Violenza a scuola, il pugno di ferro non serve

Se le nostre aule sono diventate terreno di scontro e conflittualità, c’è un problema di marginalizzazione sociale che sfocia in reazioni violente. Una partecipazione maggiore delle famiglie, dei genitori, con assunzione di responsabilità condivise, dovrebbe essere il primo passo per recuperare una dialettica virtuosa tra le agenzie educative coinvolte nei percorsi di crescita e apprendimento

Tempo di lettura 2 minuti

Si moltiplicano in modo allarmante gli episodi di aggressione degli studenti ai danni del personale scolastico. Nel mirino dei violenti sono finiti i docenti e perfino i dirigenti. Un fenomeno che interessa le scuole di ogni parte d’Italia, senza più distinzione tra luoghi a rischio e aree considerate tranquille, con il coinvolgimento di ragazzi di ogni estrazione sociale.
Dopo l’ultimo gravissimo episodio (la docente di un istituto professionale di Varese pugnalata alle spalle da un alunno), la questione sembra essere finalmente entrata nel dibattito politico e istituzionale.
La scuola è da sempre un terreno sensibile alle strumentalizzazioni politiche, ogni fazione ha la soluzione da proporre come panacea per tutti i mali, ma gli slogan e gli annunci, come al solito, durano il tempo di qualche titolone sui quotidiani.
Sono state annunciate immediatamente dal ministro Valditara misure finalizzate a rafforzare le sanzioni per episodi del genere; pene e multe più severe anche per le famiglie degli studenti coinvolti in episodi di violenza, con risarcimenti in sede civile da riconoscere agli istituti scolastici in cui si verificano.
Affidare unicamente a misure repressive la soluzione dei problemi  e delle violazioni delle regole basilari di convivenza all’interno delle scuole appare un modus operandi frutto dell’esigenza di rassicurare, nell’immediato, le famiglie e l’opinione pubblica sulla volontà di dare una risposta ferma e rapida al susseguirsi dei casi di aggressioni verificatesi di recente.
Eppure, dinanzi a un malessere profondo che affonda le sue radici non certo all’interno delle scuole – che fungono, piuttosto, da cassa di risonanza sia di situazioni di disagio individuale, che di fenomeni di marginalizzazione sociale – la logica punitiva potrebbe rivelarsi inefficace se non accompagnata da un processo di valorizzazione del ruolo dell’istruzione pubblica nella crescita di una comunità.
La scuola è diventata negli ultimi anni uno dei temi di propaganda più ricorrenti nella ricerca del consenso politico: nuovi concorsi, nuovi docenti, aumenti di stipendio, nuovi sistemi di valutazione, nuovi indirizzi di studio e così via. In realtà, di riforma in riforma, tra le mura degli istituti imperano ormai i numeri, secondo una logica aziendale che mette in atto politiche di marketing che riguardano un po’ tutti i livelli dell’amministrazione scolastica. Manca una visione umanistica che metta al centro la questione fondamentale: il “benessere” dell’alunno, del docente e l’esigenza di una nuova concezione dell’ambiente scolastico, che dovrebbe diventare un luogo di decompressione, impermeabile ai veleni di una realtà sociale scadente e rabbiosa.
Una partecipazione maggiore delle famiglie, dei genitori, con assunzione di responsabilità condivise, dovrebbe essere il primo passo per recuperare una dialettica virtuosa tra le agenzie educative coinvolte nei percorsi di crescita e apprendimento.
Se le nostre aule sono diventate terreno di scontro e conflittualità, c’è un problema di marginalizzazione sociale che sfocia in reazioni violente come quelle a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni. La politica ascolti le osservazioni dei docenti e delle associazioni studentesche prima di affidarsi a risposte roboanti quanto inefficaci.
Le regole di condotta di una comunità democratica, improntate alla civiltà e al rispetto dell’alterità, si apprendono in famiglia e a scuola, ma è quest’ultima a costituire il primo ambito extra-familiare in cui si sviluppano le relazioni sociali, nonché il primo momento di “verifica“ del bagaglio educativo acquisito dai genitori. Il futuro dell’agire umano si annuncia lì, tra i corridoi e le aule delle scuole. E di questo è necessaria una piena consapevolezza da parte di tutti.

Previous Story

Addio a Paolucci, fu grande storico dell’arte e ministro

Next Story

In un’età vuota, largo alle Ombre da viaggio di Marotta