Tra musica, teatro e letteratura, Guido Maria Grillo intreccia linguaggi artistici diversi, esplorando nuovi territori creativi con autenticità e passione.
Nato a Salerno, in un ambiente permeato di creatività e cultura, Guido Maria Grillo ha respirato fin da piccolo l’atmosfera stimolante della casa materna, della famiglia De Curtis. Qui, tra i quadri dello zio pittore, riecheggiavano arie d’opera intonate dal nonno, tenore e violinista, e da uno zio, profondo conoscitore di Puccini. Sua madre, docente di Storia dell’arte e imparentata con il “principe” Totò, gli ha trasmesso la passione per l’arte figurativa e una spiccata sensibilità vocale.
Cresciuto sulle note di Luigi Tenco, Jeff Buckley, della tradizione della grande canzone napoletana e De André, a cui ha dedicato la tesi di laura in Filosofia dal titolo “Lotta politica e sentimento religioso ne La buona novella di Fabrizio De André”, è oggi musicista, cantautore, autore teatrale e scrittore.
Dal 2009 ha pubblicato tre album e tre EP, collaborando con artisti come Levante, Musica Nuda, Cristiano Godano e Paolo Benvegnù. Ha aperto i concerti di Rufus Wainwright, Anna Calvi, Avion Travel, Marlene Kuntz, Paolo Jannacci, Niccolò Fabi e Levante.
Nel 2011 è stato ospite al Premio Tenco per la presentazione della compilation “Come fiori in mare”. Nel 2016 ha realizzato, in duetto con Levante, un video live della sua canzone “Salsedine”, tratta dal terzo album. Per la sua attività cantautorale ha ricevuto importanti premi, come il Premio Bruno Lauzi nel 2017 e il Premio Pierangelo Bertoli nel 2022.
Autore e attore, Grillo ha debuttato in teatro nel 2008 al Parma Poesia Festival con “ME-DEA della sua grazia”, uno spettacolo contemporaneo interamente ideato da lui. Nel 2015 ha calcato le scene del Piccolo Auditorium di Cagliari con “La Maledizione dei puri – Se Pasolini e De André”, spettacolo di e con Francesca Falchi e Guido Maria Grillo.
“Questa nostra guerra – poesie e bozzetti per canzoni” è il suo primo libro, pubblicato da Les Flâneurs Edizioni nel 2017.
Chemioterapia
Cademmo da alberi sfiniti
Facemmo muta di serpente
e diventammo spugna.
Poi seguimmo la corrente
E ci adeguammo al moto,
come alghe.
Alcuna resistenza
Lo stupro parve l’unico rimedio
Per vincere l’aborto.
Fummo violenza e disprezzo,
per noi stessi, vittime e carnefici.
“Membra sumus corporis magni”,
diceva Seneca.
Vale per l’universo e per un solo uomo.
Idomeni (2016)
Eravamo acqua
E la vita premeva
Come una piena
Contro i suoi stessi argini
Fino a inondare i campi
Per un miliardo di chilometri
Di questa nostra terra.
Corremmo a valle
Trascinando detriti,
stracci, miserie,
bambini denutriti,
stupri e macerie.
La corsa s’infranse
Sul fianco di una diga
Che toccava il cielo,
una torre di Babele
di sdegno e tracotanza
che in ogni lingua ci respinse
col medesimo disprezzo.
Onda dopo onda,
diventammo lago,
trascorsero i mesi
e ci facemmo stagno
finchè della nostra ostinazione
si levò il fetore insopportabile
e fummo dispersi in rivoli infiniti
perché in terra
non rimanesse traccia
della nostra Resistenza
SENZA FINE
Anche la luna si commuove al tuo silenzio
Le mani giunte ai piedi del tuo letto
Disfatto dalle notti insonni a chiedere di tutto
Ma ora è troppo tardi, il buio pretende il suo rispetto
E ora che il giorno si colora del tuo umore
E le notti sono fatte per rimpiangere o partire
Dietro noi non resta che rumore
Le madri sono nate per amare e per soffrire
E noi stiamo guardare senza più capire
E immagina un mare di stelle
Tu che cammini al mio fianco
Ti reggi al mio braccio e intanto
Non trattengo più il pianto
Io lo so che nulla ci potrà mai separare
Ma il nulla è troppo grande da riempire
caresse’o cielo si ‘st’ammore nun fosse senza fine
Madre mia, avevi ragione
La vita ha le sue regole e sa farle rispettare
Chi siamo noi a pensare che si possano cambiare
Davanti agl’occhi ho ancora l’ultimo saluto
Io ti cercavo mentre t fissavi il vuoto
E rovistavo nel tuo sguardo in cerca di un significato
Mi chiedo ancora adesso se io l’abbia mai trovato
E anche se le madri sono dee, non è bastato
E immagina un mare di stelle
Tu che cammini al mio fianco
Ti reggi al mio braccio e intanto
Non trattengo più il pianto
Io lo so che nulla ci potrà mai separare
Ma il nulla è troppo grande da riempire
caresse’o cielo si ‘st’ammore nun fosse senza fine
E io lo so che nulla ci potrà mai separare
Ma il nulla è troppo grande da riempire
E m’adda carè ‘stu cielo ‘nguollo si ‘st’ammore
nun fosse senza fine
Non arrenderti
Se un giorno ti dovessi raccontare
Quanto valga un ideale
Conterei i miei lividi sul cuore
E potrebbe non bastare
Ti direi di resistere e lottare
Per ciò che ti appartiene
Sollevandoti da terra
A costo di restare in bilico
Tra l’inverno e la stagione dell’amore
Anche se tarda ad arrivare
E nonostante i graffi e i lividi sul cuore
Non sentirai il dolore
Ed allora sarai quello che volevi
Senza smarrirti chissà dove
A inseguire tutte quelle vanità
Senza volto e senza nome
Se un giorno, figlio mio, ti potessi raccontare
Quant’è difficile imparare
Che per quanto accetti di lottare
Potrebbe non bastare
A resistere all’indifferenza
Di chi ti appare ostile
Sollevandoti da terra
A costo di restare in bilico
Tra l’inverno e la stagione dell’amore
Anche se tarda ad arrivare
E nonostante i graffi e i lividi sul cuore
Non sentirai il dolore
Ed allora sarai quello che volevi
Senza smarrirti chissà dove
A inseguire tutte quelle vanità
Senza volto e senza nome
Tu lotta e non arrenderti
Che nonostante i graffi, i lividi e il sudore
Né fatica né dolore
E non smarrire mai il tuo cuore
Per inseguire tutte quelle vanità
Di cui non sai nemmeno il nome.
Canzone per me
Preso a schiaffi dai tuoi mille sbalzi d’umore,
Umiliato da improvvise accelerazioni di rancore,
Che coltiva in seno il tuo malessere peggiore
Come fosse un rumore.
Perché forse avresti voluto una vita migliore,
Essere fiero d’ogni tuo giorno fino a quando muore
E ad ogni tramonto avere soltanto parole d’amore
Da ricordare.
E invece la vita ti ha riservato qualche dispiacere,
Non ti ha nascosto che al mondo esiste anche il dolore,
Che non ci si abitua ed ogni volta ancora fa male
E non riesci a capire.
E forse l’errore è stato trovare la donna sbagliata,
Che in una sera tra luci d’estate divenne una sposa,
Che oggi racconterebbe ancora di una storia d’amare
Se solo potesse parlare.
E di chiamare amore il senso d’una noia infinita,
Una tristezza che era speranza e ora si sente derisa,
Ma ora che manca, il vuoto si stende sulla mia schiena
E mi buca una vena.
E di chiamare amore un veleno al profumo di rosa,
Non mi riesce e resta il ricordo d’una dolcissima sposa,
Che mi chiedeva se sarebbe stato un eterno sentire
Ma non riusciva a capire
Che in fondo ogni cosa vive soltanto se ha un inizio e una fine,
Che non ci sarebbe né odio, né amore e nient’altro ancora,
Se trovassimo il modo di renderla incorruttibile al tempo,
Alla ruggine e al pianto.
E poi ripetermi ancora che la felicità è un inganno,
Perché i pochi ad essere felici non lo sanno.
Potrei gridarlo all’infinito fino a svenire,
Se solo potesse sentire.
E basterebbe per tornare ad essere felice.