Musk-Zuckerberg, location epica per la sfida

Abdicare a preservare il proprio patrimonio di beni, farne merce, cercare la popolarità (non necessaria) attraverso il riconoscimento esterno dei capricci dei potenti è un male grave e dannoso per le nostre aree culturali

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Da qualche giorno sto fantasticando a occhi aperti su Elon Musk e Mark Zuckerberg vestiti da retiarii che si sfidano ad una lotta sincretica (un po’ atletica, un po’ greco-romana a tratti un po’ orientaleggiante, che fa molta tendenza).

Confesso che la mia mente ha pure immaginato delle declinazioni italiane dell’evento (“la moda è moda” direbbe Gaber) del tipo Renzi vs Calenda, Bertinotti vs Bersani ma ci vorrebbe la caustica penna di Fortebraccio a descrivere scenari simili nei miei incubi (le fronti inutilmente spaziose e gli ingressi a porte aperte di qualcuno che non è nessuno).

Torno alla cronaca della realtà: sulla questione, giacché gli sfidanti hanno stabilito tra loro di scegliere una location epica in Italia, il Sangiuliano, Ministro dei beni culturali, buca il mio palloncino sognante escludendo per la sfida (salvo ripensamenti) il Colosseo che, comunque, come dicono gli esperti analisti, sarà un momento imperdibile per l’Italia.

I bookmakers danno in vantaggio gli Uffizi, campo onestamente più deludente, perché più intellettuale, meno muscolare.

In lieve flessione il sito di Pompei (*), Ercolano per ora fanalino di coda. Intanto, la Calabria si candida: quasi una implorazione a farsi fare prigionieri.

In attesa di sapere dove i due si incontreranno, sperando almeno in un annuncio mondiale con una cerimonia quantomeno degna dei portafogli dei lottatori, desidero sminuzzare i termini del discorso e, al contempo, vi propongo un gioco da ombrellone.
Così per solleticare un po’ di identità collettiva.

Riducendo all’osso la vicenda nelle sue proposizioni più essenziali abbiamo due multimilionari che devo levarsi lo sfizio di fare i giochi di ruolo e di farlo in Italia, perché fasti storici, cultura, tradizioni e bellezza sono tutti sintetizzati in un lembo di terra che quanto a dimensioni sta decine di volte nelle loro patrie reali o d’adozione (fiscale e non).

I due, però, pur avendo pressoché illimitate risorse economiche e finanziarie nonché la paternità quasi assoluta delle vite virtuali che con cura allevano, giustamente ricavandone utili, hanno però necessità di esibirsi in un luogo reale e molto “epico”.

E qual è il problema? Poiché il denaro c’è e tutto ha un prezzo, ma non si dica in giro, sarà un evento benefico (come la pesca con gli avanzi nelle case che faceva la mia parrocchia negli anni ‘80).

Il luogo prescelto si affitterà, si verserà quello che serve, chiaramente con tutte le carte e i permessi in regola e i due ragazzoni, giocheranno il loro gioco, etici e virtuosi.

Fin qui senza appellarsi a troppa sensibilità che potrebbe decampare nell’ideologia, tutto bene, diciamo.

Per creare la giusta atmosfera, metto in sottofondo le notizie entusiastiche del cinegiornale che evidenzia come questa operazione renderà famoso il nostro bel Paese (notoriamente sconosciuto ai quattro angoli – curvi – del globo).

Adesso, veniamo al gioco o se preferite all’esercizio di critica. In ogni settimana enigmistica, esauriti i cruciverba, i rebus, le sciarade, ci si dedica al gioco dei puntini. Roba da marmocchi: si uniscono i punti numerati ed esce una immagine. È un gioco interessante, non che diventiate Raffaello, ma aiuta ad affinare l’intuizione.

Estrapolo dai miei taccuini della disperazione poche cose, tra le tante, più o meno recenti:

Puntino 1: asse Roma-Berlino (1936).

Hitler fa i capricci: vuole il discobolo Lancellotti. Non si può: è vincolato dal 1909. Pareri negativi. Si superano, norma ad personam. Il richiedente è potente e se vuole, ottiene: Mussolini, Ciano e Filippo d’Assia svincolano e lo vendono, almeno così sembra.
Allo stesso modo Hermann Göring, dovendo arredare il parco della tenuta di Carinhall decide che il cerbiatto della Villa dei Papiri del Museo archeologico di Napoli sarebbe un adeguato ornamento.

E non gli si consegna il cerbiatto? Ovviamente. Non siate malpensanti, era una operazione di salvataggio, etica, virtuosa, non certo un furto o una cessione di significativa di parte di patrimonio inalienabile.

Puntino 2 : Firenze (2016)

Palazzo Pitti ospita (riporto dalle cronache: nel cortile dell’Ammannati) una cena aziendale. Temevano fosse un addio al celibato. Poi hanno precisato che era una cena aziendale.

C’è un disciplinare che prevede l’uso per eventi culturali. Tutto regolare.
Il canone è stato pagato e lodevolmente usato per restauri.

Puntino 3: Milano (2023)

I “Corridori” (veri) di Ercolano, rinvenuti nella Villa dei Papiri (come il cerbiatto del puntino 1) lasciano il Museo Archeologico di Napoli per approdare a Milano alla sfilata di un brand di lusso (dov’erano in compagnia, ad onor del vero delle “Forme uniche della continuità nello spazio” di Boccioni).
Gli originali su di un piedistallo rivestito di tessuto “stracciatella” (sì, come il gelato. C’è l’interpretazione autentica degli allestitori della sfilata in rete che lo spiegano; per me erano più simili a velli bovini); le copie, invece, al Museo per i poveri visitatori (biglietto pagato e niente corridori per una settimana a viaggiare su e giù per lo stivale).

Puntino 4: Napoli (2023)

Museo di Capodimonte: 60 o 70 opere del Museo, le più famose e significative anche estremamente fragili, volano al Louvre (titolo: il Louvre invita Capodimonte).

L’operazione – con tanto di Presidente Mattarella e codazzo istituzionale in grande spolvero in visita a Parigi – depreda giusto nel periodo di massima affluenza (e dicono fino a febbraio prossimo) Napoli e il suo Museo delle opere che attirano di più i cultori e i viaggiatori da tutto il Mondo.

Senza addentrarci nelle coincidenze che ruotano intorno ad un asse francofono (iniziando dalla società che eseguirà i lavori di manutenzione / adeguamento di Capodimonte, che dicono “non chiuderà”) immaginate di andare a Parigi a visitare il Louvre per farvi l’agognato selfie con la Gioconda e la Gioconda magari è stata prestata e sta in Australia.

Bene moltiplicate per 60 opere (altro che Gioconda, con tutto il rispetto, il dipinto più sopravvalutato della storia dell’arte) e avrete avuto un’operazione di “esproprio”con tanto di applausi e ringraziamenti (e a buon rendere).

Unendo i puntini, nel generale silenzio per queste più recenti operazioni, l’immagine che ne esce non è delle più edificanti: potete vederci il parco giochi dei potenti, la concessione delle nostre grazie a pagamento, qualcosa di mercantile che diminuisce l’identità culturale e collettiva con la scusa di una massima fruibilità e di guadagni per il mantenimento della nostra unica vera risorsa, quella che in senso lato possiamo definire, patrimonio culturale.

Le privatizzazioni sono iniziate da tempo, siamo assuefatti ormai al solo criterio aziendalistico della massima produttività della cultura che viene giustificata dalle minime risorse di tutela, ormai al lumicino e affaticate da competenze estese e pressioni politiche.

Soccorrono i privati, è evidente, con l’effetto – già tangibile sebbene in diversi termini in un altro settore a me caro, quello della giustizia – la progressiva erosione della sovranità di uno Stato.

Abdicare a preservare il proprio patrimonio di beni, farne merce, cercare la popolarità (non necessaria) attraverso il riconoscimento esterno dei capricci dei potenti è un male grave e dannoso.

È un morbo in atto, l’avvelenamento è condotto con precisione costante e metodo: un po’ di veleno e un po’ di zucchero così che tutto appaia normale, mentre ci soffiano le possibilità di tutti da sotto al naso per assegnarle all’interesse di pochi.

Unite i puntini: si vedrà il gesto dell’ombrello, ma solo perché la pernacchia è molto più difficile da restituire graficamente.

(* devo chiudere presto: anche il sindaco di Pompei s’offre)

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