di Antonia Cava (docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Messina) su audiences femminili e piattaforme, edito da Mimesis nel 2024. Ma se l’ambizione è il motore della vita, inquesto caso rappresenta anche una scommessa vinta e un necessario slancio di creatività per gli audience e i media studies. Tuttavia, il lavoro si inserisce a gamba tesa anche nel campo dei gender studies, con uno specifico focus sulle audiences femminili, ancora poco esplorate dagli studi italiani. Così come Virginia Woolf rende il suo Una stanza tutta per sé (lo straordinario saggio sul femminile del 1929) non solo un manifesto, ma soprattutto una chiamata, un appello alle donne per trasformare la marginalità in creatività, Antonia Cava raccoglie questa spinta creativa e, attraverso essa, racconta le esperienze di fruizione delle donne dagli anni Settanta alla contemporaneità, dalla televisione alle piattaforme, dalla soap opera alla pornografia.

La professoressa Antonia Cava dell’Università di Messina, autrice del libro

La stanza si trasforma in uno schermo. E dallo schermo si stagliano spazi, dimensioni ed esperienze comuni, ma profondamente diversificate per epoca, tempi, età e classi sociali. Se l’intento di Antonia Cava è quello di «attraversare gli spazi di esperienza delle donne come lettrici mediali», uno degli elementi significativi di questo volume è quel procedere parallelo di un primo racconto – quello portato avanti dall’autrice e fatto di elementi storici, politici e culturali – che attraversa le epoche e le profonde trasformazioni del pubblico femminile dagli anni Settanta ad oggi e di un secondo racconto che, invece, prende vita direttamente dalle voci e dalle parole delle donne che hanno preso parte alle ricerche e diventano centrali in una narrazione sempre più personale. Come specifica Cava, la metodologia seguita per tutte le ricerche all’interno del volume è di tipo interpretativo, cioè si tratta dello studio dei pubblici che si realizza all’interno dei contesti in cui si collocano. Pertanto, di capitolo in capitolo, questa profonda aderenza tra risultati emersi e target analizzati è evidente e rende la lettura scevra da incomprensioni e alleggerita da eccessive datificazioni. Per questo motivo, ma non solo, Uno schermo tutto per sé è davvero un libro originale, facilmente fruibile e stimolante. Come si legge nelle prime pagine, il primo interrogativo a cui ci cerca di fornire una risposta è il seguente: quanto spazio nel corso del tempo è stato riconosciuto alle donne per pensare a se stesse ed esprimere la propria creatività come audience? Se si parte da questa domanda, appare chiaro quanto sia ampio il vuoto che il libro ha cercato di colmare inserendosi perfettamente in un filone di ricerca interessante, quanto profondamente necessario.
Se alla narrazione storico-culturale si affianca quella personale, tuttavia, c’è un ulteriore parallelismo da sottolineare – e che legittima ancor di più il lavoro di Cava ad inserirsi alla perfezione nella triplice categoria di audience, media e gender studies – e riguarda il racconto dell’evoluzione del medium televisivo. Le audiences cambiano perché cambia il medium oppure il medium cambia perché cambiano le audiences? Sia l’una che l’altra. Sì, perché i confini non sono mai netti – ecome potrebbero mai esserlo? – e così come Bolter e Grusin (1999) hanno teorizzato sul processo di rimediazione, nel passaggio dalla televisione alle piattaforme si realizza quel perfetto equilibrio tra trasparenza e opacità che non è uno strappo, ma un’integrazione tra vecchio e nuovo da cui deriva l’esperienza televisiva contemporanea che si espande e rimbalza da un medium all’altro. In questo processo i media si dimostrano centrali nella costruzione dell’identità femminile e nella propria rappresentazione.
In particolare, il libro si divide in cinque capitoli, ognuno dei quali esplora una specifica ricerca e si presta ad una lettura autonoma e indipendente rispetto agli altri: il file rouge che li unisce tutti è, appunto, l’esperienza di visione delle donne attraverso tipi e tempi di fruizioni mediali differenti. Il primo capitolo passa in rassegna alcune ricerche realizzate negli anni Settanta che mettono in relazione la comunicazione di massa e l’identità femminile. Negli anni in cui le masse – e quindi i pubblici – erano considerate agglomerati di individui tra di loro isolati e malleabili, i media definiscono le relazioni patriarcali di quegli anni e l’esperienza di visione delle donne è frutto di tutto ciò. Attraversando le varie teorie, si passa alla nuova concezione – affermatasi negli anni Ottanta – di televisione come spazio di costruzione identitaria e di tutte le categorie sociali. Il capitolo si chiude con un’interessante analisi della fruizione femminile contemporanea attraverso il case study della serie televisiva The Handmaid’s Tale (2017) e un approccio meta-analitico che riesce a far emergere il punto di vista delle donne su una serie distopica tutta al femminile che esaspera e spinge al massimo le riflessioni e le criticità sulla rappresentazione della donna nella cultura contemporanea.
Il secondo capitolo è un focus generazionale sull’immaginario delle preadolescenti in relazione alle icone di femminilità rappresentate dai media. È interessante notare come oggi le giovani generazioni debbano fare i conti con una pluralità di modelli femminili, tutti diversi tra loro e provenienti da un consumo fortemente differenziato per piattaforme, tempi e necessità.
Il terzo capitolo è fondante, quanto complesso. L’obiettivo è quello di definire il ruolo e gli spazi delle narrazioni televisive nel fenomeno migratorio, in particolare delle donne. Dalla riflessione sulla “spettacolarizzazione del confine” fino alle storie delle donne migranti che, intervistate, imputano alla televisione italiana di aver riservato poco spazio alle esperienze di confine, costruendo una narrazione che si discosta dalla realtà e definisce opinioni non aderenti alla verità.
Il quarto capitolo mi è particolarmente caro per aver esplorato più volte quella “Generazione Netflix” che ha trasformato completamente l’esperienza di fruizione audiovisiva contemporanea. Dal binge-watching al second screen, dal superamento del canone seriale al ripensamento delle audience, dal ripiegamento sui dispositivi come spazi di costruzione identitaria fino alla narrazione in frammenti: l’autrice si chiede «rivoluzione Netflix?» e ciò che è certo è che Netflix ha rappresentato uno spazio prezioso e imprescindibile di sperimentazione nella serialità contemporanea. Ma zoomando ulteriormente, qual è il rapporto tra Netflix e le audience femminili?

Il quinto ed ultimo capitolo esplora, invece, il rapporto tra i pubblici femminili e Pornhub e l’influenza che la pornografia ha – soprattutto in base alla variabile dell’età – sulla sessualità delle donne. Se l’idea di partenza è che la pornografia sia un contenuto distante dalla fruizione femminile, in realtà esso non solo è centrale nella vita quotidiana delle donne ma ne influenza fortemente cultura ed esperienze. Infine, Uno schermo tutto per sé è privo di conclusioni. La scelta – come l’autrice spiega nelle prime pagine del volume – è dichiarata. Se l’obiettivo e il desiderio di ogni studioso sia quello di aprire un filone di ricerca nuovo, ribollente, originale, il lavoro di
Antonia Cava certamente si muove in questa direzione. Ecco, dunque, che le conclusioni diventano stringenti. Ciò che è chiaro è che questo libro rappresenta una importante, puntuale e brillante esplorazione e un punto di slancio fondamentale per gli studi sulle audience femminili futuri.

Antonia Cava, Uno schermo tutto per sé, Mimesis

Martina Masullo

Giornalista, social media manager e dottoranda di ricerca in Politica e Comunicazione (Policom) presso l'Università degli Studi di Salerno. Collabora con le cattedre di Sociologia dei processi culturali, Media classici e media digitali e Sociologia dell'immaginario tecnologico. Si occupa di audience studies, innovazione nella digital society, fake news e cancel culture

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