Gaber contro il “volto bianco” dell’edonismo

Nei testi del fondatore della "canzone-teatro" una convinta ma delicata presa di posizione contro i vizi quarantennali di un Paese sdraiato, che si muove seguendo i borborigmi dell’emotività. Molte le affinità con Pasolini

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Giorgio Gaber durante un concerto, poco tempo prima della prematura scomparsa

Non è facile descrivere Gaber, pseudonimo di Giorgio Gaberscik, detto anche il Signor G. Nato a Milano nel 1939, è stato cantautore, drammaturgo, attore, cabarettista, regista teatrale, un eccellente chitarrista. Ma soprattutto, tra i primi interpreti del rock and roll italiano, è il precursore di un genere, “ la canzone – teatro”, in cui i testi vengono recitati nei lunghi monologhi, al pari di un’opera teatrale. La genialità di Gaber è una scoperta postuma, come spesso accade ai grandi artisti.

Lì per lì il personaggio incuriosiva. Alto e magro com’era, il volto affilato e quel “sorriso convesso”, dieresi sui pensieri e le parole, appariva un uomo singolare: il contestatore gentile e bizzarro di Corso Sempione. Cosa pensa il Signor G? E il Signor G risponde: “Alla vita e a ciò che finì, al coraggio, all’acqua che scorre sotto il ponte, dentro e oltre quel buio dogmatico”. Aggiunge: “Penso al passato, a quando c’era un pensiero.” E si apre al monologo del 1995, “Voi credete ancora contino le idee?”, aspra critica alla società di quegli anni avviata verso l’azzeramento del pensiero critico – che il Signor G definisce “impegnato” – scollato dalla vecchia morale e dai tentativi di omologazione in una sottocultura di massa. Più che le riflessioni personali di un intellettuale rassegnato, cui “fa male il mondo”, sono profezie riflesse nello specchio dei giorni nostri.

Ma il tema tanto caro a Gaber, fu il martello di Pasolini durante lo sviluppo economico industriale degli anni ’50-‘60 che trascinò gli italiani in un sistema sociale fondato sul consumismo, in cambio della pseudolibertà e della “joie de vivre”. Pasolini descrive questo nuovo potere il “volto bianco” della tolleranza e dell’edonismo, che nasconde invece tratti feroci e repressivi. I concetti espressi da Pasolini li ritroviamo in molti testi di Gaber : “Le smorfie”, “Il mercato”, “La democrazia”, “La libertà”, scritti in collaborazione con Sandro Luporini, pittore esponente del realismo esistenziale, conosciuto per caso in un bar milanese e affine a lui nell’intelligenza e nella creatività. Gaber e Pasolini sono tra i pochi intellettuali a portare avanti un discorso di opposizione puro, lontano dalle messe cantate e dall’indottrinamento della partitocrazia. Pasolini scrive “Come polli d’allevamento, tra lo spirito televisivo e il nuovo fascismo” e Gaber canta “Quando saremo tutti scemi allo stesso modo, la democrazia sarà perfetta”: due figure lontane sia in scelte di vita sia in modalità espressive, eppure vicine nei contenuti e nella lucidità. Ciò che stupisce è l’attualità dei temi trattati, rappresentativi dei vizi oramai quarantennali di un Paese sdraiato che si muove seguendo i borborigmi dell’emotività, che neanche si sofferma sulle responsabilità delle classi dirigenti inadeguate, sull’agonia della meritocrazia. A coloro che sono convinti di essere in progress, Gaber dice che la “donna emancipata sta a sinistra, mentre quella riservata è già più a destra. Ma un figone rimane sempre un’attrazione a sinistra e a destra!” E conclude: “La gente è poco seria quando parla di sinistra e destra. Tutti noi ce la prendiamo con la storia, ma io dico che la colpa è nostra.”

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