Wittgenstein, a lezione di logica e di linguaggio

A leggere queste Lezioni si fa fatica, molta fatica, ci sono molti passaggi logico matematici, ma vale la pena sforzarsi, sebbene non si comprendano del tutto nella maniera che una comprensione richiederebbe. Che cosa vuol dire comprendere? Che cosa vuol dire comprensione? Quanti campi semantici richiede la parola “comprensione”?

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C’è del vero nella concezione di Schopenhauer secondo cui la filosofia è un organismo, e un libro di filosofia con un inizio e una fine è una specie di contraddizione. Una difficoltà, con la filosofia, è che manca una visione sinottica. Incontriamo il tipo di difficoltà, che avremmo con la geografia di un paese di cui non possedessimo nessuna mappa, o possedessimo una mappa di sue parti isolate. Il paese di cui stiamo parlando è il linguaggio, e la geografia, la sua grammatica. Noi ce la caviamo ad andare in giro per il paese, ma, se costretti a fare una mappa, sbagliamo. Una mappa mostrerà diverse strade nello stesso paese: possiamo prenderne una qualunque, ma non due, proprio come in filosofia dobbiamo affrontare i problemi uno per volta, benché di fatto ogni problema conduca a una moltitudine di altri problemi. […] In filosofia le cose non sono sufficientemente semplici perché si possa dire: “Facciamoci un’idea approssimativa”, poiché conosciamo il paese solo conoscendo le connessioni fra le strade. Ludwig Wittgenstein, Lezioni, 1932-1935, Adelphi, pag. 316.

Ci sarebbe molto da riflettere e considerare già da queste poche righe, ma si deve parlare del libro o porre qualche domanda che viene spontanea? Per esempio, che cosa significa o che cosa intende Wittgenstein con visione sinottica? Perché la filosofia deve avere questa facoltà? O ancora, perché, secondo Schopenhauer, la filosofia è un organismo. E perché un libro di filosofia con un inizio e una fine è una contraddizione? Che cosa è una contraddizione? E che cosa si debba intendere per organismo, che cosa si debba intendere per libro? O, che cosa sia un inizio e una fine? Che significato attribuire, o a quale uso sono destinate queste parole, queste proposizioni. Che cosa è una proposizione? O che cosa sia una parola, un predicato… e così via. Ecco l’intento di Wittgenstein, riuscire in maniera logica o analitica a filtrare i pensieri, rendere le acque della visione filosofica più limpide affinché si possa non tanto risolvere i problemi tormentosi della filosofia, quanto, più semplicemente riuscire a dissolverli. E chissà se il desiderio di un’intenzione indichi la sua risoluzione? Leggendo il libro, sembra che verbi come desiderare, pensare, volere, comprendere, significare, implichino complessità non facili da “dissolvere”, diradare, fugare, con buona pace di ogni pretesa analitico-scientifica. Siamo, d’altra parte, nella fase, – queste lezioni, pubblicate qui per la prima volta in italiano sulla base degli appunti di Alice Ambrose e Margaret Macdonald, precedono la dettatura o la stesura del “Libro blu” – che, come si sa, rappresenta l’evoluzione del pensiero di Wittgenstein, in particolare la lenta transizione dalla visione logicizzante del linguaggio che permeava il Tractatus a quella pragmatico-antropologica che dominerà le Ricerche Filosofiche.

Mi sovviene una presa di posizione di Wittgenstein contro Carnap in favore di Heidegger. Carnap riteneva che la metafisica, per la sua inconsistenza, dovesse essere eliminata da qualsiasi pensiero o discorso razionale. A Wittgenstein non sembrava proprio così, anzi riteneva proprio che i problemi posti dal discorso metafisico fossero essenziali ma dovessero essere fugati in maniera analitica, e che le questioni ontologico-metafisiche che esso poneva avessero delle origini proprio nella complessità del linguaggio, e nei suoi aspetti semantici e di uso. Il limite del linguaggio, scrive Wittgenstein, in un appunto del 1931 riportato in Pensieri diversi, si mostra nell’impossibilità di descrivere il fatto che corrisponde a una proposizione (che è la sua traduzione) senza appunto ripetere la proposizione. (Abbiamo qui a che fare con la soluzione Kantiana del problema della filosofia). Il limite del linguaggio sembra essere da subito un punto chiave della speculazione del filosofo viennese, ma proprio la sua formazione prettamente logica, influenzata da Russel, Frege, Whitehead non gli farà disdegnare filosofi di tutt’altro genere, Schopenhauer, ma anche Nietzsche o il britannico Moore. Come si evidenzia nell’accurata e orientativa nota finale di Pasquale Frascolla, Wittgenstein abbandona la teoria raffigurativa del Tractatus, e con essa l’idea che ci siano una forma generale della proposizione e un meccanismo semantico uniforme sotto l’apparente, caotica varietà del linguaggio ordinario.

“Il risultato della filosofia non sono proposizioni filosofiche, bensì il diventare chiaro delle proposizioni.” Le celebri parole di Wittgenstein sono l’idea precisa che all’origine dei problemi filosofici e delle teorie elaborate per risolverli vi sia la mancata comprensione della logica del nostro linguaggio. La filosofia avrebbe il compito di chiarire, sarebbe piuttosto un’attività più che una teoria. A leggere queste Lezioni si fa fatica, molta fatica, ci sono molti passaggi logico matematici, ma vale la pena sforzarsi, sebbene non si comprendano del tutto nella maniera che una comprensione richiederebbe. Che cosa vuol dire comprendere? Che cosa vuol dire comprensione? Quanti campi semantici richiede la parola “comprensione”? Intelligenza. Intendimento. Cognizione. Penetrazione. Accesso. Condiscendenza. Flessibilità. In quanti modi, in breve, è possibile declinare alcune semplici parole? E in quante situazioni? E con quanta presa concreta o espressiva? O tanto altro ancora, che il libro mette bene in campo. Di sicuro, queste lezioni spiegano molto, sebbene, alla fine, si possa inferire che troppa luce accechi. È da rimarcare subito che Wittgenstein, ma si sarà già capito, rispetto ai suoi colleghi analitici, non considera i problemi filosofici come secondari rispetto a quelli scientifici. E questo è tanto, pur nella consapevolezza che non si cercherà di risolverli del tutto attraverso la logica, ma, almeno, il tentativo di dissolverne qualcuno, o di poterne rivalutare altri. E se il dominio del mondo fenomenico come flusso pervasivo è incontrastato, magari porre la necessità di qualche regola che ne sveli qualche malinteso. O equivoco. O una forma di svelamento. E il linguaggio, l’uso di una particolare lingua, di una specifica regola grammaticale, o di una fraseologia, in questo, ha una funzione portante sia di gioco sia di verità o smarrimento. Nel libro, in queste Lezioni, vi è tanto e molto altro ancora, c’è di fatto che si è lontani da quei valori ortodossi di un’epistemologia scientifica, e se resta un libro di logica non è per mostrarvi chissà quale destrezza o verità, ma solo delle impercettibili differenze. Tutto qui, il linguaggio. Tutta qui, la sua crudeltà.

[Ludwig Wittgenstein, Lezioni, 1932-1935, Adelphi, pag. 316]

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