Artista e pittrice dalla sensibilità fuori dal comune, Anna Maria Mirabella, classe ’84, è l’orgoglio di Sarno, sua città natale. Sin da bambina, amava disegnare e ha sempre avuto un’attrazione per l’arte. Tra i ricordi più felici della sua infanzia, l’artista ricorda i pomeriggi trascorsi a disegnare nella sala da pranzo della casa al mare dopo una mattinata in spiaggia. Solo negli ultimi anni, però, Anna Maria Mirabella ha deciso di condividere le sue opere con il pubblico.
Definendosi una persona molto riservata, ha vissuto la sua arte come pura passione, una «medicina per l’anima», senza sentire il bisogno di mostrarsi al pubblico. Sono state le frequentazioni di artisti partenopei e amanti dell’arte, in particolare l’associazione culturale “Nuova Officina Onlus”, a indurla a mostrare la parte più intima e personale di sé attraverso l’esposizione delle sue opere.
La sua arte varia dal concettuale all’arte aborigena australiana (come si evince dalla tavola Outback australiano) ispirandosi anche al kintsugi, una tecnica giapponese antichissima del restauro nella quale si usa l’oro per riparare oggetti in ceramica. Una commistione interculturale di generi che dimostra la sua sensibilità verso temi attuali e politici. La tecnica del kintsugi, usata per denunciare le guerre che ci circondano, è significativa perché rivisita il concetto di rottura, di imperfezione, lanciando un messaggio di speranza affinché vengano risanate le ferite dell’umanità. Per descrivere la sua arte in tre parole, infatti, Anna Maria Mirabella usa: speranza, comunicazione e sensibilità, ossia le direttrici su cui le sue opere si muovono. I suoi dipinti, come ha dichiarato la pittrice, non sono legati a dei luoghi ma ai racconti, alle letture (in particolare i classici), a storie di vita quotidiana e alla realtà sociale. Un’arte impegnata e sensibile, quella di Anna Maria Mirabella, come da lei dichiarato durante l’intervista.
Lei è una pittrice, l’arte ha fatto sempre parte della sua vita, ma cosa significa per lei la parola “arte”?
L’arte, per me, è una medicina, è parte integrante della mia vita quotidiana, è la possibilità di esprimersi e comunicare.
Qual è stato il suo percorso di formazione?
Ho intrapreso, inizialmente, studi privati relativi all’arte figurativa e alla pittura a olio, per poi approfondire l’arte contemporanea e concettuale. Un’insegnante che ha avuto un ruolo fondamentale nella mia evoluzione pittorica è stata l’eclettica artista Anna Crescenzi, amica e mentore.
Per le sue opere, si è ispirata ad altri artisti? Quali hanno avuto un’influenza maggiore?
Inizialmente, ho ricercato la tecnica pittorica, affascinata dagli artisti rinascimentali, primo tra tutti Raffaello. Le sue opere, come La Velata, esposta a Firenze nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti, o il ritratto di Bindo Altoviti al National Gallery of Art di Washington, mi hanno letteralmente stregata. Successivamente, mi sono interessata allo studio di artisti contemporanei come Alighiero Boetti, Henry Moore e Costantin Brancusi che hanno decretato un cambiamento nel mio percorso artistico: non soltanto tecnica ma la necessità di esprimere tematiche a me care.
Ha parlato di “necessità” di esprimere tematiche a lei care. Dunque, nella sua arte, quali sono i temi ricorrenti?
Una delle tematiche che tratto nei miei lavori è l’incomunicabilità, come si evince nella serie Chimera?, tavole lignee con scritte sovrapposte dipinte a mano per evidenziare la difficoltà di interagire tra individui. Inoltre, altri temi ricorrenti sono il rapporto tra uomo e natura, la spiritualità e le leggende dei popoli aborigeni dell’entroterra australiano, l’attualità e i conflitti bellici.
Tra i suoi lavori, a quale sua opera è più legata?
I lavori a cui sono emotivamente più legata sono quelli relativi alla serie Kintsugi, il nome deriva da una pratica giapponese che utilizza venature d’oro per riparare e conferire nuova vita ad oggetti di ceramica. L’unione di mappe geografiche mediante venature d’oro, nei miei dipinti, è un grido contro la guerra e una speranza di rinascita per un mondo sempre più compromesso e devastato dai conflitti bellici.
Un messaggio molto potente, quindi. Parlando di messaggi, con la sua arte quale altro messaggio vuole mandare?
Vorrei rivolgermi soprattutto ai ragazzi più giovani che, tramite lo studio dell’arte, l’osservazione, l’introspezione possono concretamente migliorare le realtà attuali. Ci vuole uno sforzo notevole, ma credo che, abbandonando atteggiamenti di frustrazione e arrendevolezza, si possa fare tanto.
Ma quindi, oltre al kintsugi, quali sono le tecniche che predilige per le sue opere?
Tendo a cambiare tecnica in base al lavoro che progetto. Utilizzo la pittura a olio su tela oppure colori acrilici su supporti lignei. Mi dà molta soddisfazione trattare il legno: stuccare, carteggiare è quasi un rituale che precede la creazione del dipinto.
Al momento, quali sono i suoi progetti?
Ultimamente ho esposto un mio lavoro nella galleria romana del maestro Corrado Veneziano. Attualmente, è in esposizione una mia opera al Museo Archeologico di Eboli per una mostra curata da Antonella Nigro. Inoltre, ho partecipato a un progetto solidale creato dall’artista Lorenzo Basile per il reparto di oncoematologia dell’ospedale Tortora di Pagani.
E in futuro? Sta già lavorando a qualche altra opera o mostra? Cosa dobbiamo aspettarci?
Ci sono all’orizzonte un paio di progetti interessanti che sto ancora valutando. Ho un nuovo dipinto in fase embrionale, ma posso dire soltanto che ho intenzione di sperimentare nuovi materiali e sono particolarmente entusiasta di questo progetto.