In un’età vuota, largo alle Ombre da viaggio di Marotta

La raccolta di versi del compianto poeta salernitano, curata da Roberto Deidier, è il risultato di un lungo lavoro di sedimentazioni, ricordi, gioie. Il volume, edito da Giometti & Antonello e una serie di 11 poesie “disperse”, stampate con caratteri tipografici e carte selezionate in pochi esemplari, dalle Edizioni dell’Ombra, saranno presentati sabato prossimo, 17 febbraio, presso la Pinacoteca Provinciale di Salerno, dalle 18

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Maurizio Marotta scomparso nel 2020: la raccolta dei suoi versi, curata da Roberto Deidier, fa rivivere la sua profondità di poeta ingiustamente dimenticato per troppi anni

Ombre da viaggio, la raccolta delle poesie di Maurizio Marotta (Laurino 1963 – Salerno 2020) è stato un lungo lavoro di sedimentazioni, ricordi, gioie, raccolte da Roberto Deidier, poeta e saggista e professore ordinario di Storia e Letteratura contemporanea. Il volume edito da Giometti & Antonello e una serie di 11 poesie “disperse”, stampate con caratteri tipografici e carte selezionate in pochi esemplari, dalle Edizioni dell’Ombra, saranno presentati sabato prossimo, 17 febbraio, presso la Pinacoteca Provinciale, dalle ore 18.

La copertina del libro

Non c’è notaio che possa elencare i “beni materialmente immateriali”, umani, letterari, grafici, familiari, amicali, che Maurizio Marotta ha lasciato quel maledetto giorno del 17 agosto 2020. Di certo il lavoro certosino, analitico, critico, sincero di Roberto Deidier con la complicità della famiglia, di Gaetano Bevilacqua, amico fraterno e stampatore, ne rende un profilo ampio e unico, soprattutto per quel senso non solo melodico, ma profondo e melanconico e contemporaneo delle sue poesie. Il cuore ha sempre un verso / Come il grano che ricresce è già di per sé un bandone significativo della sua grande sensibilità, del senso della sua visione della vita e dell’uso sapiente della parola. Ombra da viaggio è quindi il suo blasone, la sua sigla. «Si può viaggiare nella realtà come ombra, inconsistenti e invisibili, come nel celebre racconto di Chamisso, affrancandosi da ogni corporeità; oppure quell’ombra può essere il riflesso visibile del cammino compiuto, delle tappe percorse: l’ombra come scansione del tempo. Ancora, può essere un semplice modo di nascondersi, come in effetti il poeta Marotta fece. In qualsiasi modo la intendiamo, la metafora ha comunque una sua derivazione, per quel lettore colto e onnivoro che era stato lo studente a Urbino». Così scrive Roberto Deidier nell’introduzione all’elegante volume di 120 pagine. Nelle poesie di Maurizio Marotta l’alchimia del verbo, della parola si nutre dell’alambicco della memoria per convergere, nel corso degli anni, sulle circostanze e momenti della vita quotidiana. Le tracce del suo passaggio rievocano le sue radici, la sua nascita a Laurino, i suoi amati familiari, la sua vita scolastica a Salerno, i suoi viaggi e studi universitari a Urbino, le letture dei poeti russi, in particolare Mandel’stam e Esenin, la sua tesi su Sandro Penna. Mi porto dentro un viaggiatore oscuro, scrive Maurizio; “lettore colto e onnivoro che era stato lo studente a Urbino. Il viaggiatore e la sua ombra è un titolo di Nietzsche, e se nulla può apparire più estraneo, a prima vista, del pensiero nicciano al molteplice laboratorio di Marotta, è solo perché ancora oggi ci sfugge quel tanto di creaturale, di innocente, di primigenio che pure si agita nelle sue poesie e nel filosofo più sui generis che ci abbia consegnato il pensiero d’occidente”, scrive Deidier.

Marotta con il poeta Elio Pecora

Un pentagramma che appare sospeso in un cielo grafato di ali minute con mille rimandi ad un “altrove” (Pascoli docet), ad un’età vuota (più volte Marotta riprende questa sconsolata considerazione sugi ultimi decenni del Novecento) che perde l’orientamento e i fili se pur sospesi al vento di una ragnatela di emozioni forti, vere alla ricerca di un dialogo continuo con i vivi e con i morti (lo testimoniano le sue poesie al padre, alla madre e la prima silloge “I cappotti morti” dedicata al nonno). “Sai che le luci non ti appartengono/ umile intento è di far buio intorno/ al clamore, silenzio. Forse il romanzo non è che passato/ e certo di oggi non sono i versi/che vantano amaro/il latte cieco di una candela/del pianto, nell’epoca nera che è scesa.” Vogliamo ricordarlo o meglio tenerlo sempre vicino. Come lo è stato per molti anni, in particolare per me, con i versi di un poeta che per sonorità e ispirazione ha molte tratti in comune, Alfonso Gatto: “Mi piacerebbe alla fine, dirmi e dirvi che vivo ancora, che ogni segno, ogni parola detta, scritta o dipinta affidata all’amore altrui mi dà vita”.  Sarà il senso di questo incontro e di tutti i prossimi incontri nella sua Laurino e a Pietravairano (Ce), paese di origine della famiglia della moglie Francesca.

In finis

Spesso in un dir confuso,
E in parole interrotte
Meglio si esprime il core,
E più par, che si muova,
Che non si fà con voci adorne, e dotte:
E’l silenzio ancor suole
Aver prieghi, e parole. (T. Tasso, Aminta)

Marcello Napoli

Laureato in Sociologia e Diplomato alla Scuola di Biblioteconomia di Città del Vaticano. Giornalista pubblicista dal 1986, ha collaborato, tra gli altri, con il quotidiano Il Mattino. Ha scritto vari saggi, su argomenti come i bestiari e gli erbari collegati alla grafica contemporanea, sui fumetti (Flash Gordon), sull’ Hypnerotomachia Poliphili; in particolare ha scritto su Alfonso Gatto (1909-1976) per le Edizioni dell’Ippogrifo “Alfonso Gatto e il continente Sardegna” e “Sulle tracce di Alfonso Gatto”.

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