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Alfonso Gatto, il poeta vittima della toponomastica

Al grande poeta hanno intitolarono molti anni fa un viadotto, che non lega affatto con la sua vita, mentre ancora non decolla l'idea di ricordarlo nell'attuale via Antonio Maria De Luca, dove ha sede la storica galleria d’arte “Il Catalogo”, il suo luogo da lui preferito quando non era a Milano o Firenze.

di Nino Petrone
1 Agosto 2023
Tempo di lettura 2 minuti
Alfonso Gatto (a destra) con Filiberto Menna nella galleria "Il Catalogo"

Alfonso Gatto non era un autotrasportatore. Non era uno scaricatore di porto deceduto sul lavoro. Non era un pescatore. Non era un ingegnere. Non era neppure un guardiamarina. In uno di questi casi sarebbe stato più o meno comprensibile intitolargli un viadotto. Ma, guarda caso, Alfonso Gatto era un Poeta di fama nazionale della corrente degli “Ermetici”, e di Racconti che sul piano filosofico e letterario duellavano con gli Scritti Corsari di Pasolini, che peraltro lo volle nel suo celebre Vangelo secondo Matteo nel ruolo dell’Apostolo Andrea. Era nato nel cuore del Centro Storico, nelle Galesse, dove “scende per i vicoli la stella e d’ogni casa pare che venga e sia lontano il mare…”. Ebbene, a questo grande Poeta, anni fa, è stato intitolato il cavalcavia che dalla Statale scende giù al porto. Per carità, utilissimo e forse anche bello nel suo genere. Ma che ci azzecca con la poesia?…Neppure con la fantasia di un Jonatan Swift si riuscirebbe a creare uno straccio di collegamento tra quel cemento armato e Osteria Flegrea o Sognando di volare, Alla mia terra o uno dei suoi suggestivi acquerelli. Già, anche pittore, oltre che giornalista, critico d’arte e correttore di bozze per necessità economiche perché, si sa, con la poesia non si mangia. Anche per questo era l’Apostolo de “Il Catalogo” di Lelio Schiavone, oggi lucido e nostalgico 92enne, quando può ancora presente in Galleria col fedelissimo Antonio. Lui invece se ne andò troppo presto, a 67 anni, per un banale incidente stradale con lui semplice passeggero. Sulla monumentale tomba in pietra lavica spicca un’incisione firmata Eugenio Montale. Non si sa bene a chi venne quella geniale idea toponomastica, sfuggita anche a Vincenzo De Luca, apprezzato Sindaco dell’epoca, quindi non sarebbe giusto crocifiggere l’attuale Primo Cittadino Vincenzo Napoli. Questi però due o tre anni fa, con tanto di autorevoli testimoni, disse che avrebbe portato subito in Consiglio la proposta di intitolare al nostro Poeta, più che il Vicolo delle Galesse o l’attiguo Largo Campo, via Antonio Maria De Luca, dove ha sede la storica galleria d’arte “Il Catalogo”, il suo luogo preferito quando non era a Milano o Firenze”. Ma purtroppo il sacrilegio é ancora lì, rombano i camion, “tutto il resto é silenzio” per dirla con Amleto. A Roma, da molto più tempo, c’è un caso pressochè analogo che riguarda Caravaggio. La sua accertata casa campeggia nel Vicolo del Divini Amore, nel cuore del Centro Storico e e al grande Pittore è dedicata una strada dell’Eur. Ma ora in Comune qualcosa di serio si sta muovendo per trasferire il nome di Caravaggio nella strada dove abitava e dipingeva, ”cosa che può e deve essere fatta”, come dicono in Campidoglio. Mi piace pensare che Salerno precederà Roma nell’eliminare per sempre l’insopportabile vergogna. Coraggio, amico Napoli, si può fare. Salerno, e non solo, te ne sarà grata.

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