«Mia nonna era un bel tipo di donna. Si chiamava Flora Tristan. Proudhon dice che era geniale». Sono le parole con cui il pittore francese Paul Gauguin, in una raccolta autobiografica, nei primi anni del Novecento, parla della nonna materna, una socialista dell’età romantica.
Flora Tristan è una femminista ante litteram che suscita scandalo nella Francia ottocentesca per uno stile di vita non ordinario: è la prima a unire la causa delle donne e del femminismo con quelle della classe operaia. Ne traccia un ritratto Cristina Cassina, docente di Storia del pensiero politico all’Università di Pisa e condirettore della rivista «Suite française», con il libro Flora Tristan (Donne e Pensiero Politico, Carocci editore) in uscita lo scorso mese di gennaio.
«Voglio essere me stessa». Colpisce la dichiarazione con cui la donna, viaggiatrice solitaria e utopista, decide di non tornare più a casa dal marito mentre era in attesa della terza figlia: un gesto rivoluzionario per la Francia degli anni Venti dell’Ottocento. La possibilità di ricorrere al divorzio era una delle principali novità del periodo rivoluzionario ma poi il Code Napoleon aveva disciplinato la materia in maniera diversa. E così Flora sceglie di viaggiare e vivere da sola. Va in Perù, dove cerca di rivendicare l’eredità del padre e da questo viaggio nasce un resoconto lucido della società ispano-americana post coloniale, le lotte sociali e l’ingiustizia che domina la società. Ecco che la femminista ante litteram comincia a far emergere tramite i suoi scritti le forme nascoste del disagio sociale. Nasce la sua attenzione ai paria: è un termine usato per designare le donne sole, che si sono svincolate dalle catene del matrimonio ma anche chiunque soffra di una forma di oppressione. Le donne, così come gli schiavi, sono esclusi dalla pienezza dei diritti, dalla sfera pubblica, disprezzate, giudicate diverse e inferiori e pure costrette a subire l’autorità di chi è considerato a loro superiore.
Flora Tristan scrive con uno stile che lei stessa definisce «scucito» ma firma pagine fondamentali per la storia dei diritti delle donne e per l’unione della classe operaia, L’opera Unione Operaia (1843) le vale l’ingresso nel pantheon del socialismo. Lo ripeterà più volte: i mali della società si riassumono in due parole, miseria e ignoranza.