La frase di Fedor Dostoevskij “La bellezza salverà il mondo” apre un interrogativo sul senso che lo scrittore russo volesse attribuirle: una bellezza intesa come manifestazione del bene? Oppure dipendente da canoni estetici classici?
I filosofi di un tempo hanno inquadrato la bellezza in una dimensione ontologica. Secondo Platone essa è racchiusa in un concetto profondo e universale che eleva verso la conoscenza e la consapevolezza; mentre per Sant’Agostino è uno specchio che riflette la perfezione divina. Bellezza, quindi, come ricerca di verità e giustizia?
Ritornando a Dostoevskij, la frase assume la sua valenza profonda se estrapolata dal contesto dell’opera letteraria che la contiene, “L’idiota”, in cui il Principe Myskin incarna un ideale di purezza e di verità che lo rende “bello” nel senso morale e spirituale. Per l’autore, questo tipo di bellezza può salvare l’umanità: non quella sterile estetizzante – molto esaltata in questa società dell’effimero – bensì una bellezza interiore che converte e guarisce. I filosofi contemporanei, tra cui Simone Weil (intellettuale di spicco nel panorama francese del ‘900), hanno ripreso il tema, sottolineandone il potere etico: bellezza come resistenza e richiamo all’essenziale anche attraverso l’uso del linguaggio. Chiarire i concetti e screditare le parole congenitamente vuote, per Weil, sarebbe un esercizio educativo utile. E un messaggio analogo, con un linguaggio surreale cinematografico, affiora anche ne “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, film nel quale la conquista della bellezza – complessa e ambigua – segue una ricerca estetica, spirituale ed esistenziale all’interno di una realtà svuotata di significati. Jep, il protagonista del film, calato nel fascino monumentale di Roma e nel lusso dei salotti alto – borghesi, ha cercato la bellezza nell’arte, nell’amore e nelle relazioni sociali. Credeva di aver trovato la strada, poi lungo il percorso gli appare tutto un “grande bluff”. La bellezza non ha salvato Jep né i suoi amici stanchi e annoiati che rotolano nelle polveri della decadenza. Ma, nel finale, l’incontro con la Santa – una sorta di parodia a Madre Teresa di Calcutta – apre le porte a una bellezza diversa: intima, spoglia e silenziosa, non esibita ma vissuta. Il film uscito nel 2013 e vincitore del Premio Oscar, rimane un riferimento costante in più ambiti. “La grande bellezza” è anche il nome assegnato al Festival in corso nel Tempio di Hera a Selinunte, inaugurato quest’anno dallo scrittore e storico dell’arte francese, Jan Brokken: riflessioni e spettacoli sulla bellezza antica e quella contemporanea in un luogo simbolo della cultura italiana.
L’educazione alla bellezza è una necessità culturale e civile, intesa come promozione del gusto estetico, ma soprattutto come insegnamento a cogliere l’armonia che ci circonda, ad affinare le sensibilità, ad aver cura di ciò che ci è stato tramandato. Favorire tale fenomeno si può? In ambito scolastico andrebbero potenziate, ad esempio, le discipline umanistiche e artistiche, aiutando i ragazzi a comprendere la bellezza anche in ambienti di studio decorosi e accoglienti; attraverso i gesti e le parole si arriva a trasmettere l’idea di bellezza nelle relazioni, nel rispetto e nell’ascolto degli altri. Tutto questo perché?
Una persona educata alla bellezza sarà meno incline alla violenza, più sensibile alle ingiustizie, attenta all’ambiente e alla tutela del patrimonio pubblico e privato delle città. D’altronde, il compito di un genitore, di un insegnante, non escluso quello di un politico, dovrebbe essere volto alla costruzione di una società giusta, vera, più umana, proteggendo ciò che di bello già esiste e impegnandosi a generare nuova bellezza.