Woody Allen, New York, le nevrosi e l’essenza dell’amore

Per il grande cineasta il cinema è un terreno di libertà, così come lo spirito americano rimane fondamentalmente democratico e non soccomberà alle tendenze autoritarie. Non si definisce un regista politico, nonostante nel film “Il dittatore dello Stato libero di Bananas” esprima una satira che affonda con chiari riferimenti dell’epoca e pur sempre attuali l’instabilità dei regimi autoritari e corrotti, la guerra, l’ingenuità dei rivoluzionari messa a confronto con la brutalità del potere

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New York è definita in mille modi: “Big Apple”, “Gotham City”, “The city that never sleeps”. Di sicuro non dorme ed è unica al mondo, tanto da sfuggire al limite di “città americana”, perché differisce anche dal resto dell’America. New York brilla di ferro e luci, ma l’elettricità che trasmette è un pace-maker: accelera i battiti e la potenza vitale. Nel cuore pulsante di New York c’è Manhattan e anche quest’ultima non è un luogo fisico, piuttosto uno stile connaturato nella personalità di un artista ebreo-americano: Woody Allen. Eppure Woody non nasce a Manhattan, ma nel Bronx con il nome Allan Steward Konigsberg, da una famiglia umile con origini russo-austro-ungheresi. Prima di diventare attore e drammaturgo a Broadway, inizia la sua carriera come autore di battute comiche per riviste e spettacoli televisivi.

Per Allen, New York è parte fondamentale della sua identità artistica, e lo dimostra attraverso le sue opere. In “Manhattan” – uno dei film più rappresentativi degli anni ’70 – la città non è solo sfondo scenografico, essa viene umanizzata in personaggio. Ripresa in bianco e nero tra le note di Gershwin, rispetta il suo ideale estetico. In “Manhattan”, si affrontano i temi più ricorrenti del cinema di Woody Allen: i rapporti amorosi complicati, la morale e il tradimento, l’incertezza esistenziale, l’ironia come difesa dalla paura e il bisogno di dare un senso alla vita attraverso l’arte e la cultura. Temi autobiografici s’intrecciano in uno stile narrativo facilmente riconducibile: capisci che si tratta di Allen ad occhi bendati e senza averlo appreso prima. I dialoghi sono vivaci e filosofici, l’insicurezza si maschera dietro l’autoironia: un mezzo utile per esorcizzare le debolezze. E proprio l’equilibrio tra commedia brillante e malinconica rende il suo modo di fare cinema – poco americano – raffinato e colto che incontra da sempre il favore degli intellettuali e del pubblico di nicchia europeo. Mentre in “Manhattan” la città è la protagonista assoluta, nel film “Io e Annie” essa viene fuori come rifugio intellettuale: importante ma non dominante. “Io e Annie” gira intorno a riflessioni sull’essenza dell’amore, l’identità e la natura umana. Nel film non esistono verità universali; ciò che conta è il vissuto soggettivo, sperimentato nello spazio temporale. Pertanto, la storia tra Alvy e Annie non fallisce ma si “compie”, giacché ha dato un significato ad una fase della vita. E proprio questa “finitezza”, secondo il filosofo tedesco Martin Heidegger, dà valore e intensità all’esperienza. Mentre Annie si evolve e cresce, Alvy, interpretato da Woody Allen, rimane ancorato a se stesso, alle abitudini, alle analisi sui come e sui perché … Alvy si rifugia nelle sue nevrosi, cristallizzato nella paura, pur sapendo che nulla al mondo è statico e anche l’amore richiede movimento. Woody Allen, lo scorso 30 novembre, ha compiuto 90 anni. In mezzo secolo ha diretto più di 50 film. Nel 2023 esce “Coup de change”, il suo primo film in lingua francese, e si vocifera di un prossimo con riprese a Madrid. Allen detiene il record delle nomination agli Oscar per l’originalità della sceneggiatura, e i premi assegnati ai film “Annie Hall”, “Hannah e le sue sorelle” e “Midnight in Paris”. Woody Allen, conosciuto come regista e attore, è anche scrittore, autore teatrale e sceneggiatore, oscillante come un pendolo tra leggerezza e profondità. Noto anche per aver creato drammi e opere mature, tra cui “Match Point” e “Vicky Cristina Barcelona”.

A 90 compiuti viene celebrato come “maestro del cinema”. Pur essendo americano, Allen dichiara più volte la sua ammirazione per la cinematografia europea e che i suoi film riflettano questo legame. Da qui, forse, nasce il successo in Paesi come l’Italia, la Francia e la Germania. Per Allen l’Italia è “Un luogo dell’anima”, e nell’estate del 2011  gira “To Rome with love” interamente a Roma; mentre “Un colpo di fortuna”, un film in francese, viene presentato nel 2023 al Festival del Cinema di Venezia. Senza nulla togliere alla vasta produzione cinematografica, per molti appassionati, i suoi film più espressivi sono quelli interpretati da Diane Keaton: icona di uno stile sofisticato – intellettuale. E in occasione della recente morte dell’attrice (11 ottobre scorso), definisce la musa ispiratrice Keaton “Una persona diversa da chiunque altro. Tanto perfetta da sfuggire alla matematica.” Per Allen il cinema è un terreno di libertà, così come lo spirito americano rimane fondamentalmente democratico e non soccomberà alle tendenze autoritarie. Non si definisce un regista politico, nonostante nel film “Il dittatore dello Stato libero di Bananas” esprima una satira che affonda con chiari riferimenti dell’epoca e pur sempre attuali l’instabilità dei regimi autoritari e corrotti, la guerra, l’ingenuità dei rivoluzionari messa a confronto con la brutalità del potere. La figura del dittatore è quasi grottesca, concentrata sulla propria immagine anziché sulla realtà: “Io sono il vostro nuovo Presidente. D’ora in avanti la lingua ufficiale dello Stato di Bananas sarà lo svedese.” E segue il silenzio, perché, oltre che mangiare banane locali, nessuno conosceva una mezza parola di svedese. Buona vita, Woody!

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