Il “repetita iuvant” della comunicazione

La ripetitività di un concetto tende a spazzare tutto il resto ed è il grilletto per inserirsi nell’orientamento e nel convincimento delle persone, delle platee, delle masse. Lo sanno i pubblicitari e pure i politici...

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Capita di sorprendersi se una persona, conosciuta come studiosa e colta, non riesca poi ad appassionare in un discorso una platea di gente, mentre un’altra di cui magari non abbiamo molta stima intellettuale arriva e con poche battute tiene sospesa dalle sue labbra la maggior parte degli astanti: la facondia o eloquenza (che non di rado è solo sapienza apparente) è un’attitudine innata, si può imparare, si può perfezionare, ma il catturare l’attenzione di una platea di persone è soprattutto un fatto innato; non è una questione di cultura o di contenuti, la comunicazione interpersonale si realizza grazie ad un messaggio che si struttura attraverso un codice costituito da tre forme di comunicazione: verbale, paraverbale e non verbale.

•  La comunicazione verbale: rappresenta il contenuto del discorso, la parte che noi vorremmo arrivasse a chi ci ascolta; è provato che più questa è semplice e concreta, più è efficace…

• La comunicazione paraverbale: rappresenta la forma con la quale esprimiamo il nostro messaggio in termini di intonazione, ritmo, pause, volume, insomma il colore del parlato. È tutto ciò che condisce e dà sapore alle parole, in pratica è come le diciamo le cose.

La comunicazione non verbale: rappresenta tutto ciò che esula dal contenuto verbale ma che lo accompagna: l’espressività facciale, il sorriso, il contatto visivo, la gesticolazione delle mani, ma anche il modo di vestire o di muoversi.

Questa suddivisione all’interno della comunicazione è dottrina accettata da quasi tutti i comunicatori, però non c’è univocità di intese sulla forza o sulla maggiore importanza di una di esse sulle altre. Molti guru della formazione in Public Speaking, seguono la Regola di Mehrabian, che risolve che una comunicazione ben fatta dovrebbe penetrare le menti di una platea di persone in tali percentuali: verbale al 7%, paraverbale al 38% e non verbale al 55%.

Essendo stata questa la prima regola a tentare di valutare l’efficacia della trasmissione di sentimenti, emozioni ed impulsi in un discorso, ha subito molte critiche; qualcuno ha affermato fosse addirittura una bufala e lo stesso Albert Mehrabian l’ha dovuta riprendere e chiarire nella sua personale interpretazione… ma di certo nessuna valutazione successiva l’ha mai smentita del tutto. Del resto, a meno che non si tratti di un discorso meramente tecnico o addirittura scientifico dove la dimostrazione evidenziale e numerica manda in mona qualsiasi disquisizione dottrinale e concettuale, possiamo certamente dire che in un discorso pubblico, in una platea convocata ad hoc, è più importante COME si dicono le cose perché altrimenti il COSA si dice non arriva a nessuno, e questo vale soprattutto in Politica, nelle assemblee e nei consessi sociali.

Da parte mia ho un aneddoto che potrebbe forse costituire il corollario alle tre forme della comunicazione: tempo fa ho portato in una grande azienda un professionista molto quotato per un corso di Public Speaking ai dirigenti; dopo cinque giorni di corso full immersion, a conclusione dello stesso, il formatore tenne un discorso di oltre mezz’ora sull’ “importanza di portare le calze sopra le scarpe”. Argomento paradossale e incongruo ma preparato nei minimi dettagli; fu estremamente efficace nei modi, nelle pause, nei toni della voce, nella gesticolazione delle mani, nella raccolta continua dei consensi durante il discorso e soprattutto nella ripetitività ora palese ora sottesa della necessità di “portare le calze sopra le scarpe”… alla fine chiese a tutti di scrivere di getto in due righe la cosa che li aveva più colpito del discorso fatto: ebbene chi più chi meno, con varie motivazioni, riportò l’argomento più insensato: “portare le calze sulle scarpe” tralasciando l’enormità di citazioni e menzioni importanti che il formatore aveva fatto per oltre trenta minuti…

Il formatore aveva dimostrato che la ripetitività di un concetto nodale o di un assioma contenuto in una comunicazione o discorso creato secondo i crismi, spazza tutto il resto del contenuto di un discorso: in pratica la ripetitività è il coronamento delle tre forme di comunicazione ed è il grilletto per inserirsi nell’orientamento e nel convincimento delle persone, delle platee, delle masse.

Così si spiega il successo di alcune assillanti pubblicità come quella di “Poltrone & Sofà”, fatta in barba a ogni regola deontologica e fiscale: quello che rimane è l’idea dello sconto 50-70-100% ripetuto all’infinito ed anzi l’unico leit motiv degli spot, il resto è soprattutto contenuto paraverbale e comunicazione non verbale fatta da veri artigiani, molto simpatici e affabili, oggi affiancati finanche da Jerry Scotti, ritenuto il re della credibilità televisiva.

La politica

Su questa linea si pone la comunicazione politica di alcuni politici nazionali, tra cui il vero maestro del paraverbale è il governatore della Campania De Luca capace di monologhi alla Fratelli di Crozza (ma senza Maurizio Crozza) da Prime Time TV, seguito a (molta) distanza da Matteo Salvini, eternamente in campagna elettorale e maestro di ripetitività; da qualche tempo, visto il crack sui migranti, ha disseppellito i cavalli di battaglia del Ponte sullo Stretto e delle Centrali Nucleari – di cui una sotto casa sua a Milano – che fanno tanto politico celodurista; di pensieri nuovi non ne ha da anni, per cui quei pochi che ha in memoria li ripete con efficacia a beneficio di chi ancora lo ascolta.

La stessa ripetitività è stata la base per il successo del 2022 della Meloni, oggi però depotenziata nei concetti in quanto ha dovuto rinunciare sia alla sua paraverbalità che a quei meravigliosi e colorati pantaloni a campana di San Pietro… da Presidente del Consiglio ha dovuto darsi ai tailleur di Armani e assumere un tono pacato da statista atlantista: non poteva continuare a urlare i suoi mantra contro accise, tasse, U.E., migranti, etc… anche uno stupido sa che una volta al Governo non si può continuare a sparare a passeri e zanzare con un cannone come quando si è all’opposizione.

Mentre si conferma all’opposto e chiarisce lo scarso coinvolgimento guadagnato dalla Shlein che punta tutto sul verbale complesso e difficile da capire; ultimamente sta correggendo molto la sua scarsa paraverbalità ma la sua non verbalità è ancora prossima allo zero e i concetti base della sua politica sono obiettivamente troppi da poterli ripetere in ogni occasione; se poi aggiungiamo che intorno a lei c’è la steppa desertica della sinistra… si spiega perché nonostante i fallimenti palesi questo governo tiene.

Staremo a vedere cosa ci riserva l’immediato futuro, perché se è vero che in Comunicazione politica repetita iuvant è altrettanto vero il prosieguo del motto (anche se suona un po’ maccheronico): sed continuata secant.

 

Carlo De Sio

Laurea in Scienze Politiche ed Economiche, Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni; dal 2015 è impegnato in attività di Lobbying indipendente in Italia e all’estero. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999

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