Grattacaso, le nuvole e la fedele imperfezione che non dura

Incontro con il poeta salernitano che da anni vive in Toscana. Ha pubblicato cinque testi poetici, ha curato e tradotto dal francese "L’intelligenza dei fiori" di Maurice Maeterlinck (Elliot, 2022) e a giorni sarà in libreria con il suo nuovo libro "Una felicità nuova. Riscoprire la poesia di Pascoli" (Treccani)

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Il poeta e critico letterario Giuseppe Grattacaso

Giuseppe Grattacaso è nato a Salerno nel 1957, vive in Toscana. Ha pubblicato i libri di poesia Devozioni (nota di Renzo Paris, Ripostes 1982), Se fosse pronto un cielo (nota di Alessandro Parronchi. Il Catalogo 1991), L’attimo dopo (con fotografie di Elisabetta Scarpini, Nuova Libra 2003), Confidenze da un luogo familiare (Campanotto 2010), La vita dei bicchieri e delle stelle (Campanotto 2013, Premio Pontedilegno Poesia), Il mondo che farà (2019, premio Prestigiacomo, premio Pisa, premio Il Ceppo), e negli Stati Uniti The Will-Be World. Selected Poems (2022, Gradiva Publications, New York, trad. Simone Turco).

Nel 2015 ha pubblicato il libro di racconti Parlavano di me (Effigi), da cui è stata tratta una piéce teatrale. Del 2020 è il volume Foto di classe. La scuola della ripartenza raccontata dall’Ultimo Banco (Castelvecchi).

Ha curato e tradotto dal francese L’intelligenza dei fiori di Maurice Maeterlinck (Elliot, 2022). Ha curato Le farfalle. Epistole entomologiche di Guido Gozzano (Interno Libri, 2023).

Del 2024 è il volume Una felicità nuova. Riscoprire la poesia di Pascoli (Treccani).

Ha scritto testi di canzoni inserite nei cd heart/strings  (2019) e Dreamland (2022) di Lucia Minetti. Svolge un’intensa attività critica per riviste culturali, poi raccolta nel blog i bicchieri e le stelle (giuseppegrattacaso.it)

 

Varco anni luce, gli abissi siderali,

oltrepasso galassie, le comete,

posso vedere ma non lo conosco,

quello che è luce e quello che è nel fosco

del buio infinito. Ma se mi addormento

sparisce tutto quanto, è nello sguardo

la stella più lontana e il mio tormento

di non sapere, il dubbio non risolto

di essere dispersi e andare avanti

per sempre naviganti e non c’è mare.

Perciò se fosse lo sguardo circoscritto

a poche miglia, noi sapremmo solo

il glicine, il limone marzaiolo,

il passero che salta e in un sussurro

il vento tra il ciliegio e il niente intorno,

tutto finito dopo pochi passi,

appena un po’ di cielo, un tenue azzurro

e poi più niente, solo rami bassi.

La vita dei bicchieri e delle stelle,

tutta gentile e tutta risplendente

brillante di gas elio o detergente,

è quello che noi siamo e non sappiamo,

bagliore nello spazio quotidiano,

l’immediato presente e il più lontano,

è l’esistenza senza alcun confine

nell’universo, il gesto luminoso

della mano, il raggio che ci sfiora

e che si apparta, il cielo che rivela

la nostra carne terrena e siderale,

lo scompiglio del fiato universale.

da La vita dei bicchieri e delle stelle (Campanotto, 2013)

 

Se il giallo si confonde e non conclude

la sua testimonianza, allora invecchia

il corpo spento, avverte che l’attesa

è una fermata in bilico sul nulla.

Quando poi la marcia è consentita

e il verde si profonde in cerimonie

e partiamo all’assalto, consumato

è il terreno, vediamo il precipizio

ad ogni passo, speriamo in una sosta

più duratura al prossimo passaggio,

che il giallo ci conservi nell’indugio,

l’incertezza ci liberi dal viaggio.

 

Pluton Portraits

Ha rughe incise al fondo di pianure

e lungo gli occhi, segno di saggezza

o di stanchezza per l’eterno giro

lontano da ogni centro. In primo piano

la cute secca per invecchiamento

e per fatica, dio di rapimenti

e di trasalimenti, grigio nume

sorvegliante di sé, ergastolano

e carceriere, mostri la tua fronte

segnata dalle macchie sulla pelle,

la coltre d’elefante, un vasto canyon

tra muscolo e montagna arrugginito,

la regale pupilla, sguardo assente

sul gelido respiro dei crateri.

2.

Il grande cuore del dio dell’oltretomba,

il nano un tempo ultimo pianeta

del sistema solare, ora gran pietra

ma levigata, una boccia astrale,

sovrano invisibile di un regno

di sudditi defunti, resta in posa.

L’Averno è galleggiante in zona ghiaccia

e di confine, sfera titubante

di cui rimane traccia nelle foto

spedite dentro il vuoto dalla sonda

New Horizons, di stelle paparazzo

e di divi, in trasferta ultramondana

tra i set delle galassie e le appannate

luci di incerto appeal del sottosuolo.

Vortica Ade, mentre già distante

il fotografo seguita nel volo.

da Il mondo che farà (Elliot, 2019)

 

Le nuvole

In alto quelle nuvole imprecise

che slittano abbaglianti in bella estate,

ballo di debuttanti in gonne e pizzi,

tanti svolazzi, movenze poco sagge

presto ridotte a frange indefinite,

fronzoli periferici a ponente,

sanno che vita è prenderla alla larga,

non impegnarsi in strada troppo esatta,

sentiero pertinente, sconfinate

le nuvole rimangono distanti

sempre associate, sempre all’occorrenza

pronte a sfaldarsi per non precipitare

in rigagnoli, in ardue mulattiere,

pronte a sfinirsi per non essere uguali

a nessun’altra, vanno in permanenza

attratte dal presagio che le inchioda

a non avere centro né ritorno,

solo pellegrinaggio sottovento

e sbuffo veleggiante, nel respiro

lo sbandamento della distruzione,

il bianco che si sbriciola e scolora,

la lezione dell’infiorettatura

che non esiste in sagoma perenne

ma solo in sottigliezza vagheggiante,

fedele imperfezione che non dura.

(inedito)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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