Il marketing del paradosso: paraverbalità, verbalità ed efficacia di una fandonia

La politica in genere è terreno fertile per incoerenze, promesse disattese e narrazioni amene

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La politica in genere è terreno fertile per incoerenze, promesse disattese e narrazioni amene. Quella italiana non difetta in questo e a due anni e mezzo dalla vittoria della Destra alle elezioni, un interrogativo resta aperto: com’è possibile che una coalizione che ha basato il suo successo su promesse come l’abolizione delle accise sui carburanti, l’abolizione della legge Fornero, il calo delle tasse et similia, raccogliendo tanto consenso al momento… ma che ancora continua ad averne?

Queste promesse -per non chiamarle fandonie- si sono rivelate inattuabili, ma non hanno impedito agli elettori di confermare la propria fiducia: Perché? Sociologi e politici cercano risposte in un intreccio complesso di fattori che includono il cambiamento delle identità politiche, la crisi dei partiti tradizionali e un elettorato sempre più smarrito. Questa stranezza non si può spiegare semplicemente con la superficialità degli elettori, ma richiede un’analisi delle dinamiche sociali, economiche e culturali ma addirittura di marketing politico che sta trasformando il tessuto italiano in un paradosso.

Una cosa è certa, uno dei fattori centrali per comprendere la forza della Destra risiede nella crisi culturale e di identità della Sinistra. Per decenni, i partiti di sinistra hanno rappresentato coloro che vivevano ai margini del benessere economico, dalle fabbriche ai quartieri popolari. Tuttavia, dalla fine degli anni ‘90 in poi, la Sinistra ha progressivamente perso il contatto con il suo elettorato tradizionale: la globalizzazione economica, l’ascesa di un tecnicismo politico e l’uso dei social hanno trasformato il volto di questa area politica, rendendola sempre più distante dalle preoccupazioni quotidiane dei cittadini comuni.

Questa trasformazione non è stata solo ideologica, ma soprattutto culturale. Mentre la Sinistra tradizionale parlava di salari, pensioni e diritti sul lavoro, la nuova Sinistra ha spostato l’attenzione su temi come i diritti civili, ambientalismo, uguaglianza di genere, cittadinanza per nascita … battaglie fondamentali di civiltà, ma non percepite come prioritarie da chi non arriva alla fine del mese; ma la Sinistra ha continuato a parlare una lingua che diseredati e classi popolari faticano a comprendere, assumendo un atteggiamento elitario, per chi ha la pancia piena.

L’incapacità della Sinistra di riconnettersi con il suo elettorato di riferimento è stata aggravata da politiche che, invece di ridurre le disuguaglianze, le hanno amplificate. La riforma Fornero, benché fatta da tecnici, è stata vista come un tradimento della Sinistra nei confronti dei lavoratori, un simbolo di quella tecnocrazia fredda e distante che ha alimentato il malcontento popolare. La narrazione secondo cui “non c’erano alternative” a queste misure ha soltanto rafforzato l’idea che la Sinistra non fosse più interessata a chi stava in difficoltà, ma piuttosto a mettere pezze ai conti pubblici su buchi fatti da altri.

Il fascino delle promesse semplici

La Destra, al contrario, ha trovato facile interpretare il malcontento generato con una strategia opposta: offrire soluzioni semplici a problemi complessi: ha presentato come azioni immediate e decisive l’abolizione delle accise sui carburanti, il superamento della Fornero, l’inutile cittadinanza per nascita, il blocco dell’immigrazione, etc.. come capaci di cambiare radicalmente la vita delle persone. Queste promesse sono apparse subito come irrealistiche, più volte Giorgetti -da persona seria- ha glissato sull’argomento, ma il loro potere stava nel modo in cui venivano comunicate: non importava se fossero realizzabili, ciò che contava era il messaggio paraverbale: “Siamo dalla vostra parte”.

Questa capacità di una comunicazione che punta più alla panza che alla ragione, ha permesso alla Destra di costruire un’immagine di forza politica vicina ai bisogni della gente comune. A differenza della Sinistra, che utilizza un linguaggio complesso e tecnocratico, la Destra parla alle viscere, alleviando paure e speranze degli elettori, utilizzando parole semplici, slogan ripetitivi e indicando nemici e complotti in atto per ostacolare cose che altrimenti andrebbero fatte … cose del resto indicateci non troppo tempo fa da quell’enorme maestro di Semiotica e Psicolinguistica che fu Umberto Eco.

Un elemento centrale del successo della Destra è stata la sua capacità di capitalizzare la paura. Temi come l’immigrazione, la sicurezza, la perdita di identità culturale causata dalla sostituzione etnica, sono stati utilizzati per creare un senso di urgenza e pericolo, presentando la coalizione di centrodestra come l’unico argine contro il caos. Questo approccio ha funzionato particolarmente bene in un contesto sociale segnato dall’incertezza economica e dalla percezione di un futuro sempre più precario.

Tra Disillusioni e Bisogno di Appartenenza

Per comprendere perché così tanti elettori continuino a credere nella Destra, nonostante le evidenti contraddizioni, è necessario analizzare il comportamento dell’elettorato. Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da una progressiva disillusione verso la politica. Dopo anni di governi tecnici, compromessi al ribasso e scandali, molti italiani hanno perso fiducia nelle istituzioni e nei partiti, la prova sta nelle ultimissime regionali dove la partecipazione è stata al di sotto del 50%.

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In questo contesto, il voto non è più una scelta ma un gesto emotivo e identitario. Il voto alla Destra, quindi, non è per forza un voto di adesione, ma un voto di protesta contro il sistema, un modo per dire “basta” a una classe dirigente distante. La Destra ha saputo però creare un senso di appartenenza con un “Noi” contrapposto a un “Loro” che offre agli elettori un’identità condivisa: in un mondo sempre più frammentato questo senso di comunità valoriale ha un valore inestimabile.

Allo stesso tempo, molti elettori sono spinti da un bisogno profondo di certezze: chi ha vissuto il ’68 vede il presente come un mondo “pre-‘68”, un’epoca di incertezza economica, sociale e culturale, dove il futuro appar imprevedibile, come accadde 56 anni fa: in tale contesto promesse per quanto irrealistiche e addirittura truffaldine, offrono un’illusione di stabilità e sicurezza. La forza di queste promesse non sta nella loro fattibilità, ma nel potere di rassicurare: è questo il paradosso!

Un elemento che rende il caso italiano particolarmente complesso è la tensione tra nostalgia del passato e necessità di modernizzazione. Molti elettori guardano con rimpianto al passato, a un’epoca in cui il lavoro era stabile, le pensioni generose e la vita meno incerta. Questa nostalgia alimenta la richiesta di politiche che riportino indietro l’orologio, come il ripristino di tutele ormai insostenibili nel contesto di un’economia globale e interconnessa

D’altro canto, la modernizzazione del Paese richiede riforme profonde e spesso impopolari. Questo crea un ulteriore paradosso: gli italiani chiedono cambiamenti radicali, ma al tempo stesso temono le conseguenze di queste trasformazioni. La Destra ha saputo cavalcare questa ambivalenza, promettendo un cambiamento che non c’è, non stravolge nulla anzi mantiene vivi i vecchi schemi di potere: Tomasi di Lampedusa ci ha scritto un capolavoro: “(Dire di) Cambiare tutto per non cambiare nulla”.

La politica italiana è lo specchio di una società frammentata, divisa tra il desiderio di certezze e la paura del cambiamento. Per superare i controsensi che caratterizzano il nostro sistema politico, è necessario un rinnovamento profondo da parte dei partiti. La Sinistra deve tornare a rappresentare chi si sente escluso, mentre la Destra deve assumersi la responsabilità di governare ricordando che nel suo DNA liberale ci sono state persone come Malagodi, Spadolini, La Malfa, Pella, Vanoni e -perché no?- Pannella… che partorivano pensieri politici senza ricorrere ad arringhe da capopopolo in sempiterna campagna elettorale o grottesche pantomime alle pompe di benzina.

La politica italiana vive di paradossi, ma questi non sono altro che lo specchio di una società in crisi culturale… Solo attraverso un rinnovamento culturale profondo dei partiti sarà possibile costruire un futuro politico credibile. Fino ad allora, la politica resterà un teatro alla mercé di chi la racconta più grossa o svacca con offese personali e promesse irrealizzabili … ed in questo, l’abbiamo visto, l’America di Trump fa e farà scuola.

Voltaire già ai suoi tempi lamentava che la politica serviva a persone senza morale comune di governare persone senza memoria comune.

(Caricature di Frank Federighi: www.lecaricaturedifrank.it)

Carlo De Sio

Laureato in Scienze Politiche ed Economiche, con Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999.
Fa parte di un gruppo di specialisti per la revisione di testi generati dall’I.A. e partecipa nel Deep Web a un gruppo di approfondimento che ha come focus notizie e valutazioni sulle crisi politiche in atto.

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