Verso la regolamentazione delle influencer

La caducità del presenzialismo digitale e la bolla - pronta a sgonfiarsi - che ha caratterizzato il marketing degli anni 2010/2020

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Nel mondo digitale tutto si consuma velocemente e anche una storia di qualche mese fa sembra decrepita: eppure dopo Safilo, Coca Cola, Cartiere Paolo Pigna, Morellato, Calzedonia, Intimissimi e la clamorosa esclusione dal C.d.A. del gruppo Tod’s di Chiara Ferragni, a fine aprile si è sfilata anche Pantène, che – senza comunicati stampa e senza clamori – ha inviato i suoi ispettori commerciali nei vari negozi concessionari a ritirare i prodotti con l’immagine della Ferragni e a sostituirli con quelli della casa associati a un merchandising raffigurante la modella israeliana Havi Mond, nota per aver lavorato con Ralph Lauren, Chanel, Yves Saint Laurent e Calvin Klein: bionda, molto simile a…, ma con il grande pregio di essere molto meno costosa e problematica: insomma, è solo una testimonial, come si usava una volta, un ritorno al passato.

L’influencer marketing è stato un caposaldo degli inizi di questo nuovo secolo ed ha riguardato entrambi i sessi, ma nella categoria Apparenza & Scosciamenti è indubbio che la presenza delle donne dal 2010 in poi è stata totale; questa peculiare categoria era da tempo considerata una bolla sovrastimata tra gli esperti di comunicazione, si sapeva che -come accade in Borsa Valori quando un asset si rivaluta tanto e per un tempo lungo- prima o poi ci sarebbe stato un tonfo e poi un riassestamento accettabile.

Di certo le influencer sono state un must del decennio 2010-20 e bisogna ammettere che fin quando non si è super inflazionato, è stato un settore che ha funzionato, ma poi alla lunga se offri Apparenza & Scosciamenti e poco altro, l’era digitale ti sbatte subito in faccia la caducità della notorietà digitale. Questo fenomeno, che va ben oltre quanto accaduto con Balocco, rivela profonde implicazioni sociologiche e strategiche che meriterebbero di essere esplorate e studiate in profondità.

Pantène ha temporeggiato più di tutti gli altri marchi prima di lasciare la Ferragni in quanto lei era la testimonial doc per i suoi prodotti, ci ha dovuto riflettere bene; ciò attesta che i brand dopo il tonfo che ha rovinato tutta la categoria suddetta, ora sono più attenti a valutare il da farsi non solo per il (vero) numero di follower di una Influencer, ma anche per il loro allineamento ai valori del brand… quindi implicitamente si ammette che in questo mondo di presenzialità finora di marketing e strategia ce n’è stato pochino; la maggior parte ha funzionato, né più e né meno, come un semplice testimonial, come un calciatore o un attore… allora il vendersi come esperte di strategie web è stato solo fuffa: se vivi di presenza e d’immagine -che nel loro caso vale più del 95% della reputation!- le furberie e i comportamenti personali non vengono dimenticati: il Testimonial vale per i valori positivi che trasmette, ha sempre funzionato così, altro che strategie del cavolo!

… e la Bolla si sgonfia, ma non deflagra

È per tale ragione che la bolla influencer dopo il caso Balocco si è appannata e molto; tante aziende hanno salpato l’ancora per andare verso i porti collaudati della comunicazione del passato, e altre prima di affidarsi stanno facendo scavare da società di investigazioni commerciali nelle vere attività delle Influencer perché non basterà più mettere in mostra le proprie grazie o accordarsi con fatture generose (non è una novità!😜) per venire assoldate. Il business delle Influencer è in stallo e ora c’è chi si meraviglia -con un po’ di italica dietrologia- che tante aziende affermate si siano affidate solo a décolleté, lati B ed oltre… Oggi -per fortuna- si ritorna a ponderare il danno di immagine, a considerare la perdita di fiducia da parte dei consumatori verso le influencer e quindi ad attivare maggiori controlli e richieste di trasparenza da parte di aziende ed enti di verifica.

YouTrend con una sua indagine attesta che la fiducia verso le influencer, dopo il caso Balocco, è scesa al 56%, oltre ad un minor impegno per i social media gestiti da Influencer e ad una diminuzione del valore delle sponsorizzazioni; al momento sia un Report di Nielsen sull’influencer marketing in Italia che l’Osservatorio Influencer Marketing 2024 di Buzzoole, valutano una contrazione del valore del mercato delle Influencer tra il 15 ed il 25%… in seguito prevedono un assestamento ma a patto di una maggiore chiarezza e autenticità dei contenuti, della certificazione del vero numero dei follower, di relazioni più genuine e contenuti concreti per il proprio pubblico: insomma curve e rotondità non basteranno più per attrarre sponsor, le Influencer dovranno professionalizzarsi seguendo l’esempio di colleghi che usano il web per essere utili agli altri, come Salvatore Aranzulla, Clio Zammatteo, Marco Acerbo, Andrea Galeazzi, Cristina Foglia ed altri che curano la loro nicchia di mercato con ricavi non stratosferici ma dignitosi e senza mostrare nulla di sé se non il prodotto della loro materia grigia.

E infine l’AGCOM definisce chi e/o cosa sono le influencer

“L’ Autorità ritiene che i soggetti qualificabili come Influencer svolgono un’attività analoga o comunque assimilabile a quella dei fornitori di servizi di media audiovisivi sotto la giurisdizione nazionale ed essere direttamente responsabili del rispetto delle misure previste in materia di tutele”

…e chi tra essi saranno i destinatari? Quelli con “almeno un milione di follower sulle varie piattaforme o social media su cui operano e hanno superato su almeno una piattaforma o social media un valore di engagement rate medio pari o superiore al 2% (ossia, che hanno suscitato reazioni da parte degli utenti, tramite commenti o like, in almeno il 2% dei contenuti pubblicati)”. Alla buonora!
Con questi presupposti certamente le aziende ritorneranno ad investire ma a costi più contenuti, ci sarà un ampliamento di micro-influencer con pubblici più ristretti e con competenze specifiche, si svilupperanno nuove forme di collaborazione e forse sparirà quella battuta maligna che gira da tempo: “Cosa c’è dietro le influencer? Solo il lato B e a volte neanche quello”.

Carlo De Sio

Laurea in Scienze Politiche ed Economiche, Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni; dal 2015 è impegnato in attività di Lobbying indipendente in Italia e all’estero. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999

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